Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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L'informazione non finanziaria e il bilancio di sostenibilità (di Marco Palmieri, Professore associato di diritto commerciale, Università Ca' Foscari Venezia)


L'articolo analizza l'attuale diffusione del c.d. bilancio di sostenibilità in Italia alla luce della vigente disciplina uniforme europea sull'informazione non finanziaria e nella prospettiva della entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive (direttiva UE 2022/2464).

The non-financial disclosure and the sustainability report

The article examines the diffusion of the so-called sustainability report in Italy in the light of the current uniform European regulation on non-financial disclosure and in view of the entry into force of the Corporate Sustainability Reporting Directive (Directive UE 2022/2464).

Sommario/Summary:

1. Introduzione. - 2. La rendicontazione della sostenibilità: un’idea diffusa, ma nuova dal punto di vista normativo. - 3. La rendicontazione della sostenibilità nelle società benefit, nelle imprese sociali e negli enti del Terzo Settore. - 4. La dichiarazione non finanziaria quale bilancio di sostenibilità nella prassi nazionale. - 5. La nuova direttiva sull’informazione in merito alla sostenibilità in sintesi. - 6. Le responsabilità dettate dalla nuova direttiva: un quadro incompleto? - NOTE


1. Introduzione.

I concetti di informazione non finanziaria e bilancio di sostenibilità risultano tanto evocativi per la comune percezione, quanto equivoci da un punto di vista giuridico. Il primo, pur trovando una base legale uniforme a livello unionale nella dichiarazione prevista dagli artt. 19-bis e 29-bis dir. 2013/34/UE, soffre un significato ambiguo, perché le informazioni rese dalle società che redigono il documento assumono un valore tutt’altro che irrilevante da un punto di vista economico-finanziario, come già da tempo parte della scienza aziendalistica [1], nonché lo stesso legislatore europeo, indotto dalla prassi [2], hanno ormai riconosciuto. Il secondo, pur essendo già ampiamente diffuso nella pratica [3], non trova, invece, alcun appiglio normativo [4] e non è destinato neppure ad averlo in futuro, dato che simili informazioni rientreranno nel bilancio «integrato» che la direttiva sull’informazione in merito alla sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive o CSRD, d’ora in poi), adottata dal Parlamento Europeo con ampia maggioranza [5] e approvata dal Consiglio dell’Unione Europea in via definitiva il 28 novembre 2022, pubblicata in G.U.U.E il 16 dicembre 2022 quale dir. UE 2022/2464, punta ad imporre alle società di medio-grande dimensione o quotate sui mercati regolamentati già a partire dal primo gennaio 2024 in funzione del bilancio 2025, nonché, in seguito, anche alle imprese di medio-piccola dimensione, con obbligo definitivo per queste ultime dal 2028 a valere per il bilancio 2029. D’altro canto, la scienza aziendalistica ha individuato, ormai da tempo, quali possono essere i molteplici vantaggi derivanti da una comunicazione indirizzata ai differenti stakeholder in merito ai risultati conseguiti da una gestione attenta all’impatto sociale e ambientale dell’attività economica condotta [6]. Oltre a un miglioramento della reputazione aziendale e dell’immagine commerciale in funzione pubblicitaria, occorre tenere presente che una impresa percepita come «sostenibile» ha le capacità di attrarre i lavoratori maggiormente talentuosi, di migliorare il coordinamento con la catena dei fornitori a mezzo di una riduzione degli sprechi, di semplificare l’accesso a finanziamenti esterni, nonché di fidelizzare gli investitori. Accanto ai [...]


2. La rendicontazione della sostenibilità: un’idea diffusa, ma nuova dal punto di vista normativo.

Il concetto di sostenibilità affonda le proprie radici nella comune consapevolezza della scarsità delle risorse non rinnovabili ingeneratasi a seguito delle crisi energetiche degli anni ’70 [8]. Benché, in questi anni, l’importanza dell’i­dea di uno sfruttamento delle risorse che lasci alle generazioni future la possibilità soddisfare i propri bisogni, così come codificata nel c.d. Rapporto Brundtland nel 1987, sia stata colta da un sempre maggiore numero di persone a livello planetario, anche grazie alla sua inclusione negli atti conclusivi della Conferenza ONU sull’Ambiente e lo Sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, essa non ha trovato applicazione nei confronti delle imprese a livello internazionale per molto tempo [9]. Complici gli effetti del cambiamento climatico avvertitisi con sempre maggior impatto dall’ultima decade del secolo scorso, è solo con il documento finale «The future we want» della Conferenza ONU sullo Sviluppo Sostenibile Rio+20, svoltasi sempre a Rio de Janeiro nel 2012, che si è riconosciuta l’importanza per le imprese di dare conto, a mezzo di un’apposita informativa, delle politiche di sostenibilità adottate dalle stesse [10]. Sebbene la normativa comunitaria, sin dall’emendamento dell’art. 46, primo comma, lett. b), dir. n. 78/660/EC attuato dalla dir. 2003/51/CE, conoscesse già una primitiva fonte di informazione in merito agli effetti dello svolgimento dell’attività economica svolta sull’ambiente e in relazione al personale all’in­terno della relazione sulla gestione resa dagli amministratori, gli auspici formulati dalla conferenza internazionale sono stati recepiti nelle Risoluzioni del Parlamento UE del 6 febbraio 2013 «Responsabilità sociale delle imprese: comportamento commerciale trasparente e responsabile e crescita sostenibile» e «Responsabilità sociale delle imprese: promuovere gli interessi della società e un cammino verso una ripresa sostenibile e inclusiva» [11]. Tali impegni, ancorché assunti all’interno del concetto all’epoca maggiormente in voga della responsabilità sociale delle imprese [12], si sono concretizzati velocemente nel­l’in­troduzione, ad opera della dir. 2014/95/UE [13], dell’art. 19-bis all’interno della dir. [...]


