Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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I contratti d'impresa a ottant'anni dal codice civile: profili ricostruttivi a partire dall'esperienza giurisprudenziale in materia di contratti bancari e finanziari (di Aurelio Mirone, Professore ordinario di diritto commerciale, Università di Catania)


L'articolo affronta il tema della possibilità di ricostruire uno statuto unitario dei contratti d'impresa, caratterizzato da profili disciplinari autonomi rispetto ai contratti di diritto civile. L’analisi viene condotta alla luce della recente e complessa evoluzione della giurisprudenza in materia di contratti bancari e finanziari. In questa prospettiva, vengono indagati numerosi profili che possono distanziare la disciplina dei contratti commerciali da quelli civili: l'interpretazione (in particolare, la possibilità di interpretare diversamente le norme di legge nei due ambiti e la possibilità di un diverso approccio all’analogia legis), l’evo­luzione del formalismo e del requisito di determinatezza degli elementi contrattuali essenziali, il sistema rimediale (in particolare, il ruolo della sanzione invalidativa nel sistema).

Entrepreneurial contracts eighty years after the civil code: reconstructive profiles starting from the jurisprudential experience in the field of banking and financial contracts

The article addresses the issue of the possibility of reconstructing a unitary statute of business contracts, characterized by autonomous disciplinary profiles with respect to civil law contracts. The analysis is conducted in the light of the recent and complex evolution of the jurisprudence on banking and financial contracts. In this perspective, numerous profiles are investigated that can distance the regulation of commercial contracts from civil ones: interpretation (in particular, the possibility of interpreting the rules of law differently in the two areas and the possibility of a different approach to the analogy), the evolution of formalism and of the instances of determination of the essential contractual elements, the remedial system (in particular, the role of the invalidity sanction in the system).

Sommario/Summary:

1. I contratti d’impresa a ottant’anni dal codice civile: introduzione. - 2. L’interpretazione differenziata e il ricorso all’analogia legis, tra sistemi e sotto-sistemi della legislazione commerciale. - 2.1. I tassi negativi nelle operazioni bancarie. - 2.2. Il ius variandi nelle operazioni bancarie e nei servizi di pagamento. - 2.3. L’estinzione anticipata del credito immobiliare ai consumatori. - 2.4. Sull’analogia inter-settoriale: le sanzioni civili per la scorretta valutazione del merito creditizio; le violazioni in materia di ISC; le clausole claims made. - 3. Arretramento o evoluzione del formalismo negoziale? - 4. Determinabilità dell’oggetto e del corrispettivo. - 5. I rimedi e lo statuto della nullità di protezione: nuovi paradigmi o nuovi dogmi? - 5.1. Nullità vs. altri rimedi. - 5.1.1. Norme imperative e disapplicazione dei regimi di favore (il caso del mutuo fondiario eccedente). - 5.2. Collegamenti negoziali e collegamenti funzionali. - 5.2.1. La nullità degli ordini di investimento derivante dai vizi del contratto-quadro. - 5.2.2. La nullità dei contratti a valle di intese anticoncorrenziali. - 6. Conclusioni. - NOTE


1. I contratti d’impresa a ottant’anni dal codice civile: introduzione.

L’ultimo decennio ha registrato una significativa evoluzione, per quanto assai disarmonica, nel percorso volto alla costruzione di una teoria dei contratti d’impresa [1], dotata di forte autonomia rispetto alla disciplina generale del contratto, che nasce e resta sostanzialmente fondata sul modello della contrattazione individuale tra pari [2]. A grandi linee, questo percorso si è articolato, dall’emanazione del codice civile ad oggi, in tre fasi. In un primo periodo, caratterizzato dall’impegno prevalente di alcuni gius-commercialisti [3], la dottrina ha privilegiato il tentativo di individuare e valorizzare le deroghe alle norme di parte generale già presenti nel codice civile, caratterizzanti i contratti d’impresa (v., ad es., l’art. 1330 c.c.), intesi come contratti che da almeno una delle parti siano inseriti funzionalmente nell’eser­cizio dell’attività imprenditoriale [4], restando pertanto ancora lontana dall’idea di una vera e propria autonomia della categoria in questione rispetto a quella “civilistica” [5]. Una seconda fase si è sviluppata da un lato per effetto del diffondersi di modelli contrattuali nati nella prassi internazionale degli affari a partire già dagli anni ’70 del secolo scorso (da qui anche l’attenzione alla c.d. lex mercatoria) [6], e dall’altro per effetto della legislazione speciale ad impulso prevalentemente europeo nelle materie del diritto della concorrenza, del diritto dei consumatori e del diritto dei mercati regolati (e in particolare del sistema finanziario), avviata dalla fine degli anni ’80. Questa fase risulta almeno all’inizio contraddistinta dal tentativo, ad opera soprattutto della dottrina civilistica, di individuare nuove categorie contrattuali aventi carattere settoriale o trasversale, caratterizzate da logiche speciali o quanto meno evolutive rispetto alla parte generale del codice civile: i contratti alieni (caratterizzati dalla pretesa esaustività ed extraterritorialità del testo contrattuale) [7], i contratti B2C (caratterizzati dalla tutela del consumatore) [8] e i contratti asimmetrici [9], il terzo contratto (caratterizzato dalla tutela della parte debole) [10], i contratti del mercato bancario e finanziario (caratterizzati dalla tutela del cliente in quanto tale e dalla vigilanza pubblicistica) [11], [...]


