Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Golden power: vecchi problemi e nuovi temi societari (di Giulia Serafin, Dottoranda nel corso di dottorato di ricerca in “Diritto, mercato e persona”, Università Ca’ Foscari Venezia)


Il saggio, ripercorsa brevemente la genesi dei poteri speciali in alcuni ordinamenti europei e la giurisprudenza della Corte di giustizia, analizza la disciplina prevista dal d.l. n. 21/2012, e le recenti modifiche introdotte a seguito dell’approvazione del Regolamento (UE) 2019/452 in tema di investimenti esteri diretti nell’Unione europea.

In particolare, l’articolo intende valutare se la disciplina sui poteri speciali possa trovare coerente applicazione e coordinamento con i diversi istituti previsti di diritto societario.

Infine, il lavoro si trattiene sulle novità introdotte dal d.l. n. 23/2020 (c.d. Decreto liquidità) in risposta ai problemi sollevati dalla pandemia da Covid-19.

Golden power: old problems and new corporate issues

The essay, after briefly reviewing the emergence of golden powers in some European systems and the jurisprudence of the Court of Justice of the EU, analyse the current discipline provided for by Italian Decree-Law no 21/2012, also considering the recent changes introduced following the approval of Regulation (EU) 2019/452 on foreign direct investments in the European Union.

In particular, the article intends to assess whether the rules on golden powers can be applied and coordinated consistently with the various provisions of company law.

Finally, the work considers the innovations introduced by the Italian Decree-Law no 23/2020 (the so-called “liquidity decree”) in response to the problems raised by the Covid-19 pandemic.

Keywords: golden power; foreign direct investments; major holdings; Decree-Law no 23/2020

 

Sommario/Summary:

1. Cenni introduttivi. - 2. Privatizzazioni, poteri speciali e giurisprudenza comunitaria. - 3. L’attuale assetto dei poteri speciali nell’ordinamento italiano. - 4. Il Regolamento UE sugli investimenti esteri diretti. - 5. L’acquisto di partecipazioni rilevanti nel settore della difesa e della sicurezza nazionale: questioni societarie. - 6. Quote di s.r.l. e diritti particolari dei soci. - 7. Le ipotesi di empty voting. - 8. La raccolta delle deleghe di voto e la rappresentanza assembleare. - 9. L’acquisto di partecipazioni rilevanti negli altri settori. - 10. I patti parasociali. - 11. La notifica di delibere, atti od operazioni in entrambi i settori: prime osservazioni. - 12. Scioglimento della società, fusione e scissione. - 13. Modifica dell’oggetto sociale, trasferimento della sede all’estero, modifica di clausole statutarie che incidono sui diritti di voto. - 14. Le modifiche sui golden power ai tempi del Covid-19. - 15. Brevi riflessioni conclusive. - NOTE


1. Cenni introduttivi.

La materia dei flussi di investimento da e verso l’estero è un tema su cui si concentrano e si scontrano da sempre esigenze differenti. Da un lato, quella di creare un ambiente economico aperto agli investimenti, dai quali dipende la capacità di attrarre capitali, creando nuovi posti di lavoro, aumentando la concorrenza e gli scambi commerciali. Dall’altro, l’esigenza di controllare e limitare, all’occorrenza, quei flussi che contrastino con motivi di interesse pubblico. È evidente, infatti, che l’apertura incondizionata potrebbe comportare rischi in particolari settori, considerati strategici o comunque “sensibili”, quali la difesa nazionale e i servizi pubblici essenziali. Per questo, l’individuazione dei poteri speciali e degli interessi perseguiti è un valido indicatore del modo in cui lo Stato si riserva di intervenire sull’economia. Nel percorso che accompagna la predisposizione di discipline volte a proteggere questi diversi interessi, la natura e le funzioni dei poteri speciali vengono costantemente alla ribalta, in un dibattito che ha conosciuto momenti di intensa vivacità e coinvolto molte discipline. Questo saggio, dopo aver brevemente ripercorso la genesi dei poteri speciali e la loro successiva evoluzione, proseguirà illustrando l’attuale normativa italiana, nonché il mutato e complesso quadro di riferimento europeo, proponendo alcune brevi considerazioni sul rapporto tra le due fonti. Successivamente, verranno analizzate le fattispecie che, ai sensi della disciplina interna, impongono alle società operanti nei settori considerati strategici di effettuare una notifica all’autorità governativa. In particolare, ci si soffermerà dapprima sulla fattispecie relativa all’acquisto di una partecipazione rilevante, verificandone la portata applicativa, sia in relazione alle partecipazioni computabili, sia in merito alla problematica applicazione in determinate situazioni che, pur prescindendo dalla titolarità di una partecipazione rilevante, pongono rilevanti questioni in termini di governance di una società. In relazione alla seconda fattispecie prevista dalla normativa italiana, ovverosia l’adozione di alcune delibere, ovvero il compimento di certi atti od operazioni, dopo alcune considerazioni di carattere generale, verranno più specificamente trattate le singole delibere elencate [...]


