Il contributo riguarda il diritto positivo, il diritto emergente e gli sviluppi regolatori in materia di gestione sostenibile dell’impresa azionaria, avute presenti le fonti europee, internazionali e nazionali. La ricostruzione del quadro normativo presta specifica attenzione, oltre che alla disciplina dei report di sostenibilità, obbligatori per EIPR di maggiori dimensioni in base al d.lgs. n. 254/2016 che recepisce la normativa di armonizzazione europea in materia, ai contenuti del regolamento Tassonomia (UE) 2020/852 e delle misure adottate per la sua implementazione. La ricerca intende appurare, anche alla luce del nuovo art. 41 Cost., quale sia l’effettiva portata sistematica che, nell’ordinamento nazionale, assume il regolamento Tassonomia unitamente alla disciplina sui report di sostenibilità. In particolare, se e in quale misura le scelte di gestione riferite al profilo ecosostenibile dell’attività di una impresa azionaria obbligata alla DNF siano sindacabili e possano essere fonte di responsabilità.
Parole chiave: bilanci di sostenibilità; tassonomia; governo societario
The study aims to look at positive and emerging law and regulatory developments of sustainable governance of joint stock company, considering European, International and National sources. In the reconstruction of legal framework, it pays specific attention, in addition to the regulation of mandatory sustainability reporting for larger public interest entities, based on Legislative Decree No. 254 of 2016, transposing the relevant European harmonization legislation, to the contents of the Taxonomy Regulation No. 2020/852 (EU) and to the measures adopted for its implementation. The research intends to ascertain, also in the light of the new art. 41 of the Constitution, what is the effective systematic scope that, in National law, the Taxonomy Regulation assumes together with the discipline on sustainability reports. In particular, the study aims at verifying if and to what extent the eco-sustainable profile of management choices of joint stock company obliged at ESG reporting are questionable and can be a source of responsibility.
Keywords: sustainability reporting; taxonomy; corporate governance
1. Introduzione. Dallo sviluppo sostenibile alla Sustainable Corporate Governance. - 1.1. Il profilo ecosostenibile della gestione dell’impresa azionaria. - 1.2. La mitigazione e l’adattamento al climate change nella regolazione UE dello sviluppo sostenibile. - 1.3. Il regolamento Tassonomia come fulcro delle misure del Piano d’azione della Commissione europea per lo sviluppo sostenibile. - 1.4. Segue. Le implicazioni ricostruttive. - 1.5. La priorità dell’Agenda UE sulla finanza sostenibile. La transizione ecologica. - 1.6. L’Agenda UE per la transizione ecologica. Armonizzazione del diritto azionario e regolazione dell’iniziativa economica ecosostenibile. - 2. La transizione ecologica e la regolazione finanziaria. Il ruolo delle imprese e del diritto (commerciale). - 2.1. Sustainable corporate governance e diritto del governo societario. Armonie e disarmonie del diritto europeo della transizione ecologica. - 2.2. Il metodo e i principi della materia. - 2.3. Il ruolo delle imprese e quello degli Stati. - 2.4. La sostenibilità dell’iniziativa economica e il diritto dell’impresa. Una classificazione della legislazione sulla sostenibilità dell’iniziativa economica. - 2.5. L’interpretazione del nuovo art. 41 Cost. - 3. Contenuto e rilevanza sistematica del d.lgs. n. 254/2016. - 3.1. Sui profili generali della disciplina. - 3.2. DNF e doveri degli amministratori. I doveri riferiti alla trasparenza. - 3.3. Prime conclusioni. - 4. Il governo sostenibile delle imprese azionarie obbligate alla DNF, fra regole e contesto. - 4.1. DNF e interesse sociale. - 5. Sulla correttezza imprenditoriale delle imprese azionarie obbligate alla DNF. Doveri degli amministratori a contenuto aspecifico. - 5.1. Doveri degli amministratori: correttezza societaria vs correttezza imprenditoriale? - 5.2. Una ricostruzione normativa della correttezza ambientale e sociale dell’imprenditore. - 6. La DNF come comunicazione sociale al mercato. Il public e il private enforcement. La responsabilità della società e quella degli amministratori. - 6.1. Transizione ecologica, DNF e correttezza societaria. La responsabilità degli amministratori verso la società, i soci e i creditori. - 6.2. Rischi ESG, DNF e correttezza imprenditoriale. La responsabilità della società e degli amministratori verso i terzi. - 6.3. La DNF consolidata e le responsabilità della società capogruppo. - NOTE
In tutti i paesi industrialmente avanzati sono presenti istituti giuridici e regole che favoriscono la costituzione e l’attività delle imprese azionarie. Su scala mondiale, la grande impresa azionaria è l’asse portante dell’economia capitalistica e di mercato. Da un punto di vista di interesse generale, il favore per questa organizzazione imprenditoriale è giustificato dai risultati di efficienza e di produttività che consegue. A condizione che operi in un mercato concorrenziale e con logiche di profitto rispettose delle leggi [1]. Di recente però si sono accreditate analisi che pongono in evidenza le criticità di risultato di questa istituzione del capitalismo di mercato. Un primo campanello d’allarme lo ha suonato la crisi finanziaria del 2008 che ha fatto emergere i rischi sistemici di gestioni societarie eccessivamente focalizzate su ritorni di profitto a breve termine [2]. Altre criticità sono emerse in relazione al modello di sviluppo che si è affermato – a livello mondiale – insieme con l’affermazione dell’impresa azionaria. Un modello orientato alla crescita costante e al ciclo produttivo lineare. Un modello foriero di produzioni alimentate da fonti energetiche fossili e che lasciano una importante impronta di CO2 e di rifiuti sul Pianeta. Sono venute in rilievo anche problematiche legate alla globalizzazione e alle supply chain globalizzate di imprese e gruppi societari transnazionali. Evidenze di attività economiche che danneggiano l’ambiente svolte dove questo è meno protetto; attività economiche che necessitano di mano d’opera impiantate dove il lavoro è meno remunerato e meno dignitoso. Scelte manageriali fatte sul presupposto che i diversi ordinamenti hanno diversi standard di protezione dell’ambiente, dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori; e che la produzione – grazie anche alla digitalizzazione, allo sviluppo delle relazioni commerciali e alla vocazione transnazionale dell’impresa azionaria – può essere localizzata (quasi) ovunque. Sono così emerse sconvenienti correlazioni fra sviluppo economico globale e affermazione dell’impresa azionaria, da una parte; crescita delle diseguaglianze e del consumo di risorse ambientali, dall’altra parte. Con conseguenze di iniquità, di inefficienza e anche di rischio sistemico [3]. [...]