2. L’interpretazione differenziata e il ricorso all’analogia legis, tra sistemi e sotto-sistemi della legislazione commerciale.

Un primo profilo di grande interesse è rappresentato dai criteri d’inter­pretazione delle norme, e dei contratti stessi, che presenta rilevanti potenzialità sistematiche al fine di delineare una prospettiva di forte autonomia dei contratti d’impresa rispetto ai contratti civili. L’ambito problematico in questione è particolarmente vasto e complesso, e include anche quello del possibile disallineamento dei limiti all’autonomia privata, che potrebbero intendersi diversamente articolati a seconda che un contratto ricada nell’ambito dell’area civile o di quella commerciale, assicurando maggiori margini di manovra al secondo, in cui l’autonomia privata si inserisce nel più ampio contesto dell’autonomia d’impresa [29]. In quest’ottica, si cercherà di evidenziare la sempre maggiore rilevanza del tema sul piano pratico e di argomentare la plausibilità della prospettiva dicotomica, a partire da alcuni casi problematici di significativo interesse.


2.1. I tassi negativi nelle operazioni bancarie.

Un caso recente, in tema di interpretazione differenziata, riguarda la legittimità di clausole che prevedano un tasso negativo nei depositi bancari, risolta nel senso della nullità da una sentenza del Landgericht Berlin [30], che ha ricevuto commenti favorevoli in dottrina [31]. La sentenza riguarda in realtà un caso di variazione unilaterale delle condizioni contrattuali, contestata tramite un’azione inibitoria di classe, onde il problema poteva essere forse affrontato esclusivamente sotto il profilo della giusta causa della variazione. Al riguardo, peraltro, il potere d’intervento del giudice tedesco avrebbe potuto essere ancor maggiore di quello italiano, dato che l’Inhaltskontrolle dell’AGB-Gesetz presenta per taluni aspetti una portata più ampia rispetto alla disciplina nazionale ed alla stessa normativa europea [32]. E in tale ottica, sarebbe forse risultata comprensibile una valutazione di illegittimità della modifica, come contraria alla Treu und Glauben, e cioè del tutto inaspettata siccome non rientrante nel novero di modifiche che la clientela poteva ritenere astrattamente plausibili al momento della sottoscrizione del contratto [33]. Tuttavia, la sentenza afferma a chiare lettere la necessità di rispettare nel contratto di deposito bancario il nucleo causale tipico del contratto di mutuo, sulla base del quale non potrebbe ammettersi la validità del mutuo oneroso per il mutuante [34]. Ed anche la notazione che il deposito bancario abbia non solo una funzione finanziaria, ma anche una funzione di custodia [35], non viene ritenuta idonea a superare il principio di origine civilistica, rilevandosi che la funzione di custodia potrebbe essere remunerata da altri oneri (spese e commissioni) ma non dalla corresponsione di interessi negativi, che sarebbero privi di giustificazione causale. La tesi non risulta tuttavia convincente, proprio in virtù del canone di interpretazione differenziata, che impone quanto meno una verifica in concreto della ragionevolezza nell’ambito dei contrati commerciali dei principi e delle regole derivanti dalla tradizione civilistica [36]. Ed infatti, l’inserimento di una singola operazione in una complessa attività come quella bancaria, governata da un autonomo sistema normativo, richiede di considerare ad ampio raggio gli effetti di un’interpretazione nettamente [...]


