Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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“Società di persone” e “società di capitali”: due (sotto)categorie sul viale del tramonto (di Sergio Patriarca, Professore ordinario di diritto commerciale, Università degli Studi dell'Insubria, sede di Varese)


La tesi dell'Autore è quella dell'inattualità della distinzione, pur cristallizzata con la Riforma del 2003, tra le due tradizionali sottocategorie di società. Per dimostrarlo l'Autore, dopo aver mosso dalle ampie possibilità, consentite dalla Riforma, di adottare, soprattutto per la s.r.l., soluzioni tipiche delle società personali, rivolge la propria attenzione alle due società accomandite, che rappresentano senza dubbio dei modelli ibridi. In particolare, viene analizzata in modo approfondito la posizione dell’accomandante di s.a.s., quale socio para-capitalistico, la cui disciplina innesta in quella che continua ad essere una società di persone soluzioni appunto tipiche delle società di capitali. L’esito delle riflessioni dell'Au­tore conduce appunto a concludere che la tradizionale distinzione deve considerarsi ormai sul viale del tramonto.

“Partnerships” and “Corporations”: decreasing differences

The author's thesis is that of the outdatedness of the distinction, albeit crystallised by the 2003 Reform, between the two traditional subcategories of companies. To demonstrate this, the author, starting from the ample possibilities that are allowed by the Reform, to adopt, especially for the s.r.l. (limited liability company), solutions typical of personal companies, turns his attention to the two models of “accomandita”, which undoubtedly represent hybrid models. In particular, the position of the limited partner of an s.a.s. (limited partnership) is analysed in detail, as a para-capitalistic partner, whose framework grafts solutions typical of corporations into what continues to be a partnership. The outcome of the author’s reflections leads to the conclusion that the traditional distinction must now be considered to be on the decline.

Sommario/Summary:

1. Impostazione del problema. - 2. Momenti di avvicinamento della disciplina delle società di persone a quella delle società di capitali. - 3. Qualche considerazione di carattere lessicale. - 4. La s.a.p.a. come mera variante della s.p.a.? - 5. La società in accomandita semplice: l’accomandante come socio “capitalista”. - 6. (segue). Libertà di circolazione della partecipazione e modalità “capitalistica” di assunzione delle decisioni. - 7. (segue). L’irripetibilità degli utili percepiti in buona fede e il potere di approvare i conti annuali. - 8. Poteri di controllo e diritto di impugnare il bilancio. - 9. Sopravvenuta inattualità della distinzione tra due sottocategorie di società. - NOTE


1. Impostazione del problema.

Nell’ambito del tradizionale corso di diritto commerciale era per me prassi costante, dopo avere descritto il contratto di società, prospettare le differenze più salienti, e in certa misura tipologiche, tra le due sottocategorie “società di persone” e “società di capitali”. La descrizione era peraltro corredata dall’av­vertenza, magari più volte ripetuta, che tali differenze erano comunque da considerarsi non già assolute, ma soltanto “tendenziali”. Quest’ultima precisazione scaturiva da due fenomeni, che vanno ad intrecciarsi: da un lato la possibilità, fornita dal legislatore in ordine a tutte le forme societarie, pur nel quadro di un sistema fondato sul principio di tipicità (l’art. 2249 è appunto rubricato “Tipi di società”), di introdurre modifiche anche profonde alla disciplina (alle discipline) di default dettata dalla legge: con la conseguenza di possibili ibridazioni tra i diversi tipi, fino a rasentare, senza peraltro mai superarli, i limiti della indistinguibilità; e dall’altro lato la presenza di due tipologie, quelle delle accomandite, la cui disciplina contravviene per così dire ontologicamente alla differenza che viene tradizionalmente considerata come la più rilevante, ai fini della distinzione tra le sottocategorie, quella che si concentra sulla responsabilità per le obbligazioni sociali. Sotto quest’angolo visuale le due accomandite apparirebbero dunque, di primo acchito, come due tipi in certa misura ibridi. È poi noto che le espressioni “società di persone” e “società di capitali”, pacificamente utilizzate sin da epoca ormai risalente, hanno però trovato collocazione nel codice civile soltanto con la riforma del 2003, che le ha non a caso utilizzate nel quadro della disciplina delle operazioni straordinarie, che possono vedere come protagoniste società di diversa tipologia [1]. Tuttavia, ma probabilmente si tratta di un fenomeno casuale, in punto di tempistica, proprio dal momento della raggiunta “ufficialità” delle due espressioni in esame si è cominciato, certamente con maggiore vigore rispetto al passato, a contestare l’attendibilità stessa della distinzione, o almeno la reale efficacia definitoria delle due espressioni [2]. In effetti si [...]