La sustainable corporate governance è il terreno di un vasto confronto teorico che tocca vari profili del diritto del governo societario. Il confronto ingloba sia alcuni contenuti della discussione più risalente sulla conformazione e la praticabilità della responsabilità sociale dell’impresa (o Corporate Social Responsibility); sia temi nuovi, più circoscritti e più specifici. Fra questi ci sono i temi di sustainable corporate governance di rilievo interpretativo e, in particolare, le questioni che afferiscono alle regole e al regime delle scelte di governo societario che, nello specifico, determinano gli impatti ambientali dell’attività dell’impresa azionaria. Su tali questioni intendo soffermarmi. Il focus ambientale, nell’ambito di una indagine di diritto positivo sulle prospettive evolutive del governo societario sostenibile, appare utile e giustificato per una serie di ragioni. Le scelte che determinano gli impatti ambientali dell’attività dell’impresa azionaria rispondono a istanze di sostenibilità dello sviluppo affatto specifiche, riferite all’ambiente. E hanno trovato, come sarà illustrato nel prosieguo, risposte, sia di mercato finanziario sia di regolazione, affatto specifiche. Ciò conferisce ai temi della gestione ecosostenibile dell’impresa azionaria un rilievo fattuale e anche normativo a sé stante.
Le questioni relative alla sostenibilità ambientale dello sviluppo sono tante e non sono certo nuove. L’approccio praticato ad esse muta però dopo l’Agenda ONU per il 2030 e l’Accordo di Parigi sul clima del 2015. L’approccio ai temi di sostenibilità ambientale dello sviluppo si caratterizza oggi per il largo e trasversale consenso sulla centralità e indifferibilità delle questioni riferite alla mitigazione e all’adattamento al climate change e alla riduzione dell’inquinamento e del consumo di risorse ambientali. Esso, dunque, muove dal presupposto della necessità di affrontare innanzitutto, fra i molti e diversi squilibri ambientali dello sviluppo globale di matrice capitalistica, le questioni di carattere ambientale. E, fra queste, prioritariamente le sfide del climate change. Effetti e rischi del climate change sono al centro del dibattito ambientale. Si invoca da più parti una più effettiva cooperazione internazionale per ridurre i fattori antropici che influenzano e aggravano gli effetti del climate change e per fronteggiare l’emergenza con stimoli a investimenti e a progetti imprenditoriali funzionali alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico. In risposta, gli Stati hanno assunto – nei confronti della comunità internazionale e dei cittadini – impegni di legislazione ambientale ed economica per il progressivo abbattimento dell’inquinamento e delle emissioni di CO2 di origine antropica e per l’attuazione di politiche di approvvigionamento energetico che consentano di raggiungere, in un orizzonte di tempo definito, la neutralità climatica della produzione [13]. In tali piani, anche il governo dell’impatto ambientale dell’impresa azionaria è, come vedremo nel prosieguo, un obiettivo da centrare e a cui la Commissione e la regolazione UE in materia di finanza sostenibile danno priorità (non senza suscitare rilievi critici [14]). V’è da dire, peraltro, che le legislazioni e le linee di azione pubblica che in vario modo si occupano di sviluppo sostenibile e di transizione ecologica considerano anche gli altri obiettivi dell’Agenda ONU per il 2030 [15]. Tuttavia, per lo meno nelle principali giurisdizioni dove operano le imprese azionarie più importanti e dove i mercati finanziari sono più sviluppati e più [...]
La Commissione europea ha individuato nell’approccio SDGs dell’Agenda ONU per il 2030 il paradigma di riferimento per le politiche dell’Unione in tema di sviluppo sostenibile sin dal 2016, con la comunicazione EU COM (73). Ha poi proseguito sulla stessa scia con il Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile lanciato nel 2018 (di seguito anche Piano d’azione) [18]. Il Piano d’azione del 2018 è il punto di riferimento dell’approccio europeo ai temi sociali e ambientali correlati agli investimenti e all’attività delle imprese azionarie. Il Piano punta alla regolazione dei rischi e delle opportunità ESG degli investimenti e contempla dieci specifiche azioni in diversi ambiti di attività finanziarie e di gestione imprenditoriale. Il Piano individua le azioni da intraprendere, a livello europeo, al fine di realizzare tre obiettivi principali: riorientare i flussi di capitali verso un’economia più sostenibile; integrare la sostenibilità nella gestione dei rischi; promuovere la trasparenza e una visione a lungo termine dell’economia [19]. L’attuazione delle azioni intende favorire la transizione verso un sistema economico più sostenibile, in linea con gli impegni assunti dall’Unione europea, e dagli Stati che ne fanno parte, a livello internazionale. Mitigando altresì il rischio di greenwashing finanziario e rafforzando, al contempo, la competitività dell’Eurozona nel lungo periodo. L’attuazione del Piano è in corso ed è condizionata dalla congiuntura [20]. Alcune azioni contemplate dal Piano si riferiscono al diritto del governo societario e in particolare alle comunicazioni sociali e contabili in materia di sostenibilità e alla sustainable corporate governance, nelle sue molteplici declinazioni. Proprio tali azioni, peraltro, sono centrali nel documento di messa punto del Piano che è la Nuova strategia per la finanza sostenibile pubblicata dalla Commissione a luglio 2021 [21], dopo la consultazione avviata il 21 aprile 2021 [22]. La Nuova strategia aggiorna le priorità del Piano d’azione del 2018, tenendo conto anche degli effetti economici della pandemia da Covid 19, delle misure assunte dall’UE per la ripresa economica e delle sinergie fra transizione ecologica e transizione digitale [23]. La Nuova strategia è [...]
Nella prospettiva ricostruttiva del diritto del governo societario sostenibile, la centralità sistematica riconosciuta al regolamento Tassonomia si riverbera sulla sua interpretazione. Offre spunti riferiti al perimetro di rilevanza e alle ricadute della sua disciplina. Il perimetro di diretta applicazione del regolamento, infatti, come sopra ricordato, è circoscritto. Non di meno le implicazioni della tassonomia UE potrebbero travalicare il perimetro di diretta applicazione del regolamento. Il regolamento infatti è una fonte europea direttamente applicabile e, a ben vedere, classifica non solo le attività economiche e gli investimenti ecosostenibili, ma anche gli impatti ambientali (che sono sei: vedi supra) su cui si apprezza e si misura la sostenibilità ambientale di un’attività economica e dell’investimento in essa. La tassonomia UE, in questo senso, definisce i parametri di tutela ambientale che conferiscono alle attività produttive e ai processi che li perseguono – senza arrecare danno agli altri obiettivi di sostenibilità – connotati normativi di ecosostenibilità. In una visione integrata che è preservata con il criterio del «Do Not Significant Harm» e con la previsione di alcuni standard soglia riferiti all’impatto dell’attività d’impresa sui diritti umani [31]. Il regolamento può, in tale prospettiva, essere considerato la fonte europea degli standard normativi di ecosostenibilità delle attività economiche. Non soltanto ai fini della classificazione degli investimenti, ma più in generale ai fini della classificazione delle attività in cui sono convogliati gli investimenti. Con rilevanti ricadute fattuali sui settori industriali da esso considerati e sulle imprese che vi operano [32]. E con possibili ricadute giuridiche riferite ai principi di corretta amministrazione delle imprese azionarie, per ciò che concerne la sostenibilità ambientale dell’attività (vedi infra). La portata sistematica e precettiva del regolamento, nell’ordinamento europeo e nei diversi sistemi nazionali, in tal senso, travalicherebbe quella del perimetro di diretta applicazione della misura (perimetro definito dall’art. 1 del regolamento). Lo spunto a favore di questa tesi, peraltro, lo fornisce il dato positivo. Tenuto conto, in particolare, del coordinamento [...]