2.2. Il ius variandi nelle operazioni bancarie e nei servizi di pagamento.

Un secondo versante è rappresentato dall’interpretazione differenziata di norme simili, o comunque regolanti fattispecie simili, previsti in diversi sotto-sistemi normativi dei contratti commerciali. Un caso rilevante è quello del confronto tra l’art. 118 t.u.b. e l’art. 126-sexies t.u.b., che presentano talune differenze testuali, le più significative delle quali sono: a) la previsione del giustificato motivo come limite generale al potere di variazione nell’art. 118 per il ius variandi nelle operazioni bancarie e finanziarie, contrapposto alla diversa scelta dell’art. 126-sexies di limitare il giustificato motivo nei servizi di pagamento ai soli rapporti con i consumatori [43]; b) la previsione nel solo art. 126-sexies, e non nell’art. 118, del diritto per il cliente di rifiutare la proposta di modifica, oltre che di recedere. Anche in questo caso, sono presenti delle interpretazioni “attenuanti” rispetto alla particolarità dei diversi servizi bancari e finanziari considerati dalle norme, almeno su due profili, per i quali entra chiaramente in gioco l’influen­za della disciplina generale del contratto. Un primo profilo riguarda la ricostruzione dogmatica dell’istituto, che viene visto da taluni in ottica derogatoria rispetto alla regola di vincolatività dell’accordo contrattuale per le parti, e in tal senso ricondotto ad una forma di consenso tacito del cliente, derivante dal suo mancato recesso, allo scopo di ricondurre ad unità il sistema [44]. Di contro, sembra potersi osservare che tale ricostruzione è plausibile solamente nel modello dell’art. 126-sexies, in cui è data dal cliente anche la facoltà di opporsi alla modifica, e non in quello dell’art. 118, in cui tale facoltà non è concessa e pertanto l’istituto va ricostruito come diritto potestativo della banca [45], in linea con la centralità che tale facoltà riveste per la banca nell’ambito dei servizi connessi al nucleo dell’inter­mediazione creditizia ed alle conseguenti esigenze di stabilità del sistema bancario [46]. Ciò conduce una diversa ricostruzione dogmatica della stessa figura normativa, pur nell’ambito dello stesso settore e cioè quello della trasparenza bancaria, valorizzando le differenze testuali delle norme e le particolarità del [...]


2.3. L’estinzione anticipata del credito immobiliare ai consumatori.

Recentemente, di contro, non è stata esclusa, ed anzi affermata, la possibilità di pervenire ad interpretazioni opposte di una norma di per sé identica, prevista in due sotto-sistemi normativi molto vicini, e cioè da un lato quello del credito ai consumatori e dall’altro quello del credito immobiliare ai consumatori. È noto, infatti, che l’art. 125-sexies t.u.b., alla luce della sentenza Lexitor [49], deve interpretarsi nel senso che il consumatore, in caso di rimborso anticipato del prestito, ha diritto alla restituzione degli oneri non goduti anche se essi presentano carattere up front e pertanto abbiano ad oggetto prestazioni già interamente rese in occasione della conclusione del contratto (ad es., commissioni agente, mediatore, istruttoria) [50], sulla base di un’interpretazione che ha valorizzato: (a) la ratio di tutela del consumatore; (b) il rischio che la banca determini unilateralmente e a proprio indebito vantaggio la ripartizione degli oneri up front e recurring; (c) la possibilità per la banca di prevedere un indennizzo nei casi che in Italia sono regolati dal quarto comma. Opposta decisione, invece, è stata assunta dalla CGUE a proposito del­l’interpretazione della direttiva europea sul credito immobiliare ai consumatori [51], in ordine alla questione pregiudiziale rimessale dalla Corte suprema austriaca [52], nonostante la norma (art. 25.1, dir. 2014/17/UE) sia identica rispetto a quella contenuta nella direttiva sul credito al consumo (art. 16.1, dir. 2008/48/CE). A chiare lettere la sentenza, infatti, pur evidenziando che «la direttiva in parola dovrebbe essere coerente con gli altri atti adottati nel settore della protezione dei consumatori, nonché complementare ad essi», ritiene poi che tali istanze debbano cedere il passo a fronte dell’importanza di «tenere conto delle specificità dei contratti di credito relativi a beni immobili residenziali, specificità che giustificano un approccio differenziato». In tal senso, già le (più articolate ed interessanti) conclusioni dell’Avvocato generale [53] e della dottrina [54], avevano ritenuto auspicabile l’interpretazione differenziata, pur in presenza della medesima ratio di forte tutela dei consumatori, per la particolare rilevanza di alcuni elementi “esterni”, complessivamente considerati, e [...]