2. Privatizzazioni, poteri speciali e giurisprudenza comunitaria.

L’evoluzione della materia, almeno negli ordinamenti europei [1], è fortemente connessa al fenomeno delle privatizzazioni. Com’è noto, infatti, a partire dalla fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90 si assiste al tendenziale abbandono di un ruolo imprenditoriale da parte dello Stato, condotto tramite la privatizzazione di interi settori dell’economia [2]. In questo quadro, tuttavia, la privatizzazione delle imprese pubbliche si accompagnava alla previsione di particolari istituti, contemplanti l’attribuzione di “poteri speciali” alle autorità di governo, giustificati dall’asserita necessità di tutelare un interesse pubblico, sovente, però, non meglio precisato. Nei primi ordinamenti in cui le privatizzazioni avevano luogo, quello inglese e quello francese, i poteri speciali assumevano una connotazione peculiare, sostanziantesi nell’attribuzione allo Stato di una partecipazione cui erano ricollegati diritti prescindenti dalla percentuale di capitale detenuta nelle imprese dismesse. È emblematico l’ordinamento inglese, dove nasce il modello della golden share, locuzione che identifica un titolo azionario che attribuisce la possibilità di esercitare alcuni poteri volti a mantenere il controllo statale sulle decisioni considerate rilevanti per l’economia nazionale [3]. Anche l’ordi­namento francese, con la privatizzazione, introdusse un meccanismo riconducibile per taluni versi a quello della golden share: l’istituto dell’action spécifique [4]. Analogamente, altri Stati europei attribuivano poteri speciali al governo nell’ambito dei provvedimenti concernenti la privatizzazione delle singole imprese o precedevano un regime autorizzativo per le operazioni ritenute rilevanti [5]. Anche il legislatore italiano, col d.l. 31 maggio 1994, n. 332, convertito con l. 30 luglio 1994, n. 474, disciplinava i poteri speciali nell’ambito delle privatizzazioni di imprese pubbliche [6]. Sul modello della golden share britannica e dell’action spécifique francese, l’art. 2 del Decreto prevedeva che tra le società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato e operanti in determinati settori, una volta dismesse le relative partecipazioni, fossero individuate quelle in cui doveva essere introdotta, con deliberazione dell’assemblea [...]