L’Agenda UE per la transizione ecologica, in questo stadio, guarda dunque allo sviluppo sostenibile e ai suoi “attivatori trasversali” [34] con le lenti del climate change. Le politiche UE riferite agli investimenti ecosostenibili sono imperniate sulla tassonomia e su un regolamento che, come evidenziato, assegna prioritario rilievo di sostenibilità al contrasto e all’adattamento al cambiamento climatico. Quindi alla sostenibilità che viene dall’abbattimento delle immissioni di CO2 di origine antropica e dalle misure di transizione energetica ed ecologica. La transizione sostenibile in cui è impegnata l’UE è dunque innanzitutto riferita alla neutralità climatica. Il punto di arrivo è un sistema produttivo che contempla solo – o in misura largamente prevalente – processi industriali e prodotti sostenibili dal punto di vista dell’impatto ambientale (con l’azzeramento o la piena compensazione delle emissioni di CO2 di funzionamento) [35]. Per questo obiettivo l’UE muove molteplici leve: di mercato, di regolazione dei prodotti e delle emissioni, di politica industriale; di incentivi; di trasparenza sui rischi e sulle opportunità ambientali degli investimenti; di trasparenza e di precauzione ambientale in capo alle imprese più grandi e impattanti. E via dicendo. In tale cornice si collocano anche il Green Deal europeo [36] e il Piano di investimenti per una Europa sostenibile [37], che tracciano l’impegno dell’Unione europea per la transizione verde e definiscono una tabella di marcia che punta a raggiungere la neutralità climatica del continente nel 2050. Da tale prospettiva funzionale, il Green Deal europeo e le comunicazioni successive della Commissione si possono considerare parte integrante della strategia della Commissione in materia di finanza sostenibile e per l’implementazione dell’Agenda ONU per il 2030. Sono atti di indirizzo (soft law) utili anche nella interpretazione della regolazione in materia di finanza sostenibile e di sustainable corporate governance riferita all’impatto ambientale delle attività di impresa. Interventi funzionali, in particolare, a orientare l’interprete nella ricostruzione del novero specifico di questioni che riguardano l’ecosostenibilità delle attività, degli investimenti e delle gestioni, nel [...]
Prescindendo da possibili stravolgimenti, l’Agenda di transizione ecologica dell’UE è dunque tracciata. Come emerso, essa assegna prioritario rilievo, nella identificazione delle attività ecosostenibili, alla prospettiva del climate change. Tale acquisizione però non basta a delineare un percorso ricostruttivo piano e univoco riferito all’ecosostenibilità del diritto del governo societario. L’Agenda UE per la transizione ecologica, in effetti, coinvolge la gestione delle imprese azionarie dei settori industriali e finanziario in vario modo. L’impatto maggiore viene da misure di politica economica volte alla identificazione e al finanziamento pubblico delle attività ecosostenibili. Ad esse, peraltro, si affiancano altre misure specificamente riferite al diritto del governo societario e alla trasparenza societaria. In questo novero di misure rientrano sia quelle volte ad accrescere la qualità della trasparenza relativa alle politiche e ai rischi ESG degli emittenti; sia quelle dedicate a favorire l’impegno degli azionisti istituzionali sugli obiettivi di lungo termine degli emittenti partecipati; sia quelli volti a mitigare alcuni squilibri nelle relazioni fra shareholders e stakeholders (sensibili alle questioni ambientali o ad altri aspetti di sostenibilità dell’attività) e nelle supply chain globalizzate. In questo composito scenario, la ricostruzione della regolazione UE che, per accrescere la sostenibilità dello sviluppo, tocca il governo delle imprese azionarie risulta difficile e complessa. Avuto riguardo alla sostenibilità, in effetti, alcune discipline azionarie sono state armonizzate e altre sono in procinto di esserlo. I primi interventi sono antecedenti il Piano di azione del 2018 e hanno riguardato i report di sostenibilità e il ruolo degli investitori istituzionali nelle società partecipate. Altri sono in preparazione per quanto riguarda la responsabilità delle imprese azionarie per le catene di approvvigionamento (cfr. il progetto di direttiva pubblicato in GUUE il 23 febbraio 2022 “Directive on Corporate Sustainability Due Diligence and amending Directive (EU) 2019/1937”). Nell’insieme si tratta di eterogenei e circoscritti interventi per accrescere la sustainable corporate governance delle imprese azionarie europee senza stravolgimenti di sistema. Queste misure peraltro sono [...]
La definizione de iure condito dei profili di sustainable corporate governance del diritto del governo societario richiede un approccio ricostruttivo multilivello e che consideri sia le misure di livello sovranazionale sia le misure di livello UE e nazionale. Misure che vanno coordinate in base alle regole di ciascuno ordinamento nazionale sulle fonti del diritto. Il livello sovranazionale è dato dal diritto pubblico internazionale in tema di sviluppo sostenibile. La crescita sostenibile a cui si riferisce l’Agenda ONU per il 2030, peraltro, si può intendere e realizzare in vari modi. La cifra flessibile del paradigma, d’altro canto, è essenziale per consentire di prospettare il modello di sviluppo sostenibile come formula universalmente valida [43]. Queste fonti, perciò, non forniscono all’interprete indicazioni ricostruttive tanto stringenti. Il livello sovranazionale europeo è dato dalle misure che stanno gradualmente implementando l’Agenda UE per la transizione ecologica. La disciplina presente in queste fonti ha un contenuto orientato su obiettivi e priorità (vedi supra). Tuttavia, ha un assetto in evoluzione e non stabilizzato. Il livello nazionale, infine, è quello che in definitiva delinea compiutamente il governo societario delle imprese azionarie e che accoglie i contenuti di provenienza sovranazionale sulla base delle specificità nazionali di carattere normativo, tecnico ed economico. Il coordinamento di queste fonti è arduo. Nelle varie prospettive, le questioni di sustainable corporate governance si presentano diverse e cangianti. La prospettazione (e “narrazione”) riformista di una sostenibilità globale e multitasking usa termini o sintagmi come “sostenibilità”, “sviluppo sostenibile”, “fattori ESG”, rispettivamente riferiti alle attività produttive, all’impresa o all’investimento con svariati significati. Peraltro, l’urgenza di coniugare sviluppo e sostenibilità è ampiamente condivisa. Per cui i termini e le espressioni sono divenuti, nei loro molteplici significati, il comune denominatore di ogni proposta politica in materia di crescita e di buona governance. Il significato delle espressioni, del resto, non risulta ricostruibile in modo rigoroso a partire dalle fonti di diritto internazionale pubblico di provenienza. Ciò dipende sia dalla [...]
