Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Ius in fieri in Cassazione (di Loredana Nazzicone)


Sommario/Summary:

Premessa. - I. Questioni sostanziali - 1. Caparra e patto risolutorio della stessa. - 2. Forma del mutuo dissenso di contratto formale. - 3. Forma della clausola sul corrispettivo nel contratto formale. - 4. Contratto di mutuo dell’ente di previdenza con i propri iscritti. - 5. Intese restrittive della concorrenza in tema di fideiussione bancaria. - 6. Responsabilità per omessa vigilanza sugli operatori finanziari ed obbligazioni solidali. - 7. Contratto di agenzia e clausola di non concorrenza. - 8. Fallimento in presenza di concordato preventivo non risolto. - 9. La revocabilità dell’incasso riveniente dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato. - II. Questioni processuali - 1. Regolamento di competenza nel riparto tra sezione fallimentare e sezione lavoro del tribunale. - 2. Contratti bancari e c.t.u. - 3. Esterovestizione e onere della prova per l’amministrazione finanziaria. - 4. Prededucibilità del credito del professionista nel successivo fallimento. - 5. Prededucibilità del credito del professionista e verifica di utilità per la massa. - 6. Insinuazione di crediti maturati dopo la sentenza di fallimento. - 7. Inefficacia dei pagamenti eseguiti dal fallito e natura dell’azione. - 8. Arbitrato ed espromissione.


Premessa.

Questo numero della rassegna è riservato alle pronunce delle Sezioni unite in attesa di adozione, dopo l’ordinanza interlocutoria di rinvio al Primo Presidente ex art. 374 c.p.c., oppure su istanza di parte, nella logica – sin dal principio espressa – di sollecitare la collaborazione dell’Accademia alla migliore soluzione possibile, nel rispetto del diritto positivo, delle questioni poste. L’esigenza è infatti ancora più reale a fronte delle questioni rimesse alle Sezioni unite, sia per la rilevanza in adiecto dei temi, sia per essere in via ordinamentale essi trattati da un consesso allargato a specialisti di aree diverse. Ad esse, si aggiunge la segnalazione di questioni di diritto che, venute all’esame della sezione sesta della Cassazione (deputata alle declaratorie di immediata inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza ex art. 380-bis c.p.c.) o della sezione semplice con rito camerale (art. 380-bis.1 c.p.c.), siano state ritenute dal collegio di particolare rilevanza e rimesse, pertanto, alla pubblica udienza della sezione semplice, secondo il rito di cui all’art. 375, secondo comma, c.p.c., a volte, come può accadere, per intrinseco dissenso nel collegio, di per sé peraltro indice proprio di controvertibilità della soluzione. Per entrambe, l’intento è la “emersione” di questioni che, in quanto contenute in ordinanze interlocutorie, non fissano principî di diritto e non vengono massimate ufficialmente.


I. Questioni sostanziali - 1. Caparra e patto risolutorio della stessa.

Cass., sez. II, ord. interl. 9.3.2021, n. 6452 (Pres. Lombardo, rel. Carrato) Cass., sez. II, sent. 12.7.2021, n. 19801 (Pres. Lombardo, rel. Carrato) Con l’ordinanza interlocutoria in epigrafe, il collegio ha deciso di non trattare in adunanza camerale, ma di rimettere alla pubblica udienza dichiarando di non avere rinvenuto precedenti, la questione della forma scritta per la risoluzione del patto di caparra, allorché essa acceda a contratto a forma scritta ad substantiam (nella specie, il contratto preliminare immobiliare ex art. 1351 c.c.), attesi la natura giuridica della caparra confirmatoria ed il rapporto con il contratto cui accede. Quindi, a stretto giro con la sentenza sopra indicata la causa è stata decisa, con l’enunciazione del seguente principio di diritto: «in tema di caparra confirmatoria, nel caso in cui la parte inadempiente restituisca la somma versatale a titolo di caparra dall’altra parte contrattuale (nella specie, a mezzo assegno bancario), non viene meno il diritto della parte adempiente a pretendere il doppio della caparra, da far valere, ove non emerga in senso contrario un’univoca volontà abdicativa del suo diritto da parte del creditore, mediante l’esercizio del recesso, anche con la proposizione di apposita domanda giudiziale in caso di mancata conformazione spontanea dell’inadempiente al relativo obbligo».