3. L’attuale assetto dei poteri speciali nell’ordinamento italiano.

Con il d.l. 15 marzo 2012, n. 21, convertito con modifiche nella l. 11 maggio 2012, n. 56, il legislatore italiano provvedeva all’emanazione di una rinnovata disciplina in materia di golden power [11]. La normativa era adottata utilizzando la decretazione d’urgenza, impiegata al dichiarato scopo di evitare un’ulteriore condanna da parte della Corte di giustizia [12]. Infatti, dopo due condanne già subite dall’Italia [13], nel novembre 2009, la Commissione europea apriva una nuova procedura di infrazione (n. 2009/2255) ex art. 258 del T.F.U.E. Con decisione del 24 novembre 2011, in seguito alla trasmissione da parte dell’Italia di una bozza di decreto che riformava la disciplina dei poteri speciali ritenuta – però – insoddisfacente, la Commissione deferiva l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE. Nel parere motivato del 16 febbraio 2011, la Commissione rilevava che, per quanto gli interessi richiamati dalla normativa italiana potessero in astratto giustificare una restrizione della libera circolazione dei capitali e della libertà di stabilimento, le misure lì configurate risultavano inadeguate o, comunque, sproporzionate, ai fini del conseguimento degli interessi tutelati. Molti sono i profili che hanno portato a rivedere l’assetto dei poteri speciali, ad iniziare dalla scelta di svincolarne l’esercizio dalla circostanza che la società fosse precedentemente in mano pubblica; garantendo in tal modo parità di trattamento fra società pubbliche e private operanti in uno dei settori ritenuti rilevanti. Con il d.l. 15 maggio 2012, n. 21, si assiste, infatti, all’abbandono del meccanismo della golden share per passare a quello del golden power. I poteri speciali non transitano più attraverso il possesso di partecipazioni societarie, ma discendono direttamente dalla disciplina legislativa, che ne regola l’eser­cizio. A ciò si aggiunge un intenso sforzo volto a delineare quanto più precisamente possibile le attività di rilevanza strategica, nonché i criteri di valutazione da utilizzarsi nell’esercizio dei poteri speciali; anche questi tassativamente enucleati e opportunamente modulati a seconda del settore rilevante e della situazione contingente. Dal punto di vista delle prerogative esercitabili, vengono eliminati sia quello di opporsi alla stipulazione di alcuni patti [...]


4. Il Regolamento UE sugli investimenti esteri diretti.

Il già complesso quadro normativo dei golden power si è di recente addensato per effetto dell’intervento del legislatore comunitario. Al fine di meglio descriverlo è opportuno rammentare che, dal punto di vista dell’ordinamento europeo, le misure che gli Stati adottano per tutelare i propri legittimi interessi possono comportare una restrizione agli investimenti esteri diretti. Questi ultimi rientrano nella materia della politica commerciale comune che, sin dall’entrata in vigore del Trattato istitutivo della CEE, è uno dei pilastri fondamentali dell’Unione, su cui essa vanta una competenza esclusiva. Il quadro istitutivo di riferimento è dato dagli artt. 206 e 207 del T.F.U.E., secondo i quali l’Unione contribuisce allo sviluppo del commercio internazionale e all’uniformità della politica commerciale comune [18]. In questa cornice, il 19 marzo 2019 l’Unione europea ha adottato un Regolamento che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione [19]. Con questa disciplina le Istituzioni europee, dato atto che gli Stati membri hanno adottato misure fra loro diverse sul controllo degli investimenti esteri diretti per tutelare la sicurezza e l’ordine pubblico, non intendono sostituirle [20], bensì istituire un meccanismo di cooperazione tra gli Stati, attuato grazie ad uno scambio di informazioni tra essi e la Commissione europea. Il Regolamento, dunque, mira ad integrarsi con i meccanismi di controllo già adottati dagli Stati membri. Il quadro istituito dal Regolamento europeo prevede due distinte procedure. La prima è relativa agli investimenti esteri già oggetto di un controllo in corso, che vanno notificati agli Stati membri e alla Commissione. Qualora uno degli Stati ritenga che l’investimento sottoposto a controllo possa incidere sulla propria sicurezza o sul proprio ordine pubblico, o se dispone di informazioni rilevanti, può formulare osservazioni allo Stato membro notificante, inviandole anche alla Commissione, che a sua volta provvederà a notificare agli altri Stati membri l’avvenuta formulazione delle osservazioni. Parallelamente, la Commissione, ove ritenga che l’investimento possa compromettere la sicurezza o l’ordine pubblico in più di uno Stato membro, ovvero disponga di informazioni rilevanti, può emettere un parere [...]