2.4. Sull’analogia inter-settoriale: le sanzioni civili per la scorretta valutazione del merito creditizio; le violazioni in materia di ISC; le clausole claims made.

Sotto altro profilo, può senz’altro convenirsi con l’idea che il ricorso all’analogia legis nella nuova legislazione in materia di contratti d’impresa sia praticabile con maggiore facilità rispetto a quanto si è abituati a ritenere per le norme codicistiche sui singoli contratti. Ed infatti, la formazione incessante di questa legislazione può indurre a ritenere che norme e soluzioni nuove, elaborate nell’ambito di un determinato sotto-sistema, siano rappresentative di istanze più generali, alle quali il legislatore dà progressivamente risposta, e come tali estensibili a fattispecie simili, prima non regolate. i) Ad esempio, non sembra convincente confinare al solo credito immobiliare ai consumatori il nuovo rimedio previsto dall’art. 120-undeciesu.b., come sanzione per la non corretta valutazione del merito creditizio da parte dell’intermediario[60], consistente nell’inibizione della risoluzione del contratto e nel divieto di apportare modifiche in pejus[61]. Non sussistono, infatti, a prima vista valide ragioni per trattare diversamente le altre operazioni di finanziamento ai consumatori [62], in assenza di previsioni normative che prevedano altri e diversi rimedi [63]. Ed anzi, l’elaborazione normativa di una soluzione concreta e più efficace del rimedio risarcitorio generale [64] può contribuire a colmare quella lacuna da molti sottolineata in relazione all’analogo dovere [65] previsto per il credito al consumo dall’art. 124-bis, che presenta caratteristiche sostanziali molto simili [66], potendosi semmai osservare che, in assenza di garanzie ipotecarie, il profilo della valutazione del merito creditizio è ancor più pregnante di quanto già valga nei mutui immobiliari [67]. ii) Sempre in quest’ottica, non convince del tutto la posizione assunta dalla giurisprudenza dominante, secondo cui non sarebbe applicabile analogicamente fuori dal credito al consumo l’art. 125-bis, sesto comma, t.u.b.[68], che prevede la nullità del TAEG errato e la sua sostituzione con i criteri di cui al settimo comma (ritenuti applicabili anche al caso di assenza del TAEG)[69]. Il fatto che il c.d. ISC sia previsto, al di fuori dal credito al consumo, solamente dalla normativa secondaria del CICR e della Banca d’Italia, non sembra infatti dirimente, stante il potere regolamentare [...]


3. Arretramento o evoluzione del formalismo negoziale?

Una linea di tendenza caratteristica dei contratti d’impresa è stata individuata da molti nella riduzione del peso del formalismo, non solamente nella contrattazione d’impresa tra pari [80], ma anche nel settore dei contratti bancari e finanziari [81], grazie all’impulso della sentenza delle sezioni unite sul contratto “monofirma” [82]. In realtà, questa prospettiva da un lato desta alcune perplessità, e dall’altro non appare così salda, se non in una diversa sfumatura, e cioè nel senso della necessità di regole in parte autonome e più articolate rispetto a quelle codicistiche, volte ad assicurare comunque un idoneo grado di certezza e di documentabilità delle relazioni contrattuali. L’argomento non può essere affrontato senza un cenno al caposaldo del­l’approccio antiformalista, e cioè la sentenza sul contratto monofirma, rispetto alla quale meritano di essere riproposte le critiche già espresse in altra sede [83], e in particolare: a) la costruzione di una forma “funzionale”, contrapposta alla forma “strutturale” del codice civile, da un lato non tiene conto che tutte le previsioni formali presentano un profilo strutturale e uno funzionale, e dall’altro è fondata sulla sopravvalutazione della funzione informativa del contratto in ambito bancario e finanziario, che è invece residuale nel sistema, tanto è vero che la legislazione europea colloca gli oneri informativi nella fase precontrattuale e non in quella contrattuale, raramente presa in considerazione; b) l’obbligatorietà della forma scritta a pena di nullità, anche in materia di credito al consumo (art. 125-bis, primo comma)[84] e servizi di pagamento (art. 126-quinquies, primo comma), per i quali è già previsto dalle direttive europee (diversamente dall’art. 116) l’obbligo della banca di fornire per iscritto o su supporto durevole anticipatamente al cliente tutte le condizioni contrattuali del singolo rapporto, dimostra come sia verosimile che il legislatore nazionale abbia voluto estendere anche a tali contratti la previsione della classica forma scritta a fini di validità del contratto; c) numerosi frammenti normativi in materia di contatti d’impresa (si pensi all’art. 1888, secondo comma, c.c., in materia di contratti [...]