2. Momenti di avvicinamento della disciplina delle società di persone a quella delle società di capitali.

A quest’ultimo riguardo va comunque brevemente notato che, da un lato, l’avvicinamento della società di capitali alle società personali prosegue anche con riferimento ad altri elementi della disciplina della s.r.l. (si pensi, per fare solo un esempio, alla possibilità, negata invece in materia di s.p.a., di introdurre cause di esclusione del socio); e per converso, tornando alle decisioni non collegiali (almeno quelle dei soci), che non soltanto per quelle che nella s.p.a. sarebbero deliberazioni dell’assembla straordinaria la legge prevede una “normale” deliberazione assembleare, ma che la possibile deroga alla collegialità non è così radicale da consentire risultati analoghi a quelli che derivano dalla disciplina delle società personali. Ciò in quanto l’art. 2479, quinto comma, attribuisce comunque ai soci il diritto a “partecipare” alla decisione [15]. Diversa, e senz’altro molto più radicale, è comunque la scelta di consentire l’adozione, in alternativa allo schema del consiglio di amministrazione, di un sistema di gestione analogo a quello vigente per le società personali (art. 2475, terzo comma). Scelta, da parte del legislatore e, per l’effetto, di coloro che costituiscono la società, che esalta le qualità personali degli amministratori (presumibilmente anche soci); e può sacrificare, se il sistema prescelto fosse quello disgiuntivo, il valore della ponderazione delle decisioni per perseguire la diversa istanza della rapidità delle stesse. Le soluzioni di default proposte dalla legge per la s.r.l. sia in materia di governance, sia di rapporti tra i soci, sono tuttavia ispirate ai principi propri della s.p.a., sia pure con qualche tratto di originalità (come la mancata, esplicita distinzione tra assemblea in sede ordinaria e straordinaria). Ne consegue che la s.r.l. può essere senz’altro considerata una società a geometria variabile, con un raggio davvero molto ampio [16], la cui disciplina pattizia, muovendo appunto da uno schema-base similare a quello della s.p.a. [17], può però quasi sovrapporsi a quella delle società personali, ed in specie della società in nome collettivo [18]. Con la considerevole eccezione, peraltro – e con questo si giunge all’ul­timo elemento differenziatore tra [...]


3. Qualche considerazione di carattere lessicale.

Un’ultima considerazione, prima di trattare dei modelli in qualche misura ibridi delle accomandite, riguarda la giustificazione lessicale che sta alla base dell’individuazione delle due sottocategorie. Parlare di società “di capitali”, contrapponendole alla società “di persone” evoca, sia pure da lontano, la precedente denominazione dell’attuale s.p.a., quella “anonima” che viene peraltro tuttora utilizzata in alcuni Paesi europei: in questi contesti i soci sarebbero – secondo una cruda espressione ottocentesca – dei semplici “sacchi di denaro”, che si uniscono al momento della costituzione della società, e vengono in seguito selezionati, sulla base di considerazioni di carattere economico e non personale. La prevalenza delle caratteristiche soggettive sarebbe invece riscontrabile (e decisiva) nell’altra sottocategoria, nella quale i legami sarebbero appunto di carattere prettamente personale e l’anonimato non sarebbe nemmeno concepibile. Questa differenziazione è peraltro, per sé, davvero grossolana. Se infatti è vero che la disciplina delle società di persone è concepita come un insieme di regole che presuppongono stretti rapporti personali tra i soci, esaltando la natura contrattuale della società (ancorché, come già sottolineato, non sia inconcepibile introdurre nel contratto degli elementi organizzativi caratterizzati da una più o meno decisa nuance di spersonalizzazione), nelle società di capitali, già prima della riforma del 2003, era possibile, e in certa misura “normale”, optare per una più o meno intensa personalizzazione dei rapporti tra soci. Si pensi, soprattutto, alle clausole limitative della circolazione della partecipazione, clausole che (e ci si riferisce soprattutto alla prelazione) sono sostanzialmente di stile nella s.r.l. E clausole che consentono ai soci attuali di selezionare e controllare l’ingresso di nuovi soci, con un evidente scarto a sfavore dell’anonimato [24]. Com’è noto, la situazione si è ulteriormente frammentata a seguito della riforma. Anzitutto la possibilità di introdurre, addirittura nello statuto di una s.p.a., la regola dell’intrasferibilità, sia pure limitata nel tempo (art. 2355-bis, primo comma), contravviene in modo assolutamente palmare a quel [...]