5. L’acquisto di partecipazioni rilevanti nel settore della difesa e della sicurezza nazionale: questioni societarie.

Come si è già rilevato, l’esercizio dei singoli poteri speciali è diversamente regolato a seconda del settore interessato e della fattispecie in gioco. Prendendo le mosse dal settore della difesa e della sicurezza nazionale, l’art. 1, quinto comma, d.l. n. 21/2012 richiede a chiunque acquisisca una partecipazione di notificare entro dieci giorni alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l’eventuale superamento di determinate soglie. Risolvendo un punto in precedenza controverso, si è evitato il rinvio all’art. 120, secondo comma, t.u.f. [25]. Secondo quanto stabilito dalla previsione in esame rilevano, dunque, gli acquisti di azioni o quote che determinino il superamento delle soglie del 5%, 10%, 15%, 20%, 25% e 50%. Ai fini dell’esercizio dell’opposizione, rilevano gli acquisti effettuati, a qualsiasi titolo, diretti o indiretti, anche attraverso acquisizioni successive, per interposta persona o tramite soggetti altrimenti collegati, di un livello di partecipazione al capitale con diritto di voto in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Solo a questo fine, la norma, richiamando sia l’art. 122 del t.u.f., sia l’art. 2341 bis c.c., prevede si computino anche le partecipazioni detenute da terzi con i quali l’acquirente abbia stipulato un patto parasociale. Ai fini della notifica, il principale nodo da sciogliere concerne l’uso del termine partecipazione [26]. In particolare, non è chiaro se nel computo delle soglie rilevino le sole partecipazioni al capitale in senso stretto o se si debba invece estendere il concetto anche a strumenti diversi da azioni o quote. Infatti, se è vero che la notifica deve essere effettuata in relazione ad acquisti che abbiano ad oggetto azioni o quote, è altrettanto vero che l’esercizio del potere di opposizione concerne una situazione in cui l’acquirente venga a detenere una partecipazione «in grado di compromettere nel caso specifico gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale» [27]. Altro dato normativo, degno di nota, riguarda i presupposti di cui il Governo deve tenere conto nella valutazione del possibile pregiudizio agli interessi tutelati derivanti dall’acquisto di una partecipazione rilevante, da scrutinarsi «alla luce della potenziale influenza dell’acquirente sulla società, anche in ragione [...]


6. Quote di s.r.l. e diritti particolari dei soci.

Come già accennato, altre questioni si pongono nel caso, tutt’altro che infrequente, che si tratti di acquisizione di quote di s.r.l. Data l’importanza che possono rivestire in termini di influenza sulla governance della società, vanno anzitutto considerati i particolari diritti di natura amministrativa attribuibili ai singoli quotisti. Il tema merita senz’altro qualche breve considerazione, poiché non sempre sembrano potersi replicare i medesimi ragionamenti sin qui condotti, soprattutto in ragione delle svariate connotazioni che questi particolari diritti possono assumere [38]. Come è risaputo, il loro contenuto può essere molto diverso: comprende, ad esempio, la possibilità di nominare un amministratore o il diritto di opporre un veto in relazione a determinate decisioni od operazioni [39]. Tuttavia, pur potendo i diritti in questione incidere notevolmente sulla governance della società, si deve rilevare che essi non configurano una partecipazione quantificabile in termini percentuali, come invece richiede – opportunamente – il Decreto [40]. Ai fini del tema qui affrontato e, dunque, della nozione di partecipazione di cui tenere conto nel computo delle soglie previste dal d.l. n. 21/2012, rileva, piuttosto, la possibilità che il diritto particolare attribuito al socio si configuri come una maggiorazione del diritto di voto o, comunque, una sua attribuzione non proporzionale alla partecipazione [41]. Com’è risaputo, poi, l’attribuzione dei particolari diritti passa attraverso una decisione unanime dei soci, che potrebbe essere sia contestuale che successiva all’acquisto di una partecipazione. Anche qui, dunque, ci si scontra con il dato normativo, che prevede la notifica solo in relazione all’“acquisto” della partecipazione. Questione peculiare è, poi, quella della circolazione della quota del socio cui sia attribuito un diritto particolare. Sul punto, si registrano diverse opinioni: mentre parte della dottrina ritiene che i diritti particolari siano attribuiti al singolo socio e che, dunque, nel caso di trasferimento della quota di partecipazione sono destinati ad estinguersi, altri, invece, le ritengono trasferibili unitamente alla partecipazione [42]. Va per altro rilevato che si rinvengono clausole che, anziché identificare nominativamente i soci destinatari del diritto [...]