2. Forma del mutuo dissenso di contratto formale.

Cass., sez. II, ord. interl. 31.5.2021, n. 15114 (Pres. Di Virgilio, rel. Giannaccari) Ancora dubbi sul requisito formale hanno indotto il collegio della medesima Sezione, riunito in adunanza camerale, alla rimessione in pubblica udienza della questione concernente la forma del contratto con cui viene risolto, per mutuo consenso, un negozio avente forma scritta ad substantiam, nella specie un contratto preliminare di compravendita immobiliare. In particolare, è stato richiesto ad un successivo collegio in pubblica udienza di chiarire «se l’art. 1351 c.c., il quale stabilisce che il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prevede per contratto definitivo, si riferisca alla sola conclusione del contratto e non anche alla sua risoluzione consensuale, alla quale, in quanto non produce alcun effetto di natura reale, ma soltanto l’estinzione delle precedenti obbligazioni personali, è, quindi, applicabile il principio della libertà di forma della manifestazione di volontà».


3. Forma della clausola sul corrispettivo nel contratto formale.

Cass., sez. II, ord. interl. 24.5.2021, n. 14145 (Pres. Gorjan, rel. Fortunato) Verrà trattato in pubblica udienza il tema, venuto dapprima all’esame in un procedimento camerale, della necessità che, nei contratti formali a carattere oneroso, del requisito della forma scritta anche per la clausola determinativa dell’ammontare del corrispettivo. L’ordinanza chiede, altresì, di approfondire il rilievo che assuma, a tale effetto, la dichiarazione scritta attestante l’avvenuto versamento del prezzo.


4. Contratto di mutuo dell’ente di previdenza con i propri iscritti.

Cass., sez. VI-1, ord. interl. 14.5.2021, n. 13077 (Pres. Acierno, rel. Dolmetta) Il quesito, che il ricorso poneva, attiene all’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 40, secondo comma, t.u.b. – il quale fissa in sette il numero di rate rimaste inadempiute idoneo a determinare la risoluzione del contratto – anche ai mutui erogati dall’Inps in favore dei dipendenti pubblici, quale gestore del “Fondo della gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali”. Nella specie, il contratto inter partes prevedeva che il mancato pagamento di due rate di ammortamento nel termine di novanta giorni dalla scadenza facoltizzava l’istituto mutuante ad avvalersi della clausola risolutiva espressa. Per verità, questa volta il collegio non ha voluto limitarsi a riscontrare i presupposti di cui all’art. 375, secondo comma, c.p.c., ai fini della rimessione della causa alla pubblica udienza della sezione ordinaria, ma ha voluto (sebbene, all’evidenza, il collegio non abbia inteso decidere) esternare alcuni convincimenti al riguardo. Vale a dire: da un lato, l’esigenza di richiamare anche l’art. 120-quinquies­decies t.u.b., in tema di inadempimento del mutuatario nel credito immobiliare al consumatore, pretendendo di darne «una lettura che guardi insieme a queste due disposizioni, che le assuma in termini coordinati»; dall’altro lato, l’idea di un’applicazione analogica dell’art. 40 t.u.b. ai mutui concessi dagli enti di previdenza obbligatoria ai loro iscritti.