4. La s.a.p.a. come mera variante della s.p.a.?

In questo contesto cercano collocazione le due accomandite, in merito alle quali lo stesso elemento, altrimenti distintivo, della responsabilità per le obbligazioni sociali diventa per così dire anodino, essendo declinato in modo opposto, e in base ad una precisa scelta della legge [28], nell’ambito dello stesso tipo. Muovendo dalla s.a.p.a., modello molto stimolante dal punto di vista sistematico, ma assai poco utilizzato, da sempre, nella prassi, e per giunta “svilito” dai redattori della riforma del 2003, nei cui lavori preparatori si legge che si tratterebbe di una “mera variante” della s.p.a., sembra importante mettere l’ac­cento su una delle caratteristiche peculiari, quella della necessaria coincidenza tra la posizione di accomandatario e il ruolo di amministratore. Importante anche perché, proprio nell’ambito di un modello che non si è mai esitato ad ascrivere alla sottocategoria delle società di capitali, parrebbe manifestarsi in pieno quel principio di corrispondenza tra potere e rischio che, viceversa, si è soliti predicare soprattutto (anche se non esclusivamente) in materia di società personali. Com’è noto, invero, i soci illimitatamente responsabili di questi ultimi modelli rivestono la carica di amministratore soltanto come soluzione di default; potendo l’atto costitutivo/contratto sociale escludere alcuni di essi dal potere di gestione. Viceversa, nella s.a.p.a. l’accomandatario, illimitatamente responsabile [29], viene dotato di una serie di poteri che non si risolvono soltanto nella funzione amministrativa, ma impattano anche sulla governance: è sufficiente ricordare che, ai sensi dell’art. 2460, il consenso di tutti gli accomandatari è necessario per modificare l’atto costitutivo/statuto. Per altro verso, il ruolo particolarmente rilevante che è garantito agli accomandatari stessi esclude per sé, almeno per costoro, la logica dell’investi­mento “anonimo”: i loro poteri non dipendono, com’è fisiologico nelle società di capitali, dalla consistenza della loro quota di partecipazione, ma sono indissolubilmente legati alle loro caratteristiche soggettive [30]. In coerenza con tale “personalizzazione” della posizione di accomandatario, la gestione della società non può essere affidata a soggetti [...]


5. La società in accomandita semplice: l’accomandante come socio “capitalista”.

Un discorso molto più articolato merita l’altra accomandita, ascritta pacificamente alla sottocategoria delle società personali. Si afferma tradizionalmente che questo modello societario è caratterizzato dall’unione tra soci finanziatori/capitalisti (gli accomandanti) e soci gestori: la responsabilità personale dei primi, e l’irresponsabilità dei secondi, sarebbe plasticamente rappresentativa di quella corrispondenza tra potere e rischio cui si è in precedenza accennato. Per la verità, a differenza di quanto accade nell’accomandita “capitalistica”, l’accomandatario, per la cui disciplina c’è un richiamo diretto alla s.n.c. (art. 2318), non è necessariamente amministratore (come di desume dal disposto del secondo comma della norma appena citata), ma – come già osservato – lo è soltanto di “default”. Se l’accomandatario tale incarico non riveste, per quest’ultimo (come per il socio di s.n.c.) al rischio di vedere aggredito il proprio patrimonio personale non corrisponderà il potere di gestire. Lo stesso, del resto, accade anche al socio non amministratore di società semplice che non si sia avvalso della clausola di limitazione della responsabilità. La posizione dell’accomandante, esaminata attraverso il filtro della endiadi spersonalizzazione vs. rilievo delle caratteristiche personali, è decisamente ibrida; ciò al di là delle prime impressioni, legate alla già citata circostanza che il suo conferimento – almeno secondo interpretazione dominante – è necessariamente di natura capitalistica [32], con la conseguente (apparente) equiparabilità al socio di società di capitali. In realtà l’accomandante si situa in una posizione del tutto particolare, che lo differenzia sia dal socio di s.r.l., sia dal socio di società semplice che sia assistito da una clausola di limitazione della responsabilità (e/o di esclusione dalla solidarietà). Sotto quest’ultimo angolo visuale, anzitutto, sembra di poter affermare, anche se si tratta di profilo non rilevante dal punto di vista pratico, che per l’accomandante sia più proprio parlare di responsabilità limitata, anziché di irresponsabilità per le obbligazioni sociali. Ciò in base alla [...]