4. Determinabilità dell’oggetto e del corrispettivo.

Altro profilo che presenta interesse, al fine di cogliere le specificità dei contratti d’impresa, è quello relativo al necessario livello di determinatezza degli elementi essenziali del contratto, quali l’oggetto e il corrispettivo. Tuttavia, anche in questo caso le indicazioni che provengono dall’elabo­razione giurisprudenziale in materia bancaria e finanziaria sono alquanto contrastanti e non depongono verso una chiara linea d’indirizzo, essendo i singoli problemi caratterizzati da un forte livello di specificità. In ottica di una notevole restrizione della flessibilità nella determinazione degli elementi contrattuali, si possono tuttavia richiamare numerose recenti vicende. In materia di garanzie rotative, la Cassazione sembra attestata su una posizione rigida, essendo orientata per la totale inefficacia in caso di mancata indicazione del valore massimo dei beni sostitutivi [92], nonostante appaia ragionevole prospettare un’interpretazione conservativa, che ancori il massimo al minimo eventualmente indicato in contratto, così salvando le ipotesi – tutt’altro infrequenti – in cui la garanzia concretamente escussa risulti inferiore allo stesso minimo contrattuale. Nei contratti derivati over the counter, la giurisprudenza prevalente ritiene oramai necessaria la specificazione in sede contrattuale del mark to market, con ciò di fatto aumentando il livello di determinatezza degli elementi essenziali del contratto [93], nonostante la difficoltà – sottolineata da molti – a poter assumere come elemento essenziale del contratto un presupposto che non era previsto dalla regolamentazione normativa vigente a livello europeo, in un contesto di armonizzazione massima [94]. Quanto al ius variandi bancario e finanziario, le modifiche apportate al­l’art. 118 t.u.b. in materia di contratti di durata a tempo determinato, che consentono la modifica dei tassi nei contratti con soggetti diversi da consumatori e microimprese, a condizione che siano preventivamente indicati nei contratti gli specifici eventi e condizioni che legittimano la variazione, costituiscono un altro elemento indice di cautela rispetto all’istanza di flessibilità nella determinabilità in itinere dei corrispettivi [95]. E nella medesima direzione, può collocarsi la giurisprudenza della Corte di Giustizia che applica in modo [...]


5. I rimedi e lo statuto della nullità di protezione: nuovi paradigmi o nuovi dogmi?

Ancor più complesso è individuare criteri ordinanti nella materia dei rimedi civili, che è stata recentemente caratterizzata da un elevato tasso di innovazione a livello giurisprudenziale, grazie all’elaborazione di soluzioni che presentano una forte autonomia rispetto al tradizionale strumentario civilistico. In particolare, un primo profilo che desta interesse è quello del regime della nullità, che viene spesso adattato alle particolarità del caso, non senza destare perplessità sul piano della coerenza del sistema [101]. Ad esempio, per il problema della c.d. nullità selettiva, la soluzione delle sezioni unite [102], che da un lato ammette a monte l’esercizio mirato dell’azione da parte del cliente su singoli ordini di investimento, ma dall’altro consente all’intermediario di eccepire in compensazione tutti i guadagni effettuati nelle altre operazioni, sulla base di una configurazione unitaria del rapporto, dà luogo ad una sorta di nullità “riequilibrata” [103], che utilizza il principio di buona fede non già per paralizzare in casi eccezionali a monte l’azione [104], ma per incidere restrittivamente sulle conseguenze restitutorie della dichiarazione di invalidità. In tal caso, lascia innanzitutto perplessi l’argomento, già utilizzato a proposito della questione del contratto monofirma [105], per cui il regime della nullità di protezione, proprio perché regime di favore per la parte debole, richiederebbe un riequilibrio in via interpretativa, mediante l’elaborazione di controlimiti interni alla disciplina che non trovano di per sé validi appigli normativi, né pervengono ad approdi sicuri, come dimostra il fatto che la stessa sentenza lascia intendere la possibilità di pervenire a diversa soluzione, più favorevole per il cliente, nel caso di mancanza del contratto [106]. Il risultato concreto è comunque quello di pervenire ad una soluzione che non si distacca in concreto da quella che nega la possibilità di selezione da parte del cliente, e pertanto consente di fatto all’intermediario di avvalersi della nullità in via di eccezione riconvenzionale, in sostanziale contraddizione con lo statuto della nullità relativa di protezione [107]. Ed ancora, per le clausole claims made la posizione delle [...]