5. Intese restrittive della concorrenza in tema di fideiussione bancaria.

Cass., sez. I, ord. interl. 30.4.2021, n. 11486 (Pres. De Chiara, rel. Mercolino) È stata rimessa alle Sezioni unite (con udienza pubblica fissata al 23.11.2021) la causa de qua, ravvisando il collegio la «necessità di una rimeditazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità dei contratti stipulati in conformità d’intese restrittive della concorrenza, volta a verificarne l’applicabilità alle fideiussioni bancarie prestate in conformità delle condizioni uniformi predisposte dall’ABI». Dopo un excursus della giurisprudenza di legittimità sulla sorte dei contratti stipulati in conformità di intese anticoncorrenziali, che ha già in passato costituito oggetto di esame da parte della S.C. (Cass., sez. un., 4.2.2005, n. 2207, fra l’altro in Foro it., 2005, I, 1014, n. Palmieri, Pardolesi, Scoditti, Danno e resp., 2005, 495, n. Inzitari, Libonati, Corr. giur., 2005, 333, n. Pagni, Negri e ivi, 1093, n. Libertini), l’ordinanza ventila che i pregressi approdi siano «ormai non più adeguati rispetto alla frequenza con cui il fenomeno tende a riproporsi ed alla multiforme tipologia dallo stesso assunta negli anni più recenti». Rileva, altresì, l’ordinanza una scarsa attenzione verso l’azione di nullità del contratto, da taluno negata, da altri ammessa, ma in tal caso alternativamente per contrarietà dell’atto a norme imperative qual è l’art. 2 l n. 287/1990, per illiceità della causa o per illiceità dell’oggetto, con le ulteriori varianti della nullità derivata e della nullità di protezione. In particolare, la singola controversia sollecita una riflessione per le intese nel settore bancario, e specificamente con riguardo ai provvedimenti di Bit che dichiarino contrarie all’art. 2, secondo comma, l. n. 287/1990 date clausole dello schema contrattuale predisposto dall’ABI, come avvenuto nel 2005 per la fideiussione, quanto alle clausole di rinuncia ex art. 1957 c.c. e di sopravvivenza della garanzia all’inefficacia dei pagamenti o all’invalidità dell’obbli­gazione principale. La «automatica applicazione dei principi enunciati in riferimento alla nullità dei contratti di assicurazione, senza approfondirne adeguatamente le ricadute, in relazione alle [...]


6. Responsabilità per omessa vigilanza sugli operatori finanziari ed obbligazioni solidali.

Cass., sez. III, ord. interl. 2.7.2021, n. 18817 (Pres. De Stefano, rel. Iannello) In una vicenda relativa al contratto di amministrazione fiduciaria del denaro affidato alle società finanziarie Reno s.p.a. e Previdenza s.p.a., in cui gli investitori avevano domandato la condanna del Ministero dello sviluppo economico al risarcimento del danno, rappresentato dalla perdita dei capitali investiti, a titolo di responsabilità extracontrattuale per omessa informativa e vigilanza, la sezione terza civile ha rimesso la causa al Primo Presidente, per l’e­ventuale assegnazione alle Sezioni unite, avendo ravvisato un contrasto all’in­terno della Corte di Cassazione. In particolare, si tratta di stabilire se sussista – anche nei confronti del Ministero – ex artt. 2943, secondo comma, e 2945, primo comma, c.c., l’effetto interruttivo della prescrizione quinquennale dell’azione, in conseguenza della domanda di insinuazione al passivo della procedura concorsuale cui la società stessa sia sottoposta, con sospensione del termine sino alla chiusura della procedura concorsuale, in applicazione del disposto dell’art. 1310 c.c. Al riguardo, due le tesi esistenti presso la S.C.: l’una, secondo cui, dovendo ritenersi obbligazioni solidali quelle in cui, ai sensi dell’art. 1292 c.c., i diversi debitori, pur sulla base di diverse causae obligandi, siano tenuti alla medesima prestazione, tale elemento non sussiste nel caso di specie, fra l’obbli­gazione di restituzione delle somme, facente capo alla società fiduciaria in via contrattuale, e l’obbligo, gravante sul Ministero, di risarcimento del danno, per non avere impedito lo svolgimento dell’attività finanziaria da parte della società, che potrebbe anche non coincidere con l’importo delle somme affidate (v. Cass. 21 febbraio 2020, n. 4683, in verità quale obiter). L’altra (accolta da Cass., ord. 11 marzo 2020, n. 7016, in Foro it., 2020, I, 3944, in tema di pretesa risarcitoria per omessa vigilanza contro la Consob) reputa, al contrario, che la domanda di ammissione al passivo della procedura concorsuale della società di gestione produca l’effetto interruttivo e sospensivo della prescrizione anche della domanda per omessa vigilanza, trattandosi di unico fatto dannoso subìto dagli investitori; né la diversa natura del «credito restitutorio» e [...]


