Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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La presunzione di dipendenza economica nei mercati digitali. Un commento all'art. 33 della l. 5 agosto 2022, n. 118 (di Mario Libertini, Professore emerito diritto commerciale, Sapienza Università di Roma)


L'articolo svolge un'esegesi dell’art. 33 della legge sulla concorrenza (l. 5 agosto 2022, n. 118), che introduce una presunzione di dipendenza economica nei confronti delle piattaforme digitali con un ruolo determinante per raggiungere clienti finali o fornitori. L'a. nota che, nei confronti delle più importanti piattaforme digitali, l'applicazione della disciplina nazionale sul divieto di abuso di dipendenza economica sarà limitata per via della prevalenza delle norme del Digital Markets Act, che spesso impongono norme di condotta di identico contenuto.

The presumption of economic dependence in digital markets. A comment to Article 33 of Law No. 118 of August 5th, 2022

The article carries out an exegesis of art. 33 of the Competition Act (Law No. 118 of 5 August 2022), which introduces a presumption of economic dependence on digital platforms with a decisive role in reaching end customers or suppliers. The a. notes that, with regard to the most important digital platforms, the application of the national rules on the prohibition of abuse of economic dependence will be limited by the prevalence of the rules of the Digital Markets Act, which often impose rules of conduct with an identical content.

Sommario/Summary:

1. La nuova disciplina. - 2. Il coordinamento con il Digital Markets Act. - 2.1. La coesistenza fra norme del DMA e norme antitrust generali. - 2.2. Il coordinamento fra il DMA e le norme nazionali che vietano l’abuso di dipendenza economica. - 2.3. Le ipotesi di prevalenza di norme del DMA sulle norme interne in materia di abuso di dipendenza economica. - 2.4. Il diverso problema di coordinamento con il reg. 2019/1150 (reg. P2B). - 3. La fattispecie della “dipendenza economica” e il meccanismo di presunzione legale. - 3.1. L’applicazione della norma in sede giudiziaria. - 3.2. L’applicazione della norma da parte dell’AGCM. - 4. Le nuove fattispecie di abuso di dipendenza economica. - 5. La competenza delle sezioni specializzate. - 6. Le Linee Guida previste dal terzo comma dell’articolo. - NOTE


1. La nuova disciplina.

L’art. 33 della l. 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) ha modificato l’art. 9 della l. 18 giugno 1998, n. 192 (Abuso di dipendenza economica). Si riporta anzitutto, per comodità di lettura, il testo dell’art. 33: Art. 33. (Rafforzamento del contrasto all’abuso di dipendenza economica) All’articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Salvo prova contraria, si presume la dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati»; b) al comma 2 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le pratiche abusive realizzate dalle piattaforme digitali di cui al comma 1 possono consistere anche nel fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio erogato e nel richiedere indebite prestazioni unilaterali non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta, ovvero nell’adottare pratiche che inibiscono od ostacolano l’utilizzo di diverso fornitore per il medesimo servizio, anche attraverso l’applicazione di condizioni unilaterali o costi aggiuntivi non previsti dagli accordi contrattuali o dalle licenze in essere»; c) al comma 3 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le azioni civili esperibili a norma del presente articolo sono proposte di fronte alle sezioni specializzate in materia di impresa di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168». Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dal 31 ottobre 2022. La Presidenza del Consiglio dei ministri, d’intesa con il Ministero della giustizia e sentita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, può adottare apposite linee guida dirette a facilitare l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, in coerenza con i princìpi della normativa europea, anche al fine di prevenire il contenzioso e favorire buone pratiche di mercato in materia di concorrenza e libero esercizio dell’attività economica[1]. Tale articolo – come è agevole notare – [...]


2. Il coordinamento con il Digital Markets Act.

Nelle note che seguono si dà per acquisito – per ragioni di brevità – il contenuto normativo complessivo del DMA e si cercherà di mettere in evidenza solo alcuni punti, che più direttamente incidono sul problema di coordinamento sopra accennato. In primo luogo, occorre mettere in evidenza che le norme di condotta sancite dal DMA si applicano non a tutte le piattaforme digitali “che svolgono un ruolo determinante ecc.” (e che sono, come tali, destinatarie della norma del­l’art. 33, l. n. 118/2022), ma solo a quelle grandi piattaforme che vengono designate formalmente come gatekeeper dalla Commissione UE, perché superano certe soglie dimensionali, stabilite dall’art. 3 DMA. Un problema di interferenza fra le due discipline può porsi, dunque, solo con riguardo a questo delimitato, se pur importantissimo, segmento dei mercati digitali [4].