7. Le ipotesi di empty voting.

Va per altro verso rilevato che il legislatore manca di considerare una serie di fattispecie dove l’esercizio del diritto di voto prescinde dalla titolarità della partecipazione sociale. È noto, infatti, come l’ordinamento conosca svariate ipotesi di dissociazione tra titolarità delle azioni o delle quote e relativi diritti di voto. In questo senso sarebbe da chiarire se vada attribuita rilevanza solo alla titolarità del diritto di voto o anche alla sua disponibilità, che potrebbe ad esempio derivare dall’usufrutto o dal pegno di azioni o quote [45]. Il dubbio è dato dalla lettera della legge, che parlando di “acquisto” di partecipazioni non sembra ricomprendere le ipotesi di attribuzione di diritti reali di godimento o di garanzia. È, però, evidente che anche in questi casi la disponibilità dei diritti di voto, potendo avere un impatto sulla governance della società, dovrebbe rilevare ai fini della notifica [46]. Stante, per altro, il successivo inciso contenuto nella norma, il quale si riferisce ad acquisti “a qualsiasi titolo” effettuati, ci si è chiesti se la disciplina interessi anche gli acquisti a titolo derivativo, nel cui novero si iscrivono i negozi costitutivi di diritti reali limitati. A tale riguardo va però osservato che, più che il titolo, assume rilievo l’oggetto del negozio, sicché l’obbligo di notifica discende, come si vedrà subito appresso, dalla sorte del diritto di voto. Infatti, posti gli interessi tutelati dal Decreto, siffatto dovere dovrebbe ricadere sul soggetto che dispone del diritto di voto, in quanto, se ai sensi dell’art. 2352 c.c. esso spetta all’usufruttuario e al creditore pignoratizio [47], è pur sempre possibile una diversa pattuizione [48]. Se in quest’ultimo caso non si pongono problemi, rimanendo il voto in capo al titolare della partecipazione, in assenza di diversa convenzione risulta invece problematico ricondurre nella nozione di “acquisto” anche la riappropriazione del diritto di voto da parte del proprietario della partecipazione a seguito dell’estinzione del diritto reale limitato. Altra ipotesi, in cui è la stessa legge a disciplinare una situazione in cui la titolarità della partecipazione è disgiunta dall’esercizio del diritto di voto, è quella [...]


8. La raccolta delle deleghe di voto e la rappresentanza assembleare.

Non meno problematico è il caso in cui la dissociazione tra titolarità della partecipazione e diritto di voto sia frutto di una delega di voto. La raccolta di deleghe è un fenomeno che può avere importanti riflessi sulla governance della società, potendo consentire ad un soggetto di esprimere un’influenza notevole in termini di diritti di voto esercitabili in sede assembleare. Il tema ha suscitato da sempre molto interesse, tanto che la fattispecie della rappresentanza ha subito svariati interventi legislativi, sia nella disciplina di diritto comune che in quella delle società quotate [54]. Entrambe sono caratterizzate da una sorta di “doppia anima”: la prima trova la sua ratio nel fatto che la rappresentanza è uno strumento volto a valorizzare la partecipazione degli azionisti; la seconda nella necessità di evitare abusi e situazioni quali l’incetta di deleghe di voto finalizzata a raggiungere le maggioranze atte a determinare l’esito della votazione [55]. Nella prospettiva in esame assume soprattutto rilievo l’espressione del voto in mancanza di istruzioni, circostanza che attribuisce al rappresentante ampia libertà di scelta sulla direzione da imprimere al voto [56]. Tanto nelle società per azioni chiuse, quanto in quelle aperte, la rappresentanza è disciplinata dall’art. 2372 c.c., il quale pone diversi vincoli di natura quantitativa e soggettiva per la delega del voto, senza però sancire alcun obbligo in termini di istruzioni di voto [57]. Così, fermi i predetti limiti o l’eventualità che il socio dia istruzioni al rappresentante, questi sarà libero di esprimere il voto secondo l’orientamento che crede. Diverso è il caso delle società per azioni quotate. L’esigenza di limitare i rischi derivanti da un utilizzo strumentale delle deleghe a vantaggio del gruppo di comando o degli amministratori trova risposta nella disciplina del conflitto di interessi, che non osta al rilascio della delega, purché il rappresentante comunichi le circostanze da cui deriva il conflitto e vi siano specifiche istruzioni di voto. Quanto ai limiti di carattere quantitativo, l’aggregazione delle deleghe è priva di vincoli laddove sia rivolta a non più di duecento azionisti; ove, invece, fosse superiore, potrà comunque svolgersi liberamente, [...]


