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Note di lettura: “Per una storia del diritto commerciale contemporaneo” di Annamaria Monti
Mario Libertini, Professore Emerito di diritto commerciale, Sapienza Università di Roma
Lo scritto recensisce un recente volume di A. Monti, sottolineando la crescente attenzione degli storici del diritto verso la storia recente del diritto commerciale e sullo sviluppo della dottrina giuscommercialistica.
The paper reviews a recent work by A. Monti, highlighting the increasing attention of legal historians to the recent history of commercial law and the development of commercial law doctrine.
Keywords: commercial and business law; history of commercial law; commercial law scholarship
1. Annamaria Monti, che ha dedicato molti e pregevoli studi alla storia del diritto commerciale, propone ora un’opera ad uso didattico, volta ad illustrare «le linee di tendenza del diritto commerciale fra Otto e Novecento». Più precisamente, la trattazione è svolta in prospettiva comparatistica (se pur limitata all’Europa) per ciò che riguarda il XIX secolo, mentre si concentra quasi esclusivamente sull’Italia per il periodo successivo (fermandosi, peraltro, al codice del 1942).
L’esposizione è divisa in quattro parti, precedute da una «Premessa».
Nella Premessa si danno le informazioni di base sul diritto mercantile corporativo e sul successivo recepimento dei relativi contenuti da parte della legislazione statale, culminato con il Code de commerce napoleonico del 1807, che fu a sua volta recepito in Italia e rimase a modello della legislazione commerciale anche nel tempo della Restaurazione. Questa esperienza ci consegna un diritto commerciale divenuto ormai parte integrante del diritto statale, non più fondato su riferimenti all’appartenenza di ceto, ma comunque destinato ad una minoranza di cittadini (i “commercianti”) e costituito da norme ritenute di eccezione rispetto al diritto civile.
In questa parte introduttiva, ben delineata è la differente esperienza del diritto commerciale inglese, formatosi come parte integrante del common law, nelle relative corti, e solo nella seconda metà dell’Ottocento integrato da fonti legislative speciali. Così il diritto inglese anticipava, per via giurisprudenziale, quella “commercializzazione del diritto privato” che, nei diritti continentali, sarà frutto di un processo non lineare e più tardo.
La Parte Prima del volume inizia con due capitoli, dedicati alla disciplina delle società e del fallimento nel sec. XIX. Sul primo tema, ben calibrata è l’attenzione sul ruolo storico centrale del modello dell’accomandita; così pure il rilievo centrale dato alla questione del superamento della necessità di autorizzazione governativa per la costituzione di società anonime (fenomeno maturato, in tutta Europa, nella seconda metà del secolo). Sul secondo tema si segnala non solo la tendenziale continuità del fallimento ottocentesco con la tradizione punitiva del fallimento di ancien régime, ma anche la consapevolezza, nei giuristi ottocenteschi (soprattutto francesi), del fatto che il fallimento continua ad essere uno strumento imperfetto, in cui «tutti perdono» («un profilo irrisolto dell’ordinamento»).
Questa parte del volume si conclude con un terzo capitolo («La costruzione dottrinale»), dedicato alle prime esperienze di insegnamento universitario del diritto commerciale. In questa fase, a parte la figura di spicco di Pardessus, l’insegnamento del diritto commerciale, affidato a giuristi “pratici” o a cultori di altre discipline, non ha ambizioni teoriche e si pone in continuità con l’impostazione empirica che era già prima propria delle numerose scuole private della disciplina (fenomeno poco noto, su cui l’a. richiama l’attenzione in diversi punti del volume).
Un tratto saliente, che caratterizza l’insegnamento del diritto commerciale fin dalle origini è quello dell’attenzione verso lo studio comparatistico. Questa si traduce nella pubblicazione di grandi raccolte di legislazioni straniere ed anche in prese di posizione teoriche, volte a presentare il diritto commerciale come diritto “a vocazione universale”. In tale contesto, particolare attenzione è riservata alla figura di Leone Levi, commerciante anconetano trasferitosi in Gran Bretagna e ivi divenuto anche professore universitario. Nella sua opera Commercial Law of the World si evocavano «principi di diritto ed equità immutabili nella loro essenza e universali nella loro applicabilità».