2.1. La coesistenza fra norme del DMA e norme antitrust generali.

Il DMA ha posto, tra i propri fini dichiarati, quello di «evitare una frammentazione del mercato interno» (così l’art. 1, § 5, DMA, e i cons. 6, 7 e 9, nonché il cons. 91, per cui «la Commissione è l’unica autorità a cui è conferito il potere di applicare il presente regolamento»). Il legislatore europeo ha dunque voluto concentrare presso la Commissione UE i poteri di vigilanza sul rispetto delle norme del DMA da parte dei “giganti del web” e i poteri ulteriori di regolazione e di irrogazione di sanzioni. Ciò perché, considerando la dimensione globale dei mercati digitali, è apparso, comprensibilmente [5], inopportuno che le norme volte a controllare le piattaforme digitali fossero differenziate tra i diversi Stati membri [6]. Questa scelta politica ha suscitato tuttavia resistenza, durante i lavori preparatori del regolamento, da parte di alcuni Stati membri, che nel frattempo avevano avviato incisivi interventi contro le grandi piattaforme digitali, facendo leva sull’applicazione estensiva delle norme antitrust generali, e che vedevano un rischio di inapplicabilità di queste norme generali, a seguito dell’en­trata in vigore del DMA, in conseguenza del principio di specialità. Sul punto si è giunti ad una soluzione di compromesso, la cui premessa teorica è espressa nel cons. 11 del regolamento, ove si afferma che le norme antitrust proteggono interessi diversi da quelli protetti dalle norme del DMA e sono pertanto complementari e non sovrapponibili a queste. Su questa base, l’art. 1, § 6, DMA sancisce che il nuovo regolamento non pregiudica l’applicazione degli artt. 101 e 102 T.F.U.E. (cioè delle norme antitrust che vietano intese anticoncorrenziali e abusi di posizione dominante; norme di cui è possibile l’applica­zione decentrata da parte delle autorità nazionali), né delle norme nazionali in materia di concorrenza che vietano, a loro volta, intese anticoncorrenziali e abusi di posizione dominante. Questa impostazione non è del tutto coerente: l’asserita diversità di interessi protetti dalle norme antitrust e da quelle del DMA è affermata nel cons. 11, ma non è sviluppata, né chiarita, nel contenuto complessivo del regolamento. Gli scopi dichiarati di quest’ultimo (equità e [...]


2.2. Il coordinamento fra il DMA e le norme nazionali che vietano l’abuso di dipendenza economica.

Al di là della soluzione del cumulo sanzionatorio, che può dirsi espressamente sancita per i rapporti tra norme del DMA e norme antitrust generali europee e nazionali, l’art. 1 DMA prevede altre due ipotesi: a) l’art. 1, § 5, DMA, dispone che: «Nessuna disposizione del presente regolamento impedisce agli Stati membri di imporre obblighi alle imprese, comprese le imprese che forniscono servizi di piattaforma di base, per questioni che non rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento, purché tali obblighi siano compatibili con il diritto dell’Unione e non derivino dal fatto che le imprese pertinenti hanno lo status di gatekeeper ai sensi del presente regolamento» [enfasi aggiunta]; b) l’art. 1 § 6 lett. b, DMA, dispone che «Il presente regolamento non pregiudica l’applicazione delle norme nazionali in materia di concorrenza che vietano altre forme di comportamento unilaterale nella misura in cui sono applicate a imprese diverse dai gatekeeper o equivalgono all’imposizione di ulteriori obblighi ai gatekeeper» [enfasi aggiunta]. La norma del § 5 si riferisce chiaramente, anzitutto, a norme dettate in materie estranee alla disciplina del buon funzionamento dei mercati (anche se la locuzione «questioni [12] che non rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento» non è tra le più felici). Ciò giustifica l’applicazione parallela delle due normative, senza neanche la necessità di quel coordinamento ex art. 38 DMA, che è previsto per i procedimenti antitrust delle autorità nazionali. La previsione di cui si tratta potrà riguardare, comunque, diverse categorie di norme: p.e. norme tecniche o tributarie o di tutela del diritto d’autore, ecc. Sembra invece da escludere l’applicazione parallela indipendente delle norme sulla tutela dei dati personali, dato che questa materia è espressamente trattata nell’art. 5, § 2, DMA. Ne consegue che un’eventuale «decisione relativa all’i­nosservanza» di queste norme da parte della Commissione, ai sensi dell’art. 29 DMA, dovrebbe precludere un distinto procedimento sanzionatorio da parte delle autorità preposte alla tutela dei dati personali (soluzione che può essere ampiamente discussa, ma che non toccheremo ulteriormente in questa [...]