9. L’acquisto di partecipazioni rilevanti negli altri settori.

Altrettante questioni di diritto societario si presentano anche in relazione agli altri settori oggetto della disciplina. Nel settore dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e nei settori elencati dall’art 4, par. 1 del Regolamento europeo sugli investimenti esteri diretti, non sono individuate specifiche soglie, ma l’accento è posto sulla nozione di “controllo”. A tal fine rilevano gli acquisti di partecipazioni in società che detengono assets strategici, da parte di un soggetto esterno all’Unione europea, tali da determinare l’insediamento stabile dell’acquirente tramite l’assunzione del controllo della società. Il d.l. n. 21/2012, ai fini dell’individuazione della fattispecie del controllo, richiama l’art. 2359 c.c. e, genericamente, il t.u.f. Il richiamo al t.u.f. può pacificamente risolversi facendo ricorso all’art. 93, che disciplina la definizione di controllo applicabile alla Parte IV, dedicata agli emittenti [62]. Posto che la normativa richiama congiuntamente la norma codicistica e il t.u.f., va anzitutto chiarito se la disciplina di cui all’art. 2359 c.c. si applichi alle sole s.p.a. di diritto comune e alle altre società di capitali [63], mentre il t.u.f. alle sole s.p.a. quotate. La differenza non sarebbe, infatti, di poco momento, poiché la norma del t.u.f. tipizza fattispecie di controllo non contemplate dalla disciplina codicistica, e, in secondo luogo, prescinde dalla natura societaria dei soggetti coinvolti, attribuendo rilevanza anche al controllo esercitato dal socio. Se quest’ultima differenza non rileva ai fini della disciplina dei poteri speciali, che comunque impone la notifica da parte del “soggetto” che assuma il controllo, rilevano senz’altro le differenze sulle nozioni di controllo esterno tipizzate dalle due norme. L’applicabilità della nozione codicistica di controllo esterno appare controversa, dato che questa presuppone un vincolo contrattuale, che, di regola, prescinde dal possesso di una partecipazione azionaria [64]. Diverse, invece, le ipotesi di controllo esterno ricavabili dall’art. 93, primo comma, lett. a) e b), t.u.f., che contemplano, oltre al controllo “contrattuale”, due fattispecie potenzialmente rilevanti: il controllo esercitato in virtù di clausole statutarie e quello esercitato per il tramite di un [...]


10. I patti parasociali.

Alcune brevi osservazioni si impongono anche in merito ai patti parasociali, sia con riguardo alle società operanti nei settori indicati all’art. 1, sia per quelle operanti nei settori elencati all’art. 2 del d.l. n. 21/2012. Nonostante alcune differenze, in entrambi i casi è previsto che nel computo delle partecipazioni rilevanti vadano considerate quelle detenute da terzi con i quali l’acquirente abbia stipulato un patto parasociale. La disciplina, poi, richiama espressamente i patti di cui agli artt. 2341 bis del c.c. e 122 del t.u.f. Pur non chiarendo se si tratta di rinvio cumulativo o alternativo, a seconda cioè che la società sia quotata o meno, la rilevanza degli interessi protetti dalla disciplina sui poteri speciali induce a preferire la prima soluzione. Stante il generico richiamo agli artt. 2341 bis e 122 del t.u.f., è necessario chiedersi se vadano computate solo le partecipazioni inerenti ad un patto che abbia ad oggetto il diritto di voto o che abbia ricadute dirette sulla gestione della società, posto che l’art. 1 del Decreto richiede, ai fini dell’esercizio del potere di opposizione all’acquisto, il raggiungimento di un livello di partecipazione al capitale con diritto di voto in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Quanto all’art. 2, invece, vengono in rilievo quegli acquisti che determinino l’insediamento stabile dell’acquirente in ragione dell’assunzione del controllo della società, nozione che fa comunque perno sulla rilevanza dei diritti di voto esercitabili, anche laddove ne sia esplicitamente previsto il computo. Tra le varie tipologie di patti parasociali previsti dal legislatore, solo i cc.dd. sindacati di voto e quelli implicanti l’esercizio di un’influenza dominante sulla società sono in grado di incidere direttamente sui meccanismi di governance [71]. Così, se non sembrano esservi dubbi in relazione a tali tipologie di patti, è più problematico il trattamento dei cc.dd. sindacati di blocco; pur non potendo escludersi che anche questi possano indirettamente influenzare la governance della società, specialmente laddove accompagnino un sindacato di voto [72]. Problema più delicato è quello riguardante la trasparenza del patto parasociale, venendo in rilievo almeno due profili. Anzitutto, al di là del [...]