5.1. Nullità vs. altri rimedi.

Alquanto complesso, sotto altro profilo, è comprendere se esista o meno una tendenza giurisprudenziale a valorizzare il rimedio invalidativo rispetto a quello risarcitorio generale, o a rimedi alternativi come il risarcimento in forma specifica o quello inibitorio. Sul punto può solo dirsi, con una certa approssimazione, che non sembra esistere una chiara propensione della giurisprudenza in favore di una determinata tipologia di rimedi [120], mantenendo comunque il rimedio invalidativo un significativo spazio nel sistema, come soluzione che assicura una forte tutela al cliente e che risponde normalmente a schemi applicabili in modo più agevole del rimedio risarcitorio e con immediata soddisfazione della parte debole [121]. Volendo immaginare un bilancio delle più recenti querelle giurisprudenziali, gli esiti complessivi si dimostrano del resto molto articolati. In alcuni casi, la sanzione invalidativa è stata esclusa [122], nonostante un consistente orientamento volto invece ad applicarla. In particolare, oltre ai richiamati casi della nullità selettiva e degli interessi moratori ultra-soglia, va segnalato come nel caso del mutuo fondiario eccedente la soglia della finanziabilità ex art. 38 t.u.b., la soluzione delle sezioni unite derubrica la violazione ad un illecito regolamentare sanzionabile sul piano della vigilanza [123], non escludendosi naturalmente eventuali conseguenze sul piano risarcitorio (nei confronti del debitore o dei terzi). In molti altri casi, tuttavia, la sanzione invalidativa è stata riaffermata in giurisprudenza, nonostante un forte orientamento contrario: a) nella vicenda delle fideiussioni conformi al modello ABI, le sezioni unite hanno sciolto in senso positivo il nodo relativo alla trasmissione a valle, sia pur parziale, della violazione antitrust, ritenendo che il comportamento della banca non sia affetto tanto da nullità derivata, ma integri esso stesso violazione dell’art. 2 l. n. 287/1990, che coprirebbe estensivamente anche i comportamenti negoziali adottati dalle imprese destinatarie di raccomandazioni da parte dell’as­socia­zione di categoria [124]; b) per i derivati, la nullità viene affermata non solamente per vizi contenutistici, come la mancata indicazione del mark to market, ma anche per carenze informative, come la mancata prospettazione dei c.d. scenari alternativi [125]; c) in un caso, la [...]


5.1.1. Norme imperative e disapplicazione dei regimi di favore (il caso del mutuo fondiario eccedente).

La giurisprudenza della Cassazione appare inoltre attraversata da un’im­portante dialettica interna a proposito dell’ambito di applicabilità della nullità virtuale di cui all’art. 1418, primo comma, c.c., oscillando tra un orientamento prepotentemente riemerso, e volto a contestare la «inattendibilità della identificazione delle norme imperative con quelle inderogabili», limitando la fattispecie al caso di norme che «costituiscono espressione di interessi pubblici fondamentali per l’ordinamento», fino ad ipotizzare una «marginalità della categoria della nullità» non testuale, che dovrebbe essere comunque limitata a norme aventi «contenuti sufficientemente specifici» [132]; ed uno ben più estensivo, volto a valorizzare l’efficacia deterrente della sanzione invalidativa e a riconoscere con maggiore facilità il carattere dell’imperatività a fronte della presenza di interessi generali comunque coinvolti nella disciplina violata [133]. Un rimedio che richiederebbe di essere forse maggiormente valorizzato è tuttavia quello della disapplicazione dei regimi normativi di favore, concessi sulla base di determinati presupposti che risultino mancanti nella fattispecie. In tal senso, se può apprezzarsi il fatto che le sezioni unite abbiano condivisibilmente escluso il ricorso alla sanzione invalidativa nel caso del mutuo fondiario eccedente la soglia di finanziabilità prevista dall’art. 38, secondo comma, t.u.b., riaffermando la distinzione tra norme di condotta e norme di contenuto, meno condivisibile è il confinamento della violazione al solo ambito della vigilanza pubblicistica. Invero, alcuni argomenti addotti dalla sentenza contro la soluzione della nullità non appaiono in sé dirimenti. Ad es., la circostanza che il limite del­l’80% sia fissato da norma regolamentare non costituisce motivo per negare carattere imperativo alla stessa, in quanto derivante da apposita delega ben circostanziata; né lo è il fatto che il limite sia in alcuni casi derogabile fino al 100% del valore, potendosi replicare che anche altre norme imperative, come l’art. 117 t.u.b. in materia di forma dei contratti, conoscono talune aree di deroga. Quanto alla circostanza che la verifica del limite dipende da valutazioni come tali intrinsecamente opinabili, [...]