7. Contratto di agenzia e clausola di non concorrenza.

Cass., sez. II, ord. interl. 12.7.2021, n. 19800 (Pres. Gorjan, rel. Picaroni) Il giudice del merito, nella vicenda esaminata dalla S.C., ha dichiarato la nullità del patto di non concorrenza per violazione dell’art. 1341 c.c., negando l’obbligo dell’agente al pagamento della relativa penale ed affermando, nel contempo, il suo obbligo di restituire gli importi percepiti quale corrispettivo del patto di non concorrenza. La Cassazione, riunita in sede camerale, ha rimesso alla pubblica udienza la questione, ritenuta rilevante e non definibile in adunanza, se debba qualificarsi come vessatoria la clausola di non concorrenza per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di agenzia, in quanto stipulata prima dell’intro­duzione dell’art. 1751-bis c.c., allorché invero il patto di non concorrenza del­l’agente non era “naturalmente”; ciò, richiamando anche la recente pronuncia (Cass. 20.4.2021, n. 10382), che ha ritenuto corretta la configurazione del divieto di concorrenza come riflesso di un connaturale dovere di buona fede nel­l’esecuzione del contratto e non come limite ulteriore alla libertà negoziale dell’agente.


8. Fallimento in presenza di concordato preventivo non risolto.

Cass., sez. I, ord. interl. 31.3.2021, n. 8919 (Pres. Cristiano, rel. Amatore) È stata rimessa alle Sezioni unite (con udienza pubblica fissata il 7.12.2021) la questione dell’ammissibilità dell’istanza di fallimento, ai sensi degli artt. 6 e 7 l. fall., nei confronti di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, a prescindere dell’intervenuta risoluzione del concordato, quale questione di massima di particolare importanza. In verità, non sussiste un contrasto al riguardo nella giurisprudenza di legittimità, che si è pronunciata espressamente in senso favorevole (Cass., sez. VI, ord. n. 17703/2017 e n. 29632/2017), reputandosi insussistenti preclusioni alla dichiarazione di fallimento di società con concordato preventivo omologato, ove si faccia questione dell’inadempimento di debiti già sussistenti alla data del ricorso ex artt. 160-161 l. fall., secondo un principio generale che permette ai soggetti legittimati ex artt. 6 e 7 l. fall. di provocare la dichiarazione di fallimento del debitore commerciale insolvente. Ma il collegio richiama espressamente le “molte voci autorevoli” della dottrina, nel senso della non dichiarabilità del fallimento dell’impresa ammessa al concordato preventivo omologato ineseguito, senza la preventiva risoluzione del concordato stesso, ai sensi dell’art. 186 l. fall., con argomentazioni che ha ritenuto meritevoli di approfondimento, in particolare con riguardo alle finalità perseguite con lo strumento concordatario: donde la rimessione alle S.U. Senza mancare di affermare che un «punto dovrebbe, tuttavia, essere tenuto fermo»: e cioè «dover ritenere che non sia possibile ricollegare l’effetto esdebitatorio discendente dall’omologazione del concordato preventivo all’ipotesi di concordato inadempiuto e non risolto, posto che tale soluzione, unitamente all’opzione dell’inammissibilità del fallimento senza previa risoluzione del concordato, entrerebbe in tensione con i principi costituzionali posti a presidio dell’esercizio giurisdizionale dei diritti di tutela del credito». La questione prospettata, infine, involge l’ulteriore approfondimento della possibilità di fallimento solo per un’insolvenza “nuova”, rispetto al momento dell’omologazione del concordato, ovvero anche per [...]