Anche in relazione agli specifici, e relativamente ben definiti, obiettivi di transizione ecologica tracciati dall’Agenda UE e dal regolamento tassonomia, il framework legale della gestione sostenibile dell’impresa azionaria appare di complessa costruzione. Non fosse altro perché richiede di coordinare fonti molteplici e diverse, nazionali ed europee. E richiede, nella prospettiva dell’ordinamento nazionale e dei suoi principi generali di riferimento (la “costituzione economica”), ricostruzioni idonee a perseguire obiettivi di utilità sociale differenti e da bilanciare. Rileva al riguardo che, nel nostro ordinamento, sono diversi gli interessi e le esigenze di utilità sociale che il diritto del governo societario delle imprese azionarie persegue. Diversi, perciò, sono anche gli interessi e le esigenze che devono essere bilanciate nell’orientamento della gestione dell’impresa verso la mitigazione e l’adattamento al climate change o agli altri obiettivi enunciati dall’art. 9 del regolamento Tassonomia (ove rilevante). E diversi possono essere anche i meccanismi per incentivare o per condizionare le imprese a intraprendere un percorso di transizione ecologica. Ciò vale per ciascun ordinamento nazionale UE. In generale, le misure di armonizzazione UE che si riferiscono alla transizione ecologica, quando penetrano negli ordinamenti nazionali degli Stati membri, vengono, in parte, per forza di cose, ricalibrate. Gli Stati membri hanno, di regola, una propria politica di implementazione dell’Agenda ONU per il 2030 e dello sviluppo sostenibile. E hanno, in tutti i casi, un proprio modo di declinare i rapporti fra libertà di iniziativa economica e tutela dell’ambiente o della coesione sociale. Scelgono e continuamente aggiornano il mix di misure necessarie e proporzionate per rendere la crescita economica sostenuta ma anche (più o meno) equa, democratica o poco impattante sull’ambiente e il clima. Ogni sistema è articolato per bilanciare le diverse esigenze di utilità sociale secondo meccanismi di aggiudicazione o di contemperamento. Peraltro, nel diritto delle imprese, l’efficiente allocazione delle risorse può essere un obiettivo di utilità sociale sempre sovraordinato. Mentre la tutela dell’ambiente può in concreto confliggere con altri obiettivi di utilità sociale (il [...]
La materia, e la stessa regolazione della sustainable corporate governance rapportata alla transizione ecologica e allo sviluppo sostenibile, è, dunque, anche a voler considerare solo il panorama UE, estesa e per diversi aspetti caotica. Si tratta peraltro, per ciò che riguarda la regolazione dell’iniziativa economica, di un mosaico nel quale sono presenti solo alcune tessere. Altre sono solo annunciate. Di un mosaico multilivello con componenti di armonizzazione combinate a soluzioni differenziate da Stato a Stato, e con assetti finali comunque influenzati anche dall’autodisciplina e dall’autonomia statutaria. Da questo punto di vista, il Piano UE per la transizione ecologica del continente affronta e attesta la ricchezza e la fragilità dell’Europa quale coalizione sui generis di (molti e diversi) Stati sovrani. Non di meno, l’interprete deve sin d’ora confrontarsi con sviluppi evolutivi che si profilano cruciali per l’economia del XXI secolo. Occorre quindi considerare la regolazione della transizione ecologica e della sustainable corporate governance per quello che, in questo stadio, essa è: canone emergente di un approccio di regolazione economica in cui, cause ed effetti, diritto pubblico e privato, fattori esogeni ed endogeni, diritto armonizzato e diritti nazionali si intrecciano [47]. Canone, peraltro, che pone l’impresa al centro di una scena sociale e di un modello di sviluppo ancora globale, multipolare e di mercato. Modello che, in qualche modo, in ambito giuridico, replica il simbolismo policentrico e policromatico della stessa Agenda ONU per il 2030 [48]. L’interpretazione, in ogni caso, può fronteggiare l’entropia prodotta dall’emersione di un nuovo paradigma valorizzando la complessità giuridica [49]. Ricostruendo il sistema e attingendo ai principi e alle clausole generali dell’ordinamento per colmare le lacune e per superare le contraddizioni. Privilegiando, ove possibile, esiti ricostruttivi funzionali e coerenti con le finalità politiche di cui la regolazione è espressione.
Sono perciò possibilista sul quesito che pone il Convegno. Le imprese saranno parte della soluzione ai problemi ambientali e sociali dello sviluppo economico. Il diritto dello sviluppo sostenibile, come diritto al servizio della transizione ecologica (verso l’impatto ambientale “zero”), infatti, rivaluta gli strumenti di mercato e d’impresa, superando le precedenti e diverse impostazioni incentrate esclusivamente sul diritto pubblico [50]. Del resto, senza il contributo delle imprese, a cominciare da quelle più grandi e strutturate, e senza ingenti investimenti, anche privati, non sarà possibile dare corso ad alcuno sviluppo e neppure alla transizione ecologica dei sistemi produttivi [51]. Occorre intendersi piuttosto sul ruolo che devono giocare, in questa partita, gli Stati e la cooperazione internazionale. Gli Stati infatti restano fondamentali. Sia per la tutela politica e amministrativa degli interessi generali e dei beni pubblici loro affidati, come l’ambiente [52]; sia per promuovere l’equità e l’efficienza nella trasformazione necessaria per la transizione ecologica del sistema produttivo [53]; sia, a mio parere, per consentire alle istituzioni del capitalismo economico di operare in sinergia con quelle della democrazia [54]. Da tale punto di vista, è evidente che, rispetto alla affermazione di uno o di un altro modello di sviluppo, la finanza e la gestione sostenibile dell’impresa azionaria possono svolgere un ruolo solo se incrociano una strategia coerente più ampia, determinata dalle politiche pubbliche rilevanti (energetiche, ambientali e anche fiscali e industriali) [55]. Questo significa che la responsabilità di fronteggiare i rischi ambientali è prima di tutto degli Stati; e che le class action in materia di “giustizia climatica” potranno essere promosse, in primo luogo, nei confronti dei governi [56]. Ciò posto, in questa sede sarà oggetto di indagine il contenuto e il rilievo sistematico delle norme statuali che, nell’assetto dato, si coordinano con il regolamento Tassonomia e definiscono i rapporti fra l’iniziativa economica e la transizione ecologica nell’ambito della gestione delle imprese azionarie.
La legislazione recente in materia di sostenibilità e di transizione ecologica presenta vari aspetti di interesse gius-privatistico [57] e gius-commercialistico [58]. Quella rilevante come regolazione di sostenibilità dell’iniziativa economica, che può impattare sul diritto della gestione dell’impresa azionaria, è anche essa varia e può essere distinta in uno schema tripartito. a) Legislazione in materia di iniziative economiche solidali che spiegano (solo o anche) un impatto ambientale e/o sociale positivo e che occupano nicchie di mercato: come la disciplina sulla società benefit[59] che affianca quella sull’impresa sociale e a partecipazione pubblica[60]. b) Legislazione riferita alle iniziative economiche più rilevanti per l’evoluzione del mercato e della concorrenza: come la disciplina che presidia i processi decisionali dell’impresa azionaria che si finanzia sul mercato dei capitali e che mette in correlazione la remunerazione dell’investimento con l’internalizzazione degli impatti ESG dell’attività e la prudente gestione degli interessi di alcuni stakeholders e dei rischi ESG dell’attività. c) Legislazione riferita ai principi in materia di libertà di iniziativa economica: come quella in grado di accrescere la considerazione per l’impatto ESG o per taluni rischi ambientali o sociali originati dall’iniziativa economica. Principi rilevanti laddove la disciplina o la definizione di un contenzioso impongano (al legislatore o al giudice o all’interprete) di scegliere fra contrastanti istanze di tutela dell’iniziativa economica e del profitto oppure, ad esempio, di tutela dell’integrità dell’ambiente a cui si riferisce ora l’art. 9 Cost. Per le finalità del presente contributo, mette conto considerare essenzialmente le discipline di cui alle lett. b) e c). Nel novero di cui alla lett. b) sono incluse varie disposizioni. Le previsioni introdotte nel t.u.f., nel 2021, in sede di recepimento della direttiva Shareholder II del 2017; e le disposizioni sul bilancio di sostenibilità (“Dichiarazione non Finanziaria” degli EIPR) recate dal d.lgs. n. 254/2016 che ha recepito la direttiva in materia del 2014. Il perimetro soggettivo di applicazione di tali disposizioni peraltro non è coincidente. Le prime si applicano solo alle [...]