6. (segue). Libertà di circolazione della partecipazione e modalità “capitalistica” di assunzione delle decisioni.

La disciplina presenta poi altri indizi circa tale natura dell’accomandante: anzitutto l’art. 2321 lo parifica ai soci di società di capitali sotto il profilo della non ripetibilità degli utili percepiti in buona fede: ciò, evidentemente, sulla base del presupposto che il bilancio sia di competenza degli accomandatari (rectius: degli accomandatari amministratori). Ma su questo punto si tornerà appena più avanti. L’art. 2322, inoltre, introduce il principio della libera trasferibilità mortis causa della partecipazione, in evidente deroga rispetto all’art. 2284, così in sostanza certificando che, in linea di principio, la partecipazione dell’acco­man­dante è “anonima”. Il secondo comma, occupandosi della cessione tra vivi, introduce invece un sistema ibrido, che consente tale cessione ove vi sia il consenso dei soci che rappresentino la maggioranza del capitale. In questi termini, viene privilegiata una soluzione intermedia tra la libertà di circolazione della partecipazione tra vivi e la necessità del consenso di tutti i soci. Quest’ultimo è del resto collegato alla circostanza che qualsiasi modificazione della compagine sociale costituisce cambiamento del contratto, laddove è discusso se la sostituzione di un accomandante con un altro comporti tale conseguenza [35]. Si noti, per inciso, che ove si aderisse sul punto alla tesi negativa ciò comporterebbe un vulnus (anche) nei confronti di quello che – secondo la già citata autorevole dottrina [36] – costituisce «fattore fondamentale di aggregazione delle due “famiglie”», cioè la circostanza che (soltanto) nelle società di capitali i soci possono variare «senza che nella società avvenga un mutamento». Di rilevante importanza, sotto il profilo sistematico, è anche la circostanza che la citata maggioranza venga calcolata sulla base delle quote di partecipazione al capitale sociale. È questa, a ben guardare, una disposizione che si attaglia alle società di capitali, nettamente distaccandosi dalle regole delle società personali: in queste ultime, infatti, sembrerebbe vigere il principio per cui, quando si tratti di decisioni riguardanti i rapporti tra soci (ad esempio: esclusione di un socio), la votazione deve avvenire per teste; mentre quando si [...]


7. (segue). L’irripetibilità degli utili percepiti in buona fede e il potere di approvare i conti annuali.

Del resto, ulteriori indizi in tal senso sono rinvenibili nelle pieghe della disciplina. In primo luogo l’art. 2321 applica all’accomandante una regola che è tipica delle società di capitali: i soci che abbiano riscosso in buona fede utili che risultino da un bilancio regolarmente approvato non sono tenuti a restituirli, nel caso in cui questi utili si rivelassero in prosieguo di tempo fittizi. Si tratta peraltro di una regola che, nell’ambito della s.a.s., origina una interessante problematica, per affrontare la quale conviene muovere dalla disciplina che sul punto è dettata in materia di società di capitali. Al riguardo, va notato che sia l’art. 2433, quarto comma, in materia di s.p.a., sia l’art. 2478-bis, sesto comma, in materia di s.r.l, contengono formule identiche a quella del­l’art. 2321. L’identità di formulazione non comporta però che la ratio tradizionalmente attribuita alla norma sia identica. Per quanto riguarda il socio di s.p.a., la sua normale estraneità alla gestione è tale da non consentirgli alcun controllo sul contenuto del bilancio. In questi termini, il socio (di minoranza) di una società azionaria sarà per definizione in situazione di buona fede (fatta salva la possibilità della società di dimostrare il contrario); conseguentemente, il legislatore ha ritenuto opportuno tutelare la sua aspettativa in ordine alla definitiva acquisizione al proprio patrimonio dei dividendi ricevuti. Quanto invece al socio (di minoranza) di s.r.l., si è messo autorevolmente in luce [40] come l’appena esposta spiegazione risulti meno convincente, in ragione dei «penetranti poteri di controllo anche sulla contabilità della società» che a questo socio vengono attribuiti sulla scorta dell’art. 2476, secondo comma. Sotto il profilo pratico, si può sicuramente ipotizzare una maggiore facilità, per la società (soggetto sul quale grava l’onere della prova [41]), di dimostrare che il socio percettore conosceva/era in grado di conoscere l’irre­golarità della distribuzione dell’utile. Ciò posto, la collocazione dell’accomandante in questo contesto richiede un ragionamento articolato. Anzitutto, presupposto imprescindibile per dare un significato all’art. 2321 è che l’accomandante non partecipi alla [...]