2.3. Le ipotesi di prevalenza di norme del DMA sulle norme interne in materia di abuso di dipendenza economica.

L’applicazione di questo criterio dovrebbe essere, comunque, relativamente agevole per due ragioni. La prima è che gli obblighi sanciti dal DMA sono tassativi (e non ammettono prova contraria, da parte dei gatekeeper, in termini di guadagni di efficienza [21]), per cui – al netto di pur inevitabili problemi interpretativi [22] – è facilitato il compito di definire ciò che è coincidente e ciò che è “ulteriore” rispetto agli obblighi sanciti dal DMA. La seconda è che, comunque, l’avvio di un procedimento per abuso di dipendenza economica dovrà essere comunicato dall’autorità nazionale – come si è prima ricordato – alla Commissione, a fini di “coordinamento”. Il coordinamento, a sua volta, implica la possibilità che, in caso di dissenso, vi sia una possibilità di decisione vincolante. Questa decisione, nella materia in esame, sarà necessariamente quella voluta dalla Commissione. Questa disciplina, tuttavia, non è destinata ad operare nei casi di private enforcement in materia di abuso di dipendenza economica, cioè nei casi di applicazione delle norme in materia da parte dei giudici nazionali. In questi casi, il coordinamento è meno stringente, in quanto la collaborazione informativa riguarda solo le sentenze e non gli atti di avvio di procedimenti. Tuttavia, la Commissione può intervenire nei procedimenti giudiziari nazionali e, soprattutto, è disposta, per il private enforcement interferente con norme del DMA [23], una norma analoga al ben noto art. 16 del reg. 1/2003: i giudici nazionali non possono adottare decisioni contrastanti con decisioni (adottate o «contemplate») della Commissione e possono sospendere i procedimenti giudiziali già avviati (art. 39, § 5, DMA). Ciò premesso – e pur dovendosi riconoscere che, in materia di private enforcement dell’abuso di dipendenza economica, potranno aversi incertezze applicative – può ritenersi che l’intervento delle autorità nazionali nei confronti dei gatekeeper è precluso, in base alla più volte citata norma dell’art. 1, § 6 b, DMA, in una serie numerosa di casi, in quanto espressamente menzionati negli artt. 5 e 6 del DMA, che pongono precisi obblighi di condotta a carico dei gatekeeper. Questi casi saranno qui [...]