Nell’ambito della legislazione sulla sostenibilità dell’iniziativa economica, la recente modifica dell’art. 41 Cost. occupa una posizione di centrale rilievo. Il testo dell’art. 41 Cost. è oggi (in corsivo le modifiche) il seguente: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.”. L’inserimento di questa previsione nel sistema riferito alla ecosostenibilità dell’iniziativa economica si basa, come è evidente, sulla lettera e sulla ratio della previsione. Vi è peraltro da stabilire il significato di ambiente come bene giuridico protetto nei confronti della libertà di iniziativa economica. E di fini ambientali come obiettivi per i quali la legge può determinare i programmi e i controlli opportuni [63]. Si tratta di questioni di ampia portata che qui saranno affrontate solo incidentalmente e per quel che è rilevante nell’ambito della verifica sulle implicazioni del d.lgs. n. 254/2016 per la gestione delle imprese azionarie. In generale, credo si possa ritenere che, rispetto alla tutela dell’ambiente – già prima presente in Costituzione [64], e in sede di riforma oggetto di compiuta articolazione nel nuovo art. 9 Cost. – la riformulazione dell’art. 41 Cost. rafforzi la tutela dell’ambiente nei confronti della libertà di iniziativa economica e delle conseguenze che essa può avere. Le implicazioni di tale rafforzata tutela però sono tutte da definire. Anche perché era e continua a doversi risolvere in via interpretativa la questione della portata della riserva di legge in relazione a tutte le materie ricomprese nel secondo comma dell’art. 41 Cost. [65], incluso ora anche l’ambiente (oltre che la salute). Ecco, su questo, a me pare che la previsione non possa essere letta nel senso di consentire leggi che limitano la libertà di iniziativa economica per tutelare l’ambiente e gli altri beni e interessi pubblici elencati. Questo sarebbe troppo poco e non [...]
In una prospettiva de iure condito, il confronto sulla regolazione di sostenibilità dell’iniziativa economica che investe le imprese azionarie attive sul mercato dei capitali (gli emittenti) riguarda essenzialmente la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 254/2016 [69]. Per l’analisi di questa disciplina, è utile partire dalla direttiva europea di riferimento (di seguito anche Non Financial Regulation Directive o NFRD). La NFRD è la direttiva 2014/95 che ha emendato la direttiva Accounting (2013/34/CE) con l’introduzione di una disciplina armonizzata in materia di informazioni non finanziarie obbligatorie per gli EIPR (enti di interesse pubblico rilevanti, ossia società per azioni emittenti valori mobiliari quotati nei mercati UE, oltre a banche e assicurazioni) di maggiori dimensioni. Fra le soglie dimensionali più selettive, c’è quella del numero dei dipendenti superiore a 500 [70]. Fra i contenuti più rilevanti, c’è l’ampia discrezionalità lasciata alle imprese nella scelta degli standard di rendicontazione. Peraltro, dopo la NFRD, nel 2018, viene pubblicato il Piano d’azione della Commissione europea sulla finanza sostenibile e sono assunte diverse iniziative in materia. L’impatto della NFRD risulta così potenziato da ulteriore legislazione puntellata da espliciti riferimenti alla NFRD [71]. Questi sviluppi inducono la Commissione europea a riconsiderare le originarie opzioni normative della NFRD. Il 20 febbraio 2020 la Commissione europea ha quindi lanciato una consultazione pubblica e, a valle di questa, il 21 aprile 2021 ha presentato una proposta di modifica denominata «Direttiva relativa alla pubblicazione delle informazioni sulla sostenibilità delle imprese (CSRD)» che modifica la direttiva 2013/34 UE, la direttiva (UE) 2004/109, la direttiva (UE) 2006/43 e il regolamento (UE) n. 537/2014. La nuova proposta estende notevolmente il campo di applicazione della direttiva originaria, abbassando i criteri dimensionali per coprire tutte le «grandi» società [72] e tutte le società quotate sui mercati regolamentati, incluse le PMI, ad esclusione delle sole micro-entità [73]. La proposta prevede, inoltre, che la direttiva si applichi anche alle società non UE che abbiano azioni quotate sui mercati regolamentati europei. Introduce, fra l’altro, [...]
I profili di interesse della disciplina sulle DNF e delle prassi che le imprese italiane stanno seguendo nella predisposizione delle DNF sono molteplici [76]. In ambito gius-commercialistico la disciplina ha indotto prese di posizione riferite alla possibile riconfigurazione dei doveri degli amministratori e dell’interesse sociale e al ruolo della DNF nella sustainable corporate governance [77]; sono oggetto di attenzione anche le responsabilità che la società assume per le informazioni contenute nella DNF [78]. Avuto presente il dibattito complessivo, saranno di seguito considerati solo i profili di disciplina e di dottrina che possono rilevare per la gestione sostenibile della società. Ossia per la ricostruzione dei doveri «a contenuto specifico» [79] e delle clausole generali riferite agli altri doveri gestori degli amministratori inerenti la sostenibilità dell’attività della società. Il d.lgs. n. 254/2016, in effetti, di per sé non obbliga né autorizza gli amministratori delle società per azioni da esso incise a perseguire politiche che mitighino i rischi ESG a cui l’impresa è genericamente esposta o che migliorino le performance non finanziarie della società. Introduce solo un dovere di trasparenza di mercato che afferisce a tali materie [80]. Tale dovere però, a mio parere, anche alla luce delle previsioni del regolamento Tassonomia, modifica il quadro complessivo delle condotte dovute e consentite. Senza preclusioni basate sull’ambito (trasparenza armonizzata) di diretto riferimento della NFRD [81]. Per quanto riguarda il contenuto dei doveri, le modifiche investono piani che vanno distintamente considerati.