9. La revocabilità dell’incasso riveniente dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato.

Cass., sez. I, ord. interl. 31.3.2021, n. 8923 (Pres. Cristiano, rel. Vella) È stata ancora rimessa alle Sezioni unite (con udienza pubblica tenutasi il 28.9.2021, ma sentenza non ancora pubblicata) la questione di massima di particolare importanza seguente: l’assoggettabilità a revocatoria fallimentare, di cui all’art. 67, secondo comma, l. fall., della rimessa in conto corrente bancario, effettuata dalla banca con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno, ormai consolidatosi in suo favore; questione cui risulta strettamente collegata l’ulteriore questione se, una volta restituita dal creditore pignoratizio la somma revocata, l’ammissione del credito al passivo ai sensi dell’art. 70, secondo comma, l. fall., in via chirografaria, possa ritenersi confliggente con la stessa concezione redistributiva e anti-indennitaria della revocatoria fallimentare, che implica unicamente il ripristino della par condicio creditorum. Il tema è stato ritenuto postulare una precisa opzione ermeneutica, che coinvolge i principî generali della concorsualità. La prima questione ha invero ricevuto, nel tempo, diverse letture nella giurisprudenza, «oltre ad aver costantemente suscitato, da oltre mezzo secolo, l’attenzione della dottrina». In favore della revocabilità si sono espresse talune decisioni (cfr. Cass. n. 16565/2018; Cass. n. 4785/2010), essendo l’operazione vietata di per sé, che tuttavia il Collegio ha reputato poco persuasive, indicandone le ragioni. Sebbene, si ricorda, trattandosi di una ordinanza interlocutoria e non di una decisione sul punto, non costituisca precedente o “diritto vivente”. Il Collegio ha ragionato nel senso che, ferma restando la funzione redistributiva o “anti-indennitaria” dell’azione revocatoria fallimentare, potrebbe verificarsi una eterogenesi dei fini, avuto riguardo proprio al principio sotteso della par condicio creditorum: ciò in quanto, a fronte di una garanzia consolidata e dunque pienamente efficace nei confronti della massa, una volta ricostituito l’attivo distribuibile attraverso la revoca del “pagamento” realizzato mediante il controvalore del bene sul quale la garanzia era stata costituita, la degradazione a chirografo del credito originariamente garantito integrerebbe essa stessa – in difetto di una azione di revoca dell’atto [...]


II. Questioni processuali - 1. Regolamento di competenza nel riparto tra sezione fallimentare e sezione lavoro del tribunale.

Cass., sez. lav., ord. interl. 27.10.2020, n. 23602 (Pres. Doronzo, rel. Ponterio) Cass., sez. VI, ord. 24.6.2021, n. 18182 (Pres. Amendola, rel. Doronzo) La sezione sesta civile della Cassazione, com’è noto, è quella deputata alla trattazione dei ricorsi che presentino i caratteri della inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza, oltre che delle istanze di regolamento di competenza (artt. 375 e 380-bis c.p.c.). Nella specie, è stata impugnata con ricorso per regolamento di competenza l’ordinanza il giudice del lavoro, il quale ha dichiarato improseguibili le domande proposte innanzi a sé, perché rientranti nella cognizione del giudice fallimentare. Contro questa ordinanza è stato proposto regolamento necessario di competenza, avendo i ricorrenti interpretato la statuizione di improseguibilità come sostanzialmente coincidente con una pronuncia declinatoria della competenza, valorizzando a tal fine la forma dell’ordinanza adottata dal giudice per il suo provvedimento, conformemente a quanto dispone l’art. 42 c.p.c. Pervenuta, dapprima, la causa in esame alla c.d. sezione filtro, la Sezione sesta civile, nella ripartizione della sottosezione lavoro, è stata decisa la trasmissione degli atti al Presidente titolare della sesta sezione, per l’eventuale assegnazione al collegio composto dallo stesso e dai coordinatori delle sottosezioni. Si tratta di un’articolazione organizzativa, composta in collegio (e predisposta al punto 46.2 della tabella della Corte di cassazione), sulla falsariga del riparto tra sezioni semplici e Sezioni unite, e mirante, del pari, alla individuazione di orientamenti comuni a tutte le materie, che sia utile definire sin dal primo ingresso dei ricorsi in Corte. Dunque, si è decisa la trasmissione degli atti a detto collegio, cui è stato sottoposto il seguente quesito: se, allorché il giudice del merito abbia qualificato come questione di competenza una mera questione di ripartizione degli affari all’interno dello stesso ufficio, dunque reputando come competenza/in­competenza una questione che pacificamente attiene alla semplice scelta del rito e alla distribuzione tabellare degli affari all’interno del medesimo tribunale – nella specie, in funzione di giudice fallimentare e quale giudice del lavoro – il mezzo di impugnazione resti unicamente il regolamento necessario di [...]