2.4. Il diverso problema di coordinamento con il reg. 2019/1150 (reg. P2B).

Qui si deve subito aggiungere che un problema di coordinamento, in parte analogo a quello sopra esaminato, si pone con riguardo alle norme del reg. UE/2019/1150, «che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online» (c.d. Regolamento P2B). Questo regolamento non si applica a tutte le piattaforme digitali, ma solo a quelle che forniscono servizi di intermediazione online o servizi di motore di ricerca online (cioè solo ai primi due fra i dieci «servizi di piattaforma di base» elencati nell’art. 2 DMA). Inoltre, l’applicazione è limitata ai servizi offerti ad imprese (art. 1, § 2). Si tratta comunque di un segmento molto importante dei mercati digitali. Il regolamento prevede obblighi di informazione dettagliati, anche per ciò che riguarda il posizionamento che gli utenti commerciali riceveranno nella piattaforma, nonché sulle condizioni di trattamento differenziato eventualmente previste; prevede anche obblighi di trasparenza e di motivazione per i casi di sospensione o cessazione del rapporto, nonché il divieto di alcune clausole contrattuali. Quanto ai rapporti con i diritti nazionali, il reg. P2B sancisce, all’art. 1, § 4, che «Il presente regolamento non pregiudica la legislazione nazionale che, secondo il diritto dell’Unione, vieta o sanziona i comportamenti unilaterali o le pratiche commerciali sleali nella misura in cui gli aspetti pertinenti non sono contemplati dal presente regolamento. Il presente regolamento non pregiudica il diritto civile nazionale». Analogamente al DMA, il regolamento P2B prevede dunque che, in caso di sovrapposizione, le norme europee si applichino in via esclusiva, mentre le norme nazionali rimangono efficaci per la disciplina di “aspetti non contemplati” dal Regolamento (con una differenza, all’art. 10, § 2, per le clausole che prevedono limitazioni alla facoltà degli utenti commerciali di ricorrere a canali di offerta alternativi: in questa materia sono fatte salve le norme nazionali che prevedano divieti o limitazioni di tali clausole e quindi sembra tornarsi ad un’ipotesi di applicazione cumulativa, come quelle sopra viste per le norme antitrust). Una differenza fondamentale fra il DMA e il reg. P2B è però che que­st’ultimo prevede un’applicazione decentrata da parte degli Stati [...]


3. La fattispecie della “dipendenza economica” e il meccanismo di presunzione legale.

Dopo queste lunghe premesse sul regolamento di confini tra norme europee sulle piattaforme digitali e norme interne sul divieto di abuso di dipendenza economica, si può ora procedere all’esame dei problemi esegetici posti dal­l’art. 33, l. n. 118/2022. Il primo (e centrale) problema riguarda la presunzione legale relativa di dipendenza economica, applicata in presenza di una piattaforma digitale «che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali e/o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità di dati».


3.1. L’applicazione della norma in sede giudiziaria.

In primo luogo, è opportuno occuparsi dell’applicazione della norma in sede giudiziaria (e non in sede amministrativa, cioè dinanzi all’AGCM). In sede giudiziaria il problema si pone in termini lineari, e cioè nei termini di rapporto bilaterale fra un attore e un convenuto (anche se non può escludersi, in linea di principio, la possibilità di un’azione collettiva ex art. 840-bis, c.p.c., esercitata nell’interesse di una pluralità di imprese dipendenti). Nel giudizio, l’attore farà valere la presunzione legale di dipendenza economica. Questa, come tutte le presunzioni legali (ai sensi dell’art. 2727 c.c.), richiede – ai fini dell’applicazione – un procedimento logicamente distinguibile in due fasi: nella prima si deve acquisire al processo un «fatto noto», costituente presupposto della presunzione; nella seconda si adotta una decisione sulla base del “fatto presunto” (cioè provato indirettamente, ex lege, una volta acquisito il presupposto del fatto noto). Il fatto presunto, a sua volta, è suscettibile di prova contraria da parte del soggetto interessato. Il fatto noto presupposto dev’essere, tuttavia, a sua volta provato, a meno che non costituisca una «nozione di comune esperienza», ai sensi dell’art. 115 c.p.c. Nella normalità dei casi, dunque, l’attore avrà l’onere di provare che la piattaforma convenuta svolge un «ruolo determinante ecc.». Sul piano testuale, la qualifica di «determinante» per raggiungere gli utenti finali o i fornitori letteralmente significa che, senza tali servizi di piattaforma di base, l’impresa attrice non potrebbe raggiungere, o non potrebbe farlo a condizioni economicamente soddisfacenti, gli utenti finali o i fornitori. L’espressione ha una connotazione di “necessarietà” (economica) per l’impresa attrice. Viene allora in evidenza un’apparente identità fra questo requisito e quello della mancanza di possibilità di reperire sul mercato alternative soddisfacenti, che l’art. 9, primo comma, l. n. 192/1998, indica come elemento tipico del rapporto di dipendenza economica [29]. In proposito, si deve considerare che è opinione diffusa in dottrina quella secondo cui l’assenza di concrete alternative sul mercato – con la [...]