Fra i doveri degli amministratori, vanno prima di tutto considerati i doveri di trasparenza – doveri a contenuto specifico – che la disciplina in esame introduce. Tenuto conto del modello comply or explain che la caratterizza. La disciplina tratta partitamente, ma con uniforme regime, di “modello aziendale”, “politiche ESG” e controlli e gestione dei “rischi ESG” a cui l’impresa è esposta e che l’impresa alimenta. Tuttavia, mentre per quanto riguarda il modello aziendale e le politiche ESG la discrezionalità imprenditoriale a monte, in linea di principio, è piena (BJR, fatta salva la correttezza societaria) [82], per ciò che attiene ai rischi ESG, e in particolare ai rischi ESG che l’impresa alimenta o a cui è esposta, la discrezionalità gestoria è alquanto vincolata. Per i rischi alimentati sono necessari assetti organizzativi adeguati a mettere la società al riparo dalle possibili responsabilità civili, amministrative e penali [83]. E, per i rischi ESG finanziari di matrice ambientale e climatica ai quali la società è esposta, la trasparenza contabile è, di suo, doverosa [84]. Le possibili implicazioni del decreto legislativo DNF sui doveri di trasparenza che incombono sugli amministratori vanno dunque, a mio parere, partitamente definite in relazione ai diversi ambiti: rischi ESG e politiche ESG. In particolare, ritengo che in relazione ai rischi che l’impresa alimenta o a cui è esposta, la trasparenza della DNF debba essere piena e puntuale necessariamente. Per quanto concerne il controllo e la gestione dei rischi ESG dell’impresa, la componente di regolazione soft della DNF (meccanismo comply or explain) in sostanza viene meno. Parimenti essa viene meno laddove, a monte, l’informazione finanziaria resa dalla società nella sua veste di emittente abbia portato al tracciamento e alla emersione di rischi finanziari – fisici e di transizione – a cui l’impresa è esposta a causa del climate change e della regolazione pubblica (apprestata o in via di definizione) per farvi fronte. Tali rischi finanziari di matrice ambientale e climatica, peraltro, sono oggetto di crescente attenzione nell’ambito della vigilanza finanziaria e prudenziale sulle imprese azionarie [85]. Tali rischi, quindi una volta tracciati come informazioni [...]
Ritengo conclusivamente che il decreto sopra citato sia misura di soft law con riferimento a determinati contenuti opzionali della rendicontazione (incluse le metriche di rilevazione della materialità, le c.d. “doppia analisi di materialità” [89]) e alla selezione e comparabilità delle informazioni ESG che la società deve produrre in ciascun ambito soggettivamente significativo (lett. a), b) e c) dell’art. 3 del decreto) [90]; ma sia misura di diritto imperativo (con imposizione di doveri a contenuto specifico) in relazione alla trasparenza delle scelte praticate in ambiti come quello della gestione dei rischi ESG e della ecosostenibilità normata dal regolamento Tassonomia e richiamata, per quanto concerne le DNF, dall’art. 8 del regolamento Tassonomia e dal regolamento delegato (UE) 2021/2178. Sicché, per le società che vi sono soggette, l’obbligo di DNF ha, a mio parere, ricadute anche sui criteri di corretto esercizio (clausola generale) dei doveri (aspecifici), a monte, riferiti alle scelte di amministrazione che riguardano questi ambiti [91]. La disciplina sulle DNF ha, in tal senso, una portata da riferire anche alle clausole generali sui doveri degli amministratori, in determinati ambiti della gestione, come specificato più avanti (vedi infra). E le ricadute sono di notevole portata. Infatti, sebbene siano poche le imprese azionarie coinvolte in questo adempimento, esse sono le più importanti per fatturato e per capitalizzazione. Senza considerare che la disciplina, in base alle prospettive di modifica delineate dalla Commissione europea nel 2021, è in grado di coinvolgere, in un futuro prossimo, la maggior parte delle imprese azionarie (cfr. supra). In Italia, se la proposta di modifica pubblicata dalla Commissione nel 2021 sarà approvata, si passerà da circa 200 a circa 4000 società azionarie che producono bilanci di sostenibilità [92]. Infine, è importante considerare che per le imprese azionarie che pure si collocano fuori dall’ambito di rilevanza della DNF obbligatoria, la considerazione dei rischi ESG è cambiata perché sono cambiati, come meglio dirò a seguire, sia i principi giuridici di riferimento, sia il contesto operativo. Sicché, aumentano i fattori che possono portare a ritenere che, in concreto, sia dovere degli amministratori, in quanto interesse [...]
Lo scenario che l’interpretazione del decreto citato delinea è quello di una governance delle grandi imprese azionarie che evolve verso l’internalizzazione di determinati rischi e opportunità ESG degli investimenti, in base alle regole e al contesto. Gli input in tal senso mi paiono chiari e riferiti essenzialmente al trattamento degli investimenti in iniziative di mitigazione e adattamento al climate change e di riduzione delle emissioni di CO2 e dei rifiuti. Più in generale, appaiono rilevanti gli obiettivi ambientali (sei in tutto) puntualmente indicati all’art. 9 del regolamento Tassonomia (UE) 2020/852 per identificare gli investimenti ecosostenibili. Gli indici valorizzati in tale prospettiva sono sia normativi sia di mercato. Con riguardo alle regole, sono input in tale direzione le indicazioni del regolamento Tassonomia, che è l’architrave della regolazione europea in materia di rischi e opportunità ESG degli investimenti e dei servizi finanziari. E che, come evidenziato, assume specifico rilievo anche per le DNF delle società, a norma dell’art. 8 del regolamento Tassonomia e del regolamento delegato (UE) 2021/2178. Sul piano operativo e di mercato, invece, sono input in tal senso l’Agenda UE in materia, anche in relazione al regime degli incentivi di Next Generation UE e al complesso delle iniziative UE che si riferiscono all’investimento e al finanziamento delle imprese intersecando materie ambientali. L’approccio UE per la transizione ecologica va, in questo senso, considerato come fattore esogeno che si somma a un trend di mercato che registra l’interesse degli investitori per impieghi riferiti ad attività di mitigazione degli effetti del climate change, con strategie di investimento e di portafoglio mirate. Un insieme di fattori, quindi, contribuisce a porre le imprese azionarie attive sul mercato dei capitali davanti a nuovi rischi, sfide e opportunità di mercato e finanziarie. Regolazione e contesto richiedono a moltissime, se non a tutte (le), imprese azionarie di spiegare l’iniziativa economica, quando è di lungo respiro, tenendo il passo del processo di transizione ecologica definito dall’Agenda UE e da quelle nazionali rilevanti [94]. Per gli amministratori di imprese azionarie, quindi, la doverosità di elaborare una strategia di gestione di determinati rischi e opportunità ESG [...]
In tale prospettiva, si può affermare che l’eventuale obbligo di DNF non altera la finalità ma il procedimento dell’agire funzionale degli amministratori della società [98]. Dal punto di vista interno, l’agire degli amministratori resta finalizzato (salvo una diversa opzione statutaria) alla massimizzazione del valore economico delle azioni. Cambia, però, l’iter che porta gli amministratori delle società che hanno l’obbligo della DNF a qualificare una determinata scelta di sintesi fra sostenibilità economica e sostenibilità ambientale come (correttamente) fatta nell’interesse sociale [99]. E il cambiamento è importante posto che proprio gli interessi patrimoniali degli azionisti potrebbero essere diversi, in capo a singoli o a categorie di soci (investitori istituzionali in primis), in relazione ai rischi finanziari e commerciali e alle opportunità finanziarie e commerciali che la transizione ecologica (da riferire agli obiettivi delineati dall’art. 9 del regolamento Tassonomia) pone alla società [100]. Da questo punto di vista, il d.lgs. n. 254/2016 è ininfluente ai fini della ricostruzione contrattualistica dell’interesse sociale che gli amministratori hanno il dovere di perseguire [101]. Come pure ai fini di una ipotetica messa in discussione della centralità dell’impresa azionaria (votata al profitto) come istituzione cardine del capitalismo moderno. Questa centralità rimane ben salda. Ugualmente, tuttavia, grazie a questa disciplina possono migliorare alcuni risultati non finanziari (che possono essere letti anche come impatti ambientali e sociali positivi) dell’attività delle imprese coinvolte. Se per tali si intendono i risultati di partecipazione e contributo al processo di transizione ecologica promosso dall’UE e incentrato sul conseguimento di determinati obiettivi ambientali (quelli dell’art. 9 del regolamento Tassonomia). E se nella ricostruzione viene valorizzata la correttezza imprenditoriale dovuta, come specificato a seguire, dalla società – e quindi dagli amministratori – verso i terzi in generale.