5.2. Collegamenti negoziali e collegamenti funzionali.

La considerazione degli interessi in gioco e delle dinamiche dell’attività imprenditoriale sono profili oramai stabilmente presi in considerazione dalla giurisprudenza. Un ruolo rilevante nel processo interpretativo in materia di invalidità dei contratti d’impresa è tuttavia ancora svolto da alcune figure civilistiche tradizionali, che dimostrano rinnovata vitalità [141]. Riveste, pertanto, indubbio interesse approfondire criticamente l’utilizzo di queste figure, e in questa direzione potrebbe essere utile approfondire la funzione che in alcune vicende giurisprudenziali ha svolto la nozione di “collegamento”, che si presenta declinata, sia pure con diversa logica, da un lato nel caso del rapporto tra contratto quadro e singoli ordini di investimento [142], e dall’altro lato in quello intercorrente tra intese concorrenziali e negozi “a valle” [143]. In particolare, la prima figura – che la giurisprudenza in effetti non qualifica come vero e proprio collegamento negoziale, limitandosi ad assumere che la nullità del contratto quadro, inteso come mandato, comporti necessariamente la nullità dei singoli contratti, siccome “dipendenti” dal primo [144] – costituisce il presupposto, in ottica “micro” ed intersoggettiva, del problema affrontato nella sentenza delle sezioni unite sulla nullità selettiva. L’intera questione dà per scontato, infatti, che la nullità del contratto quadro determini anche la nullità di tutte le singole operazioni finanziarie effettuate nell’ambito dei servizi di investimento concretamente attivati dal cliente. La seconda, qualificata come collegamento “funzionale”, costituisce invece il presupposto della trasmissione a valle – in ottica “marco” e di mercato – della violazione della normativa antitrust in materia di intese, che intenderebbe abbracciare, secondo la prospettazione delle sezioni unite, tutti i comportamenti negoziali concretamente influenzati dall’intesa stessa, anche se que­st’ultima sia posta in essere da terzi (in particolare, da un’associazione imprenditoriale), e pertanto indipendentemente dalla partecipazione delle imprese ad una qualche forma di consapevole collaborazione, requisito tipicamente necessario per il riconoscimento di una pratica concordata ad esse direttamente [...]


5.2.1. La nullità degli ordini di investimento derivante dai vizi del contratto-quadro.

In relazione al tema della nullità selettiva, la nota soluzione adottata dalle sezioni unite – che consente di fatto all’intermediario di eccepire in compensazione i guadagni ottenuti dalle operazioni non impugnate – è generalmente ritenuta poco soddisfacente [146], sia pure a partire da posizioni di partenza opposte, essendo la dottrina divisa tra i fautori della possibilità di piena selezione in coerenza con il carattere relativo della nullità [147], e quelli contrari alla possibilità di limitare la portata della dichiarazione di nullità ed i conseguenti effetti restitutori una volta che il cliente abbia deciso di agire in giudizio [148]. Sorprende però, nella vicenda in questione, come sia dia per scontato che la nullità del contratto quadro travolga tutte le operazioni, determinando una sanzione più grave di quella che si applica se l’intermediario viola in concreto i ben più importanti presidi informativi previsti dalla legge in ordine alle singole operazioni e servizi, e che vale anche se tali presidi siano stati interamente soddisfatti e pertanto l’operazione sia pienamente adeguata e conforme al profilo del cliente (e pertanto ai suoi obiettivi di investimento, alle sue conoscenze finanziarie e al suo grado di sopportazione del rischio). Non a caso, la sentenza lascia insoddisfatti già per il fatto di ipotizzare due soluzioni diverse tra contratto nullo e inesistente [149], il che non sembra molto razionale, visto che il contratto non firmato dal cliente non dovrebbe presentare un valore giuridico diverso da quello della mancanza assoluta del contratto. Inoltre, la sentenza: a) determina l’inevitabile effetto di imporre una valutazione unitaria dell’intero rapporto, anche quando questo sia durato per lungo tempo ed il cliente abbia attivato servizi tra loro diversi, che possono spaziare dalla negoziazione di ordini alla gestione patrimoniale [150]; b) affida l’esito concreto del giudizio ad una mera operazione aritmetica, senza tenere conto né della naturale fruttuosità del denaro [151], né dei risultati attesi sulla base dei benchmark applicabili al rapporto e degli obiettivi di investimento del cliente; c) sul piano ricostruttivo, è costretta ad usare la buona fede in funzione correttiva della nullità, svalutando (come nel caso della sentenza sul contratto [...]