8. Poteri di controllo e diritto di impugnare il bilancio.

Ciò detto, dalla mancata partecipazione dell’accomandante al procedimento di approvazione del bilancio sembra derivare il diritto di impugnare il bilancio stesso: se è vero che – come appena riportato – l’accomandante non deve aver voce in capitolo in merito alla discrezionalità delle valutazioni, perché questo costituirebbe una sorta di atto di disposizione del patrimonio sociale [55], è altrettanto vero che, per quanto invece riguarda una difformità sostanziale tra le risultanze delle scritture e quelle del bilancio, il diritto di impugnare non può essere negato [56]. In questi termini, sempre ragionando in merito alla collocazione sistematica dell’accomandante, la posizione di questo socio è comunque ben diversa da quella dell’azionista: quest’ultimo, in quanto tale, non ha alcuna chance di verificare se le risultanze del bilancio, che pure viene sottoposto alla sua approvazione, siano corrette e in linea con le scritture contabili. Ma questa “lontananza” dell’accomandante rispetto all’azionista, che è per definizione in buona fede per quanto riguarda la distribuzione del dividendo, non consente per sé di trarre argomento decisivo: perché invece la posizione di quel socio capitalista che è il quotista di s.r.l. non amministratore è più simile a quella dell’acc­omandante, potendo egli esercitare dei diritti di controllo molto incisivi [57], tra i quali quello di «consultare i documenti relativi all’amministrazio­ne» [58]. Diritti nel tutelare i quali, tra l’altro, la giurisprudenza è molto rigida. Anche sotto quest’angolo visuale, dunque, trova conferma la natura anfibologica dell’accomandante, socio per certi versi apparentabile a quelli delle società di capitali, ma dotato di forti caratteri di personalizzazione. Sotto que­st’angolo visuale, vi è però da domandarsi quale portata abbia l’affermazione circa la pretesa profonda diversità della posizione dell’accomandante rispetto a quella degli altri soci limitatamente responsabili [59]. Ebbene, a mio avviso ad una siffatta affermazione può attribuirsi soltanto una portata assolutamente relativa, nel senso che la differenza sarà più o meno sensibile in funzione della concreta posizione [...]


9. Sopravvenuta inattualità della distinzione tra due sottocategorie di società.

Tirando le fila da queste note, senza dubbio disorganiche, sembra ragionevole propendere per una palese inattualità della distinzione tra le due sottocategorie di società: se le società di capitali vanno dalle quotate alla s.r.l. a spiccata personalizzazione [63], in sostanza distinguibile da una s.n.c. soltanto in punto di responsabilità per le obbligazioni sociali; se le stesse società di persone, pur nell’ambito di una panoramica meno estrema, possono pattiziamente essere declinate con caratteristiche molto simili a una s.r.l. “capitalistica”; se, infine, si considerano le peculiarità delle accomandite, nelle quali elementi di personalizzazione ed elementi capitalistici convivono già come soluzione di “default”; allora occorre concludere nel senso che la separazione nelle due sottocategorie, pur se – come specificato all’inizio di questo scritto – formalizzata per la prima volta con la riforma del 2003, ha ormai prevalentemente un significato di puro richiamo alla tradizione. In altri termini, con l’ovvia e già ricordata esclusione della quotata, ascrivere una società all’una o all’altra categoria non è per sé significativo della rilevanza delle considerazioni di carattere personale che abbiano indotto i soci a unire le proprie risorse per svolgere in comune l’attività di impresa. In questi termini viene allora da chiedersi quale sia stato il livello di consapevolezza del legislatore della riforma nella scelta di esplicitare (finalmente?) la suddetta distinzione. Perché contestualmente a tale scelta si è deciso, oltre che di ampliare a dismisura la sfera dell’autonomia riservata ai soci di s.r.l., di delineare la stessa s.r.l. quale strumento concorrenziale delle società di persone, con l’evidente intento di fare di questo modello la società di massa da utilizzare per le iniziative imprenditoriali non vocate al ricorso al capitale di rischio [64]. La più immediata ed efficace manifestazione di queste istanze del legislatore, com’è noto, è la creazione, per il tramite delle già citate norme in materia di trasformazione e fusione, di una sorta di passerella privilegiata, atta ad incentivare il più alto numero possibile di società personali ad attingere al modello-s.r.l. In questa prospettiva, il [...]


NOTE