Il sistema di clausole generali relative ai doveri degli amministratori non è dato solo dalla correttezza societaria dovuta nei confronti della società, dei soci e dei suoi creditori. Il sistema include anche la correttezza imprenditoriale dovuta dalla società (ossia da chi la gestisce) verso le controparti e nei “contatti sociali”. In relazione al contenuto di questa correttezza, il d.lgs. citato, a mio parere, può assumere un ulteriore, specifico rilievo. Entrano in gioco qui le ulteriori questioni che a livello di diritto UE sono tracciate in chiave di sustainable corporate governance dell’impresa azionaria. In materia, in effetti, alcune iniziative regolatorie riferite alla responsabilità esterna delle imprese azionarie per la loro sostenibilità ESG stanno prendendo forma. Esse interessano ambiti diversi anche se contigui a quelli tracciati dal regolamento Tassonomia. Si potrebbe dire che il Regolamento si occupa e definisce un canone di classificazione degli attributi di sostenibilità dell’oggetto sociale. Invece, queste proposte si occupano di classificare gli attributi di sostenibilità dello scopo o del modello aziendale di queste imprese e fondare responsabilità. Queste iniziative sono al momento progetti. Tuttavia, rispondono a misure contemplate dal Piano d’azione della Commissione europea del 2018 e stanno gradualmente prendendo forma. Nel 2020 si è conclusa la prima consultazione indetta dalla Commissione europea su possibili interventi di armonizzazione in materia di corporate governance degli emittenti, per favorire la considerazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile nei piani strategici e gestionali delle società europee, contrastando lo “short termismo” [102]. A valle di ciò, come già ricordato, il 23 febbraio 2022 è stata pubblicata la proposta della Commissione che dà seguito alla Comunicazione con cui il Parlamento UE invitava la Commissione UE ad assumere iniziative per disciplinare in modo armonizzato la diligenza gestoria e la responsabilità dell’impresa per i danni ambientali e umanitari della catena globale dei fornitori [103]. La proposta di direttiva richiamata definisce anche obblighi e responsabilità di gestione sostenibile dei gruppi di società e dei gruppi sovranazionali. In particolare, la proposta di direttiva prevede l’obbligo [...]
Come noto, sugli amministratori di una società azionaria incombono non solo i doveri (aspecifici) di correttezza societaria (interna verso i soci e verso i creditori sociali) ma anche i doveri (aspecifici) di correttezza imprenditoriale (verso gli stakeholders interni ed esterni all’impresa). Agli amministratori, come all’imprenditore individuale, è richiesto di gestire l’impresa ossia la società “scontando” dal profitto la correttezza imprenditoriale (nell’interesse generale e per non esporre la società a responsabilità civili, amministrative e penali ex d.lgs. n. 231/2001). Agli amministratori è dunque richiesto di elaborare una strategia che consenta all’impresa di stare sul mercato rispettando la legislazione di riferimento per l’attività e, in generale, la correttezza dovuta. Tuttavia, per favorire le imprese azionarie ed evitare tensione fra il dovere di correttezza societaria (massimizzare lo shareholder value) e il dovere di correttezza imprenditoriale (per evitare le diseconomie dello stallo, e per efficientare la gestione dell’impresa azionaria), l’ordinamento tende a imporre all’imprenditore alcuni e dettagliati limiti di legge e a conformare su di essi la correttezza imprenditoriale dovuta. Con un duplice risultato: definire la correttezza imprenditoriale nei termini che possono essere praticati, come principi di corretta amministrazione, anche da una organizzazione sviluppata e complessa come quella azionaria [107]; e nei termini di cui ex ante sono calcolabili i costi e i benefici, per l’impresa e per la collettività. Ciò porta a legislazioni di dettaglio che, per ciascun settore, stabiliscono le regole di impatto ambientale e sociale che l’iniziativa economica deve rispettare (a pena di responsabilità civili, amministrative e penali, caso per caso, in capo all’ente e a chi lo gestisce). Questo sistema di regole porta alla gestione economica dei principali rischi “da impresa” che l’attività ordinariamente alimenta [108]. Nella sfera ambientale, si pensi alla valenza giuridica assunta dal principio economico “chi inquina paga” [109]. Porta però anche alle strategie di delocalizzazione che sfruttano contesti in cui il lavoro o l’ambiente sono poco tutelati in astratto o in concreto. Da tale assetto normativo conseguono, [...]
La regolazione sulla DNF, unitamente al regolamento Tassonomia e al nuovo art. 41 Cost. possono determinare una evoluzione dei contenuti aspecifici della correttezza imprenditoriale dovuta dagli amministratori (nella qualità di gestori dell’impresa azionaria), in base agli artt. 1175 e 1375 c.c. [115]. In particolare, per ciò che riguarda la gestione dei rischi ESG che l’attività alimenta. E assumendo che la portata concreta di tali clausole generali si possa ricostruire in termini oggettivi o normativi [116]. Segnatamente, ritengo che la regolazione e i principi sopra richiamati possano incidere sui criteri di corretta gestione manageriale dei rischi ESG del modello aziendale. L’evoluzione dell’ordinamento renderebbe, in pratica, sindacabili le scelte dell’impresa azionaria obbligata alla DNF quando esse, al netto della compliance, riguardano gli impatti ambientali o sociali del modello aziendale. Limitando la BJR residua dopo che sono state soddisfatte le condizioni per la compliance dell’attività [117]. E incrementando la pressione dell’ordinamento per la massima mitigazione di determinati impatti ESG negativi delle attività economiche. Mi riferisco, per esempio, a scelte amministrative relative alla concreta organizzazione della funzione di compliance che presiede al controllo e alla gestione dei rischi (concreti presidi introdotti per rispettare le prescrizioni di legge rilevanti in materia di tutela ambientale, anche con riferimento alla specifica attività esercitata dalla società [118]). Oppure a scelte amministrative che incidono sulla protezione degli interessi degli stakeholders che sono a rischio, quando essi non confliggono con quelli degli azionisti; oppure quando, pur confliggendo, nelle circostanze date, dovrebbero ricevere una protezione di correttezza preminente. Penso agli indirizzi di gestione che, secondo la scienza aziendale, tracciano le coordinate con cui, a livello di singole funzioni, direttamente o indirettamente, si definiscono target di impatto ambientale negativo tollerato (ferma la compliance dovuta nella giurisdizione di riferimento, che può essere diversa da quella dove le attività di impresa trovano sbocco) [119]. A me pare dunque che, per quanto riguarda la sindacabilità di simili scelte amministrative, la legislazione che impone la DNF prenda – direttamente e indirettamente [...]