5.2.2. La nullità dei contratti a valle di intese anticoncorrenziali.

La sentenza delle sezioni unite sulla nullità a valle per violazioni antitrust valorizza, invece, il concetto di collegamento funzionale tra intesa e negozio a valle, individuato in quel negozio la cui attuazione è coerente con la realizzazione dell’effetto anticoncorrenziale, tanto da costituire, secondo la sentenza, effetto inscindibile dell’intesa stessa. In questo senso, colpisce come una nozione ben più debole rispetto a (e radicalmente diversa da) quella di collegamento negoziale, sia in grado di determinare effetti invalidativi a catena che si propagano nell’intero mercato, e pertanto in modo qualitativamente e quantitativamente ben più forte di quello che accade in caso di invalidazione del singolo negozio collegato per l’invalidità del negozio principale. In questa sede, poco rileva il carattere assoluto o parziale della nullità [158], che dipende in linea di massima dalla concreta configurazione dell’illecito antitrust a monte (che può interessare l’intesa nel suo insieme o ad alcuni aspetti della stessa), mentre si vuole esaminare criticamente proprio il concetto di collegamento funzionale, che costituirebbe il presupposto necessario e sufficiente per l’attivazione del meccanismo di trasmissione dell’invalidità (o se si vuole, di agganciamento della condotta a valle nell’area coperta dal divieto delle intese anticoncorrenziali). Il profilo più critico della sentenza, infatti, risiede proprio nella mancata considerazione dell’orientamento dottrinale che limitava la trasmissione a valle ai soli casi di Ausführungsverträge, caratterizzati non solo dalla finalità di attuazione di un’intesa anticoncorrenziale cui partecipino direttamente le imprese cui venga imputata la contrattazione a valle, ma anche e soprattutto dalla loro autonoma capacità anticoncorrenziale [159], con esclusione invece dei Folgeverträge, e cioè dei negozi le cui condizioni contrattuali sono influenzate da un’intesa, che determina un effetto più o meno stringente – a seconda dei casi – di uniformazione dell’offerta sul mercato [160]. Si afferma, così, un principio dotato di potenzialità dirompenti [161], ove si pensi che nella specie l’illecito a monte era oggettivamente di relativa intensità – non essendo stata l’ABI [...]


6. Conclusioni.

L’esame condotto mostra un quadro in forte evoluzione, caratterizzato dal­l’emersione di questioni sempre nuove, che mettono a dura prova il lavoro del giurista, e nel quale è sempre più importante il confronto tra la logica del diritto dei contratti e quella del diritto dell’impresa, inevitabilmente destinate ad avvicinarsi allorché il confronto si sviluppi sul piano degli interessi in gioco e degli effetti delle soluzioni interpretative sulla conduzione delle attività economiche e sulla funzionalità dei mercati. Il sistema normativo in materia di contratti d’impresa deriva del resto dalla combinazione di una serie di rationes in potenziale conflitto: la regolazione efficiente del mercato e il suo sviluppo quali-quantitativo, la salvaguardia di sufficienti spazi per l’autonomia d’impresa, la correzione delle asimmetrie informative, la protezione dei soggetti deboli da abusi e scelte irrazionali. Le soluzioni normative ed interpretative dipendono spesso dalle specifiche caratteristiche dei singoli mercati e servizi, con la conseguenza che l’indivi­duazione di criteri ordinanti ed unificanti appare operazione particolarmente complessa, la cui concreta utilità dipende comunque dalla capacità di farne buon uso nelle singole circostanze.


NOTE