3. La rendicontazione della sostenibilità nelle società benefit, nelle imprese sociali e negli enti del Terzo Settore.

Accanto alla documentazione imposta negli anni passati dal legislatore sovranazionale, a livello di ordinamento interno sono stati codificati degli ulteriori strumenti di informazione che, a differenza della dichiarazione non finanziaria, puntano propriamente a fornire una comunicazione circa la sostenibilità dell’attività di impresa. Il riferimento va alla relazione circa il perseguimento del c.d. beneficio comune, che le società benefit devono redigere, nonché al bilancio attestante l’impatto sociale dell’attività svolta, che deve essere approntato dagli Enti del Terzo Settore e dalle Imprese Sociali, ossia ai documenti che, allo stato attuale e in attesa del recepimento della CSRD, maggiormente incarnano l’idea di un bilancio di sostenibilità nell’ordinamento nazionale [21]. La prima fonte di informazione, prevista dall’art. 1, trecentottantaduesimo comma, l. 28 dicembre 2015, n. 208, impone, infatti, alle società benefit di redigere, ogni anno, una relazione concernente il perseguimento del beneficio comune, da allegare al bilancio [22]. Questo documento deve fornire una descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità e delle azioni attuate dal management per il perseguimento delle finalità di beneficio comune, nonché delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato, oltre a una descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo e a una valutazione dell’impatto generato [23] utilizzando un c.d. «standard di valutazione esterno» elaborato da un ente terzo qualificato [24]. Similmente, gli Enti del Terzo Settore e le Imprese Sociali devono redigere, accanto al bilancio di esercizio, un documento ulteriore che attesti, fra l’altro, «[del]l’impatto sociale delle attività svolte» ai sensi, rispettivamente, dell’art. 14, primo comma, d.lgs. n. 117/2017 e dell’art. 9, secondo comma, d.lgs. n. 117/2017. In particolare, il bilancio «sociale» [25], così come definito dalle Linee Guida per la sua redazione adottate con d.m. 4 luglio 2019, deve svolgere la funzione di «strumento di rendicontazione delle responsabilità, dei comportamenti e dei risultati sociali, ambientali ed economici delle attività svolte» e, a questo scopo, le connesse Linee Guida in tema [...]


4. La dichiarazione non finanziaria quale bilancio di sostenibilità nella prassi nazionale.

La trasposizione degli artt. 19-bis e 29-bis della dir. 2013/34/UE nell’ordi­namento interno ha indotto un numero consistente di «enti di interesse pubblico» – così come definiti dal comma 1 dell’art. 16 del d.lgs. n. 39/2010 richiamato dall’art. 1, primo comma, lett. a), d.lgs. n. 254/2016 – ad adottare le dichiarazioni non finanziarie, secondo il meccanismo del «comply or explain» dettato dal legislatore unionale [29]. Come si apprende dalla determina dirigenziale Consob n. 61/2022, al 31 dicembre 2021, ben 194 fra istituti bancari, assicurazioni e società emittenti titoli quotati in un mercato regolamentato, che hanno superato le soglie dimensionali indicate dall’art. 2 d.lgs. n. 254/2016 (ossia un numero superiore medio di 500 dipendenti nell’anno sociale, un attivo di bilancio di € 20 milioni, o un fatturato di € 40 milioni), anche in quanto «società madri» di gruppi di grandi dimensioni (tenute, pertanto a una dichiarazione non finanziaria «consolidata» ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 254/2016), hanno provveduto a depositare la documentazione richiesta. Appare interessante notare che, accanto a queste, altre 16 dichiarazioni non finanziarie sono state depositate volontariamente da altrettanti società od enti [30] in forza della possibilità ammessa dall’art. 7 d.lgs. n. 254/2016. Tutte le dichiarazioni volontarie, al pari di altre 152 rese obbligatoriamente, sono state depositate sotto forma di un apposito documento, mentre solo in 42 casi la dichiarazione non finanziaria è stata racchiusa nella relazione sulla gestione degli amministratori allegata al bilancio [31], applicando, rispettivamente, quanto previsto dalle lett. b) e a) dell’art. 5, primo comma, d.lgs. n. 254/2016. Questa tendenza induce a ritenere, verosimilmente, che la maggior parte delle imprese abbia voluto dare maggiore risalto alla dichiarazione con evidenti finalità comunicative al pubblico, come sembra confermare la scelta uniforme assunta in questo senso dalle società che hanno elaborato la dichiarazione spontaneamente [32]. Un dato ulteriore degno di attenzione risiede nel fatto che tutte le dichiarazioni rese hanno adottato, quali criteri di rendicontazione della performance in temi di sostenibilità ai sensi della lett. f) dell’art. 1, primo comma, d.lgs. n. [...]