2. La Parte Seconda del volume è dedicata al diritto commerciale nel secondo Ottocento.
L’attenzione è rivolta, in primo luogo, ai processi legislativi, a cominciare dalla Allgemeine Wechselordnung del 1848 (a cui si attribuisce il ruolo di aver affermato per prima l’astrattezza cambiaria; in realtà questa veniva enunciata per la prima volta a livello dogmatico, in quel torno di tempo, in Germania, ma come regola di inopponibilità di eccezioni personali preesisteva da tempo) per proseguire con l’Allgemeines Handelsgesetzbuch, con cui si afferma la vocazione espansiva del diritto commerciale (che è reso applicabile anche agli atti di commercio unilaterali) ed è superata la concezione del diritto commerciale come insieme di norme di eccezione.
A ciò fa seguito un’attenta trattazione delle vicende della codificazione commerciale italiana, soprattutto con riguardo alla formazione del codice del 1882, plausibilmente presentato come espressione di una scelta politica liberista, ma insieme permeato di una forte idea di autonomia del diritto commerciale, a cominciare dalla disciplina delle fonti. Seguendo l’esempio tedesco, le norme commerciali si applicano anche agli atti misti e tendono ad occupare uno spazio crescente nella vita sociale.
Questa parte del volume prosegue con l’illustrazione dello sviluppo di una dottrina giuscommercialistica di rango accademico, in grado di costruirsi uno statuto disciplinare autonomo. Questo sviluppo è seguito in Germania, Francia e Gran Bretagna, e poi naturalmente in Italia, ove già prima dell’arrivo di Vivante si afferma una forte idea di autonomia “giuridica” e scientifica della disciplina, mentre si conferma la vocazione universalistica della stessa.
3. La Parte Terza è dedicata all’affermazione di una scuola italiana del diritto commerciale, fra la fine del sec. XIX e l’inizio del XX. Qui viene, naturalmente, messo in luce il ruolo centrale di Cesare Vivante, con la sua ambizione di superamento del «complesso di inferiorità verso la dogmatica civilistica», anche attraverso la formazione di un codice unico delle obbligazioni. Attenzione ancora maggiore è dedicata all’opera di Angelo Sraffa (su cui l’a. ha pubblicato una pregevole monografia nel 2011), di cui è apprezzato l’impegno sociale, ma sono forse sottovalutati i limiti nell’analisi dell’economia di mercato (nello scritto su La lotta commerciale del 1894, che l’a. ampiamente richiama, Sraffa svolgeva un’invettiva contro la concorrenza fra imprese, vista come una lotta immorale delle grandi imprese contro le piccole e contro i consumatori, e neanche utile a stimolare l’innovazione, perché «il perfezionamento della tecnica industriale era stato ormai raggiunto»).
L’analisi prosegue con la segnalazione dell’espansione dei temi trattati dai cultori della disciplina: dal fenomeno della disparità di potere contrattuale (con particolare riguardo ai rapporti di lavoro e alla contrattazione collettiva, ma anche con attenzione verso i contratti dei consumatori), all’emersione degli istituti del diritto industriale e della concorrenza sleale. Molto vivace anche l’apporto di proposte di riforma legislativa, oltre che sui problemi emergenti, anche su materie già disciplinate, come i contratti di borsa e le società per azioni. A questo impegno riformistico si accompagna la sfiducia verso la possibilità che gli usi commerciali possano dare vita a nuove soluzioni normative eque e così supplire alla carenza di disciplina legislativa (anche su questo tema fu particolarmente incisivo il contributo di Sraffa).