3.2. L’applicazione della norma da parte dell’AGCM.

Le riflessioni sopra svolte subiscono diversi adattamenti se si considera l’applicazione della presunzione non più in sede giudiziaria, bensì nei procedimenti amministrativi dinanzi all’AGCM. In primo luogo, occorre notare che l’AGCM, ai fini dell’avvio di un procedimento di abuso di dipendenza economica, deve accertare che l’ipotesi accusatoria «abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato». Infatti, il comma 3-bis dell’art. 9, l. n. 192/1998, non è stato toccato dalla legge di riforma in commento e rimane pienamente applicabile [37]. L’ac­cer­tamento di questo presupposto non è apparso finora semplice, tant’è vero che l’AGCM, per lunghi anni, si è astenuta dall’applicare la norma, che è stata improvvisamente rivalutata in una serie di procedimenti degli ultimi anni [38]. Il requisito della rilevanza concorrenziale della dipendenza economica non risulta ancora definitivamente messo a fuoco, nella casistica dell’Autorità. Secondo alcuni, questa casistica non fornisce idonei elementi di orientamento [39]. Secondo un’altra ricostruzione [40], che a me sembra attendibile, la rilevanza concorrenziale consiste, per l’Autorità, nel fatto che la situazione di dipendenza non è limitata a un rapporto bilaterale, ma investe una serie di rapporti paralleli. Questa soluzione, peraltro, porta a riconoscere che l’accertamento della dipendenza economica di rilevanza concorrenziale finisce sostanzialmente per coincidere con l’accertamento di una tipica posizione dominante “verticale” in un certo mercato [41], con la sola differenza di consentire un percorso probatorio semplificato. In ogni caso, l’Autorità non è un soggetto che agisce di fronte ad un giudice terzo, in contraddittorio con una controparte, ma è un soggetto dotato di poteri inquisitori, che può avviare d’ufficio i suoi procedimenti sanzionatori. L’onere di provare i fatti che stanno a fondamento del potere sanzionatorio dell’Autorità si traduce quindi nell’onere, in capo all’Autorità stessa, di svolgere un’adeguata istruttoria su tali fatti e di fornire un’adeguata motivazione dei propri provvedimenti. Ciò significa che l’atto di avvio del procedimento dovrà [...]


4. Le nuove fattispecie di abuso di dipendenza economica.

La lett. b) del primo comma dell’art. 33 della l. 5 agosto 2022, n. 118 contiene, testualmente con riferimento alle sole piattaforme digitali «di cui al comma 1», un ampliamento delle ipotesi tipizzate di abuso, che si aggiungono a quelle già previste nel testo originario dell’art. 9, l. n. 192/1998. Le nuove ipotesi sembrerebbero riferite – sul piano testuale – solo alle piattaforme che abbiano un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori e non a tutte le piattaforme digitali in quanto tali, cui si applicherebbe la disciplina generale. Il punto, tuttavia, non è particolarmente rilevante. Infatti, nell’interpretare la portata dei nuovi obblighi si deve considerare che le ipotesi originarie di abuso, di cui al secondo comma dell’art. 9, non hanno carattere di tassatività, bensì solo esemplificativo [44]. Anche le nuove ipotesi, riferite alle piattaforme digitali, sono da considerare non tassative, giacché testualmente la nuova disciplina dispone che le pratiche abusive possono “consistere anche” (e non, dunque, esclusivamente) nelle ipotesi tipizzate di abusi. Non è dunque da ritenere che le nuove ipotesi costituiscano norma speciale applicabile alle sole piattaforme digitali. Ciò premesso, queste nuove ipotesi sono le seguenti: a) «fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio erogato»; b) «richiedere indebite prestazioni unilaterali non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta»; c) «adottare pratiche che inibiscono od ostacolano l’utilizzo di diverso fornitore per il medesimo servizio»[45]. Per quanto riguarda le ipotesi elencate sub b) e c), può dirsi che integrano figure note di abusi di posizione dominante (rispettivamente, tying contracts e clausole escludenti a danno di concorrenti). Come tali, esse potevano già agevolmente rientrare nella previsione generale di «eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi», contenuta nell’art. 9. L’integrazione espressa è comunque opportuna (e sembra da ribadire la possibilità di un’interpretazione estesa, che porti a ritenere applicabile la previsione anche con riferimento al divieto di abuso di dipendenza economica in generale). Invece, l’ipotesi sub a), che consiste nel fornire [...]