2. Contratti bancari e c.t.u.

Cass., sez. I, ord. interl. 31.3.2021, n. 8924 (Pres. De Chiara, rel. Valitutti) Cass., sez. I, ord. interl. 14.4.2021, n. 9811 (Pres. De Chiara, rel. Valitutti) Nei giudizi vertenti sui rapporti dare-avere dei clienti con le banche, sovente viene disposta una consulenza tecnica d’ufficio, in cui, altrettanto di frequente, le parti non mettono ex ante, depositandole in giudizio entro i termini processuali, a disposizione i documenti rilevanti, che quindi vengono autonomamente reperiti dal consulente stesso e posti a base della sua risposta. Nella vicenda di cui a Cass., ord. n. 8924/2021, un documento decisivo era stato allegato alla relazione del consulente d’ufficio, ben oltre le preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c., ma era stato ammesso dai giudici del merito, sia perché l’eccezione di illegittimità dell’allegazione documentale in questione era stata formulata in modo generico e tardivo, sia perché l’acquisizione di ulteriore documentazione era stata autorizzata dal tribunale con l’ordinanza che aveva disposto la c.t.u. Nel caso venuto all’attenzione in Cass., ord. n. 9811/2021, era stata disposta una consulenza grafologica, conseguente a richiesta di verificazione ex art. 216 c.p.c., con riguardo alle sottoscrizioni apposte sulle “contabili” della banca, ma il c.t.u. aveva proceduto all’esame anche di altre scritture, sulle quali il consulente non era stato chiamato alla verifica di autenticità. L’art. 198 c.p.c. prevede che il consulente ben può esaminare documenti o registri non prodotti in causa, ed anche farne menzione nei processi verbali e nella sua relazione, ma solo con il consenso di tutte le parti. Il punto attiene alla qualificazione come nullità relativa, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., che, in quanto tale, deve essere eccepita dalla parte interessata «nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso», oppure assoluta e rilevabile d’ufficio. Tuttavia, sulla natura giuridica della nullità della consulenza tecnica di ufficio, in particolare con riguardo all’avere il consulente tenuto indebitamente conto di documenti non ritualmente prodotti in causa, sussiste un contrasto nella giurisprudenza della Cassazione: da un lato, la tesi che qualifica tutte le ipotesi di nullità della consulenza tecnica, ivi compresa quella in discorso, come relative (da [...]


3. Esterovestizione e onere della prova per l’amministrazione finanziaria.

Cass., sez. V, ord. interl. 18.05.2021, n. 13487 (Pres. Mocci, rel. Delli Priscoli) La Sesta Sezione tributaria ha rimesso alla Quinta Sezione Civile la questione del contenuto dell’onere della prova che deve assolvere l’Ammini­strazione finanziaria nell’ipotesi di “esterovestizione”, ossia di localizzazione fittizia della residenza fiscale di una società all’estero, al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa (art. 73, terzo comma, t.u.i.r., d.p.r. n. 917/1986). Gli elementi posti a sostegno della circostanza dell’esterovestizione sono stati, invero, ritenuti insufficienti dal giudice del merito (costituiti dalla provenienza di alcune mail della contribuente dall’Italia e dalla possibilità di operare su un conto corrente portoghese solo da parte di un soggetto italiano), in quanto al più semplici indizi, non univoci, e come tali inidonei a dimostrare l’esistenza dell’amministrazione in Italia, mentre l’effettività della sede in Portogallo era dimostrata dalle adunanze degli organi societari ivi svolte, nonché dall’utilizzo di un ufficio e di attrezzature presso la sede portoghese e di conti correnti con banche di quel Paese.