In questa parte del volume si segnala ancora, opportunamente, la piena partecipazione della dottrina italiana al dibattito internazionale, che vedeva la dottrina commercialistica accomunata dall’attenzione verso la storia della disciplina e verso la comparazione. Si costruiva in tal modo un orgoglio disciplinare, che si tradusse nella pubblicazione di diverse riviste scientifiche, fra cui primeggiava, naturalmente, la Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni.
La Parte Quarta è dedicata all’evoluzione del diritto commerciale nel periodo che va dalla Prima Guerra Mondiale al codice del 1942. La trattazione si muove tra il livello dell’esame della legislazione (dal “diritto di guerra” ai diversi progetti di riforma del codice di commercio, fino all’unificazione dei codici) e quello dei contributi di figure di spicco della disciplina (in particolare, Rocco, Mossa, Ascarelli).
4. Il titolo del volume recensito trasmette, già nel titolo («Per una storia …»), un messaggio di appartenenza ad un disegno di costruzione di una storia del diritto commerciale contemporaneo, non ancora compiuto e che probabilmente l’a. ha in animo di sviluppare (e ci si augura che questo sia il suo intento).
In effetti, sarebbe troppo facile indicare sin d’ora quali potrebbero essere questi sviluppi: sul piano delle norme, maggiore attenzione potrà essere dedicata alle attività di costruzione di un diritto uniforme a livello internazionale (dai titoli cambiari ai diritti di proprietà industriale e intellettuale); sul piano delle dottrine, al significato del passaggio da un diritto commerciale incentrato sull’atto di scambio professionale (“atto di commercio”) ad uno incentrato sulla nozione di impresa; sul piano delle ideologie e del metodo giuridico, alla costruzione, da parte della dottrina giuscommercialistica, di una visione forte della propria autonomia, vissuta anche come base per un programma di modernizzazione dell’intero diritto privato. Si tratta di temi non assenti nella trattazione, ma probabilmente meritevoli di un maggiore sviluppo, che potrà venire da prossime edizioni del volume. Sin d’ora però deve riconoscersi che questo assolve molto bene al suo fine didattico, consentendo allo studente di comprendere a fondo un capitolo centrale della storia del diritto contemporaneo, che concerne il modo con cui i giuristi europei, e italiani in particolare, hanno affrontato lo studio giuridico dell’economia di mercato capitalistica, con ciò trovandosi di fronte all’esigenza di andare oltre gli schemi romanistici.
Ciò che induce a meditare, per i giuscommercialisti di professione, è la crescente attenzione degli storici del diritto verso la storia recente del diritto commerciale e sullo sviluppo della dottrina giuridica giuscommercialistica. Il volume qui recensito fa seguito a quello curato da Italo Birocchi («Non più satellite»), da me recensito in questa Rivista (2020) e a diverse monografie su esponenti della disciplina (Vidari, Sraffa, e soprattutto Ascarelli).
Questo interesse degli storici del diritto merita una spiegazione, considerato che la competenza di questa disciplina spazia dai diritti romano-barbarici ai giorni nostri. Probabilmente, il fascino della storia del diritto commerciale contemporaneo sta nella dialettica irrisolta fra l’ambizione di costruire una disciplina generalista nuova – centrata sulla costruzione giuridica dell’economia di mercato capitalistica, e quindi sull’attività d’impresa e sul funzionamento dei mercati, anziché sulla figura dell’individuo proprietario, centrale nella tradizione romanistica – e la tentazione permanente di concentrarsi nella trattazione specialistica di sezioni di quella economia di mercato e nella relativa attività professionale. In questa prospettiva, l’attenzione degli storici del diritto di professione verso il diritto commerciale contemporaneo dovrebbe essere, per i giuscommercialisti di oggi, non solo uno stimolo per continuare direttamente il dialogo, ma anche una ragione per non dimenticare quella vocazione generalista della loro disciplina, che è maturata nel corso del XX secolo ed oggi appare bisognosa di rilancio.