5. La nuova direttiva sull’informazione in merito alla sostenibilità in sintesi.

La crescente attenzione del mercato alla comunicazione dell’impegno ai temi della sostenibilità da parte delle imprese è stata colta in sede unionale con il c.d. «Green Deal europeo» del 2019 [48], a mezzo del quale la Commissione ha assunto l’impegno a definire, oltre a una tassonomia delle attività ecosostenibili al fine di indirizzare le risorse degli investitori – realizzata a mezzo del regolamento (UE) 2020/852, entrato in vigore dal 12 luglio 2020 [49] – una migliore trasparenza da parte delle imprese dei dati relativi al clima e all’am­biente [50], di modo che gli investitori siano pienamente informati circa la sostenibilità dei loro investimenti [51]. A questo scopo, la Commissione ha assunto l’impegno di rivedere la direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario a mezzo della CSRD. Quest’ultima punta a realizzare una rivoluzione copernicana in merito all’informazione dell’impegno sostenibile delle imprese, dato che l’intento è quello di «[…] offrire agli utilizzatori delle informazioni comunicate una migliore comprensione dell’andamento, dei risultati dell’attività, della situazione o dell’impatto dell’impresa massimizzando i collegamenti tra le informazioni sulla sostenibilità e altre informazioni comunicate conformemente alla direttiva 2013/34/UE» [52]. Un primo effetto di questo nuovo approccio è la scelta di fornire questi dati non più in un eventuale documento estraneo al bilancio, ma in un’apposita sezione della relazione degli amministratori sulla gestione, come specificato dal nuovo art. 19-bis, primo comma, dir. 2013/34/UE). A ciò si affianca un chiarimento del «principio della doppia rilevanza», già contenuto nella vigente direttiva in materia di informazione non finanziaria, secondo cui devono essere fornite «sia informazioni attinenti al modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sui loro risultati, sulla loro situazione e sul loro andamento (la prospettiva outside-in), sia informazioni inerenti al loro impatto sulle persone e sull’am­biente (la prospettiva inside-out)». In particolare, si specifica nel nuovo, ampio secondo comma dell’art. 19-bis dir. 2013/34/UE che sono considerate significative le informazioni che hanno un [...]


6. Le responsabilità dettate dalla nuova direttiva: un quadro incompleto?

Appare evidente che gli ambiziosi obbiettivi a cui punta il legislatore europeo in merito a un maggiore impegno verso la sostenibilità potranno essere raggiunti solo qualora i dati diffusi corrisponderanno a un impegno reale e verificabile delle società dichiaranti [65]. Se questo dato appare ovvio, meno scontato è ricordare che la perdita di credibilità che dovesse derivare da una falsa o carente informazione resa da una singola società, potrebbe avere effetti sistemici sulla rendicontazione fornita anche da altre imprese, potendo investire interi gruppi o propagarsi attraverso le c.d. «catene di valore», a cui la nuova direttiva specificatamente si indirizza. Per ovviare al pericolo di una diffusione di informazioni false o incomplete va ricordato che già la attuale normativa nazionale – distaccandosi, peraltro, dal dettato unionale – impegna gli amministratori a redigere e pubblicare la dichiarazione non finanziaria, anche di gruppo, non solo secondo il criterio di diligenza (professionale) [66], ma anche secondo quello – apparentemente inedito per i manager [67] – di professionalità, con la conseguenza che i componenti dell’organo amministrativo dovrebbero già avere o, quantomeno, conseguire in tempi rapidi dall’inizio della carica, una specifica perizia in merito ai temi (invero, amplissimi) della sostenibilità per poter assolvere a tale compito [68], al pari dei componenti dell’organo di controllo, che, oltre a vigilare sul corretto adempimento dei primi, devono relazionare annualmente all’assemblea dei soci, ai sensi dell’art. 3, settimo comma, d.lgs. n. 254/2016. A ciò si aggiunga che l’art. 3, decimo comma, d.lgs. n. 254/2016 – adottando una possibilità concessa dal dettato normativo sovranazionale – impone che la dichiarazione non finanziaria sia sottoposta a revisione legale, la cui attestazione dia conto della conformità delle informazioni fornite rispetto a quanto richiesto dal d.lgs. n. 254/2016, nonché ai principi, alle metodologie e alle modalità di rendicontazione adottate. Tanto i componenti dell’organo gestorio, quanto quelli dell’organo di controllo, oltre ai soggetti incaricati della revisione sono esposti a sanzioni amministrative irrogate da Consob ex art. 8 d.lgs. n. 254/2016 sulla base della previsione racchiusa [...]


NOTE