5. La competenza delle sezioni specializzate.

La lett. c) del primo comma dell’art. 33 in commento attribuisce opportunamente alle sezioni specializzate in materia di impresa la competenza a decidere le azioni civili in materia di abuso di dipendenza economica. La norma pone fine a precedenti incertezze e corregge l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, che riteneva applicabili, in questa materia, le norme di competenza generali per le azioni contrattuali [47]. Il testo normativo è chiaro nel definire la competenza per tutte le azioni civili in materia di abuso di dipendenza economica e non solo per quelle rivolte contro le piattaforme digitali e fondate sulla presunzione di cui si è discusso. Si noti che la competenza è attribuita a tutte le sezioni specializzate, e non alle sole tre sezioni competenti per le controversie in materia di antitrust (di cui all’art. 4, comma 1-ter, d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168). Si noti anche che, per le azioni civili per violazione di norme del DMA, rimangono per il momento applicabili le norme generali di competenza. È auspicabile che il legislatore nazionale, nel dettare norme di attuazione interne del DMA, estenda anche alle azioni civili relative la norma sulla competenza delle sezioni specializzate. C’è da chiedersi cosa accade se, nello stesso processo, sia presentata cumulativamente una domanda principale per abuso di dipendenza economica ed una subordinata per violazione del DMA (o viceversa). Se la competenza è comunque nella stessa sede, non dovrebbero insorgere problemi, se si segue la tesi corrente, secondo cui il riparto di competenze fra sezioni ordinarie e sezioni specializzate dello stesso Tribunale ha rilevanza meramente tabellare e non incide sulla competenza [48]. Nel caso in cui le due competenze si radicano su sedi diverse, il giudice adito in quanto competente sulla domanda principale, dovrebbe dichiararsi incompetente sulla subordinata, in caso di rigetto della principale [49]. In ogni caso, la scelta normativa a favore della competenza delle sezioni specializzate sulle controversie in materia di dipendenza economica può avere un qualche peso anche sul piano sistematico, a favore delle tesi che vedono questa disciplina come un capitolo del diritto della concorrenza e non come una disciplina meramente “civilistica”.


6. Le Linee Guida previste dal terzo comma dell’articolo.

L’art. 33 in commento dispone anche che La Presidenza del Consiglio dei ministri, d’intesa con il Ministero della giustizia e sentita l’AGCM [50], «può adottare apposite linee guida dirette a facilitare l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, in coerenza con i princìpi della normativa europea, anche al fine di prevenire il contenzioso e favorire buone pratiche di mercato in materia di concorrenza e libero esercizio dell’attività economica». L’adozione delle Linee Guida è espressamente dichiarata facoltativa, per il Governo, sicché l’entrata in vigore della nuova disciplina non è condizionata alla pubblicazione delle stesse (è invece disposta un’entrata in vigore a data fissa: 31 ottobre 2022). Altra indicazione espressa della norma in esame è che l’atto governativo in questione non avrà natura di regolamento, ma di istruzione amministrativa. Ciò suscita qualche perplessità, dal momento che la presunzione di cui al primo comma (che sarà oggetto delle Linee Guida) è destinata ad essere applicata da parte dei giudici ordinari, che sono soggetti solo alla legge e non agli atti di indirizzo del Governo, nonché dall’AGCM, che è sì un’autorità amministrativa, ma indipendente, e come tale anch’essa soggetta soltanto alla legge (si noti peraltro che l’Autorità, singolarmente, è chiamata ad esprimere un parere obbligatorio su Linee Guida governative che sono dirette anche a se stessa). Per le stesse ragioni, le L.G. non saranno vincolanti per i giudici amministrativi che saranno chiamati ad esercitare il sindacato giurisdizionale sugli atti del­l’AGCM, applicativi dell’art. 33, l. n. 118/2022. In pratica, può prevedersi che le Linee Guida, se mai vedranno la luce, saranno essenzialmente una comunicazione dell’AGCM, avallata dal Governo, sui propri programmi di applicazione della presunzione dell’art. 33. A prescindere dai (non semplici) profili di forma e di struttura delle L.G., sembra comunque che il legislatore ne abbia previsto l’inserimento nell’art. 33 perché si è reso conto dei non facili problemi interpretativi ed applicativi che la nuova presunzione comporta, nonché degli altrettanto complessi problemi di coordinamento della norma nazionale sulla [...]


NOTE