4. Prededucibilità del credito del professionista nel successivo fallimento.

Cass., sez. I, ord. interl. 23.4.2021, n. 10885 (Pres. Scaldaferri, rel. M. Di Marzio) Si terrà il 14.12.2021 l’udienza pubblica delle Sezioni unite per trattare la questione, rimessa dall’ordinanza in epigrafe, concernente la prededuzione del credito del professionista che abbia prestato la sua opera in vista dello svolgimento della procedura di concordato preventivo. In particolare, dopo ampia disamina dei precedenti e dei problemi, sono state sottoposte alle Sezioni unite ben sette questioni: i) se la disciplina della revocatoria dei pagamenti di crediti insorti a fronte della «prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali» condivide alla medesima ratio che è posta a fondamento della prededuzione del credito dei professionisti che abbiano prestato la propria opera in vista dell’accesso alla procedura concordataria; ii) se debba essere ribadito che la prededuzione di detto credito non trova fondamento nel presupposto dell’occasionalità, ma in quelli della funzionalità e/o della espressa previsione legale; iii) se debba essere ribadito che il criterio della funzionalità va scrutinato ex ante, non considerando in alcuna misura l’utilità della prestazione del professionista; iv) se la previsione legale si riferisca al solo professionista attestatore o anche agli altri professionisti cui si è fatto cenno; v) se il preconcordato sia una fase di un’organica procedura o se la procedura di concordato preventivo, anche in caso di concordato in bianco, abbia inizio con il provvedimento di ammissione del tribunale; vi) se la prededuzione spetti anche in caso di procedura concordataria in bianco che non varca la soglia dell’ammissibilità ovvero in caso di revoca della proposta da parte del proponente; vii) se la prededuzione spetti al professionista che ha lavorato prima ancora del deposito della domanda di concordato; viii) se l’esigenza di contrastare il danno inferto ai creditori per effetto del depauperamento dell’attivo derivante da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili possa essere soddisfatta attraverso la verifica dell’esatto adempimento, e del carattere non abusivo e/o fraudatorio, della prestazione richiesta al professionista in vista dell’accesso alla procedura concordataria. Con la richiesta di rendere coerente la materia e trovare le soluzioni, che [...]


5. Prededucibilità del credito del professionista e verifica di utilità per la massa.

Cass., sez. I, ord. interl. 16.4.2021, n. 10208 (Pres. Cristiano, rel. Vella) La questione attiene alla prededuzione del credito del professionista, ammesso in via privilegiata, per l’assistenza prestata nella predisposizione del concordato preventivo della società, ammesso e poi revocato, ai sensi dell’art. 173 l. fall. Il Tribunale ha ritenuto che, di regola, l’ammissione del credito fa presumere la funzionalità delle prestazioni, fatti salvi gli atti di frode, che possono portare alla sua esclusione; ma, in caso di successivo fallimento, il curatore può provare la manifesta inutilità (e anzi dannosità) del concordato preventivo per i creditori, come avvenuto nel caso di specie. Rileva, dunque, l’interpretazione dell’art. 111 l. fall., in quanto, ai fini del riconoscimento della prededuzione, sia possibile o necessario riscontrare l’uti­lità in concreto delle prestazioni rese, o se invece sia sufficiente la loro adeguatezza ex ante. Dall’adunanza camerale, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza, in quanto il Collegio – tenuto conto della copiosa giurisprudenza circa la prededucibilità dei crediti sorti “in funzione” del concordato preventivo «per cui non rileva l’utilità ex post, bensì l’inidoneità ex ante della prestazione (Cass. 13596/2020, 9027/2020, 220/2020, 12017/2018, 1182/2018)» e delle possibili interferenze con l’eccezione di inadempimento «avuto riguardo alla potenziale idoneità della prestazione, prima facie, all’avvio della procedura (Cass. 22467/2018; cfr. Cass. 22785/2018 e Cass. 24025/2020)» – ha ritenuto opportuno «approfondire la tematica dell’eventuale effetto preclusivo derivante dell’ammissione del credito in via privilegiata, rispetto al diniego di riconoscimento della prededuzione per il medesimo credito».