Il d.lgs. n. 254/2016 è assistito da public enforcement affidato alla Consob. Possono tuttavia prospettarsi anche misure di private enforcement [125] che pongono molte questioni ricostruttive. Di seguito sarà fatto cenno ad alcune. Mutatis mutandis, le questioni di private enforcement da considerare sono, da una parte, quelle rilevanti per la responsabilità da prospetto e, dall’altra, quelle in materia di responsabilità della società e degli amministratori per pubblicazione di un bilancio non correttamente compilato. Se la società pubblica una DNF, quanto da essa dichiarato nella qualità di emittente è impegnativo. E richiede di essere debitamente coordinato con l’informazione finanziaria che lo stesso emittente rende (vedi supra). Dall’accertamento Consob di un illecito amministrativo riferito alla DNF (per inciso: non risulta, ad oggi, adottato alcun provvedimento amministrativo sanzionatorio, malgrado le indicazioni di comune priorità di vigilanza fornite da ESMA in materia [126]) possono, dunque, secondo il contenuto dell’accertamento, in base ai principi, scaturire azioni risarcitorie “derivate” da parte di investitori e di stakeholders (interni ed esterni), nei confronti della società oltre che dei suoi amministratori, ex art. 2395 c.c. Più difficile, ma non impraticabile, appare la proposizione diretta e autonoma di azioni civili basate sulla prospettazione di contenuti deficitari o decettivi della DNF che risultino essere alla base di (pregiudizievoli) decisioni economiche degli stakeholders [127].
Come precisato, peraltro, la disciplina può avere anche ricadute sulla determinazione della condotta doverosa degli amministratori in determinati ambiti di gestione. Ricadute riferite al dovere, a monte, di dotare la società di una strategia sulla transizione ecologica (fattore esogeno), per sfruttare le opportunità e per mitigare i rischi finanziari che essa alimenta. Questo dovere, per come qui ricostruito, discende dal diritto societario (vedi supra). Perciò è sanzionato dalla responsabilità civile degli amministratori verso la società, i soci, i creditori e i terzi, fatta salva l’applicazione di una BJR specifica [128]. In tal caso, peraltro, le iniziative potrebbero essere autonome e basate non sul deficit di trasparenza della DNF (che può ricorrere o meno) ma sul merito della gestione, qualora abbia arrecato un pregiudizio economico identificabile a tali categorie di soggetti [129]. Può rilevare in tal senso anche il danno reputazionale risentito dalla società a causa delle scelte di gestione operate in ambiti ESG [130]. Escluderei invece la legittimazione di soci o stakeholders (interni o esterni all’organizzazione) ad agire contro gli amministratori per ottenere una tutela specifica o per equivalente nei confronti delle scelte di sostenibilità mancate e delle asserite favorevoli ricadute patrimoniali che non si sono realizzate [131]. Si consideri peraltro che la gestione dell’impatto ESG del modello aziendale, o delle politiche commerciali, o dei rischi ESG a cui l’impresa è esposta in rapporto alla transizione ecologica come fatto esogeno rispetto alla gestione, pone questioni di posizionamento competitivo, di resilienza e di redditività dell’attività. Questioni di rilievo squisitamente societario. Potrebbero quindi rilevare le diverse aspettative e preferenze degli azionisti (aspettative di dividendi o di valorizzazione della partecipazione, articolate anche in ragione degli impegni verso i sottoscrittori assunti in qualità di azionisti investitori istituzionali [132]) che competerà agli amministratori proceduralizzare e sintetizzare come interesse della società (vedi supra).
Infine, c’è la gestione dei rischi ESG che la società alimenta. Questa gestione chiama in causa situazioni che essenzialmente fanno capo a terzi (anche se possono riscontrarsi, presso gli azionisti, diverse sensibilità nei confronti di tale genere di rischi [133]). Con riferimento alla gestione dei rischi ESG alimentati, si pone la questione delle conseguenze di responsabilità a cui può portare la sindacabilità delle componenti di gestione manageriale dei rischi ESG. Ad esempio, delle politiche di contemperamento fra redditività e rischio ambientale o fra continuità aziendale e rischio ambientale [134]. Il c.d. contezioso climatico [135], sino a questo momento, ha coinvolto quasi esclusivamente Stati [136]. Vi è solo una causa intentata in Olanda contro una Corporation che, in primo grado, è stata condannata a ridurre le proprie emissioni [137]. Non si può escludere che, in tali ambiti, vi possa essere spazio, oltre che per richieste di risarcimento in presenza di perdite, anche per l’attivazione di altri strumenti di tutela giudiziaria come quello dell’art. 2409 c.c. azionato dall’investitore responsabile oppure, nell’interesse generale, dal pubblico ministero [138]. In questo caso, il ricadere o meno nel perimetro di DNF obbligatoria può fare la differenza sia quanto a condotta doverosa degli amministratori della società, sia quanto a legittimazione di terzi a prospettare l’ipotetica responsabilità della società e dei suoi amministratori [139]. Ad esempio, in caso di società con obbligo di DNF sarebbero più facilmente prospettabili class action climatiche [140] nei confronti di omissioni riferite al rischio connesso alle emissioni di CO2 e al suo ragionevole e prudente contenimento, di cui la DNF, anche in base al regolamento Tassonomia, deve dare specifico conto [141].
Il tema della responsabilità della società capogruppo per la condotta socialmente irresponsabile delle società subordinate pone, in primis, questioni di imputazione dell’attività di impresa nei gruppi, e di tutela di coloro che diventano creditori involontari di società di gruppo sottocapitalizzate [142]. Pone altresì questioni riferite ai criteri complessivi di gestione che, in relazione a determinati gruppi e fattispecie di danno ambientale e sociale, sono specificamente affrontati dal progetto di direttiva pubblicato il 23 febbraio 2022 «Directive on Corporate Sustainability Due Diligence and amending Directive (EU) 2019/1937» già più volte richiamato. Ci si può domandare, tuttavia, a prescindere dagli sviluppi prospettati da questa proposta di direttiva (che riprende orientamenti già codificati nell’ordinamento tedesco [143]), se e come, a legislazione data, per società capogruppo obbligate a pubblicare una DNF consolidata, possano sorgere responsabilità ambientali e sociali interne ed esterne [144]. Al riguardo, mette conto ricordare che, salvi i casi di esenzione di cui all’art. 6 del d.lgs. sulle DNF, la società madre EIPR ha l’obbligo di redigere una DNF consolidata (art. 2, secondo comma, del d.lgs. cit.). E che l’art. 4 del d.lgs. cit. stabilisce che la dichiarazione consolidata comprende i dati della società madre, delle sue società figlie consolidate integralmente e copre i temi di cui all’art. 3, nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività del gruppo, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta. Alla DNF consolidata si applicano integralmente, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 3 del d.lgs. Le considerazioni di cui sopra sui doveri a contenuto specifico che il d.lgs. n. 254/2016 pone a carico degli amministratori della società valgono perciò anche per gli amministratori della società madre che dovranno ricevere dalle società figlie tutte le informazioni necessarie a redigere una DNF conforme. Parimenti, mutatis mutandis, dovrebbero valere, per la correttezza della direzione e del coordinamento del gruppo, le medesime indicazioni sopra ricavate dal sistema in relazione ai doveri a contenuto aspecifico della gestione sostenibile. Ovvero: in [...]