6. Insinuazione di crediti maturati dopo la sentenza di fallimento.

Cass., sez. VI, ord. interl. 10.2.2021, n. 3218 (Pres. Ferro, rel. Vella) Cass., sez. I, sent. 16.11.2021, n. 34730 (Pres. Cristiano, est. Iofrida) Si tratta della domanda di ammissione al passivo, in prededuzione, del credito per canoni di locazione, maturati dopo il subentro della curatela fallimentare nel contratto, e per indennità di occupazione sino al rilascio dell’immo­bile, a seguito della risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del fallimento. Si pongono, da un lato, la tesi secondo cui i crediti sorti post fallimento non sarebbero soggetti a nessun termine decadenziale (per il quale v. Cass., sez. I, ord. 28.6.2019, n. 17594, in Fallimento, 2020, 29, n. Cataldo; Cass., sez. I, 31.7.2015, n. 16218, ivi, 2016, 20, n. Spadaro), e, dall’altro, il diverso indirizzo di legittimità, in base al quale all’art. 101 1.f. deve applicarsi il correttivo di elaborazione giurisprudenziale, per cui, in luogo del termine fisso di dodici mesi dalla esecutività dello stato passivo, va individuato un termine mobile rimesso al giudice di merito, secondo un criterio di ragionevolezza, stabilito «in coerenza e armonia con l’intero sistema di insinuazione che è attualmente in essere e sulla scorta dei principi costituzionali di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all’art. 24 Cost.» nel termine di un anno, decorrente «dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare» (Cass., sez. I, 17.2.2020, n. 3872, in www.lanuovaproceduracivile.com, 2020), ovvero «dalla maturazione del credito» (Cass., sez. I, 10.7.2019, n. 18544, in Fallimento, 2020, 32, n. Cataldo). La Sezione VI, sottosezione Prima civile, ha rilevato dunque come in materia di termini per l’insinuazione al passivo dei crediti maturati dopo la dichiarazione di fallimento, sussistono pronunce discordi della Corte: peraltro, ormai convergenti sulla premessa per cui non sia ammissibile una insinuazione sine die. Ne ha concluso che la vicenda in esame meriti un approfondimento in pubblica udienza, specie con riguardo al dies a quo del termine in discorso (e, in via mediata, ai riflessi sull’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 112 l. fall., secondo cui i creditori ammessi tardivamente concorrono soltanto alle ripartizioni posteriori alla loro ammissione, [...]


7. Inefficacia dei pagamenti eseguiti dal fallito e natura dell’azione.

Cass., sez. VI, ord. interl. 14.5.2021, n. 13076 (Pres. Valitutti, rel. Dolmetta) La Sesta sezione civile, sottosezione I, ha rimesso alla pubblica udienza la questione, di rilievo nomofilattico, se in caso di pagamento eseguito dal fallito successivamente alla sua dichiarazione di fallimento, l’inef­ficacia di tale atto possa essere dichiarata, ai sensi dell’art. 44 l. fall., solo a seguito di azione promossa dal curatore fallimentare, trattandosi di inefficacia relativa e, pertanto, se l’azione abbia natura costitutiva e non semplicemente dichiarativa. Tra i precedenti di rilievo, si vedano Cass., sez. I, ord. 12.10.2018, n. 25558; Cass., sez. I, 29.11.2011, n. 29873; Cass., sez. I, 19.9.2007, n. 19165, in Fallimento, 2008, 419, n. Macario e Obbl. contr., 2008, 603, n. Del Re.


8. Arbitrato ed espromissione.