11. La notifica di delibere, atti od operazioni in entrambi i settori: prime osservazioni.

Il secondo nucleo dei poteri speciali presenta profili non meno problematici, concernendo l’adozione di delibere, atti od operazioni. L’obbligo di notifica, per entrambi i settori, riguarda testualmente le delibere relative alla fusione o scissione della società, al trasferimento all’estero della sede sociale, alla modifica dell’oggetto sociale, allo scioglimento della società, alla modifica di eventuali clausole statutarie adottate ai sensi dell’art. 2351, terzo comma, c.c. o ai sensi dell’art. 3, primo comma, d.l. n. 332/1994. Quanto alle altre operazioni, per quanto l’elenco non sia perfettamente coincidente per i due settori, si richiamano il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo, il trasferimento di società controllate, l’assegnazione degli attivi a titolo di garanzia, la cessione di diritti reali o di utilizzo relative a beni materiali o immateriali o l’assunzione di vincoli che ne condizionino l’impiego [76]. L’elen­co delle delibere pare tassativo, pur con qualche perplessità in relazione ai settori di cui all’art. 2 del d.l. n. 21/2012, dove il dettato normativo sembra declinarle in forma non esaustiva; è, invece, tendenzialmente esemplificativo in rapporto alle altre operazioni, individuate tramite locuzioni semanticamente in grado di ricomprendere diversi atti dispositivi [77]. La disciplina sui poteri speciali non si applica alle operazioni di fusione, scissione, incorporazione e cessioni, anche di quote di partecipazione, operate nell’ambito di un gruppo, a meno che queste non abbiano gli effetti individuati dalla regolamentazione secondaria [78]. Permane comunque l’obbligo di notifica e, inoltre, l’esclusione dell’operazione dall’esercizio dei poteri speciali non opera in presenza di “elementi informativi” da cui si desuma la minaccia di un grave pregiudizio per la difesa e la sicurezza nazionale (art. 1) o per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti (art. 2). La disciplina, dunque, contempla svariati atti, di competenza sia dell’as­semblea che dell’organo amministrativo. Per altro, salva la possibilità per gli statuti di prevedere un’autorizzazione dell’assemblea per il compimento di singoli atti di competenza degli [...]


12. Scioglimento della società, fusione e scissione.

Come si sa, le diverse cause di scioglimento della società operano sostanzialmente attraverso due meccanismi: l’accertamento da parte degli amministratori o una delibera assembleare che dispone lo scioglimento. In entrambi i casi, gli effetti connessi al verificarsi di una causa di scioglimento decorrono dall’iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione di accertamento dell’organo amministrativo o della delibera assembleare. Vi sono ipotesi in cui, per altro, la causa di scioglimento è accertata dal tribunale. Tra queste, la dichiarazione di nullità della società per azioni ex art. 2332 c.c. e i casi in cui l’organo amministrativo ometta l’accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento, nel qual caso il tribunale, su istanza dei singoli amministratori, soci o sindaci, deciderà con decreto. In queste ipotesi, dunque, sarebbe il provvedimento del tribunale a dover essere notificato. Il d.l. n. 21/2012, però, fa riferimento solo alle delibere di scioglimento e, pertanto, sembra circoscrivere la necessità di una notifica ai soli casi in cui lo scioglimento sia deciso dall’assemblea. Il dato, del resto, è coerente col fatto che negli altri casi lo scioglimento opera ope legis e non avrebbe senso l’esercizio del potere di veto o l’apposizione di condizioni [90]. Ci si deve, però, interrogare sull’effettivo senso dell’inclusione della fattispecie di scioglimento. Ciò che, invero, dovrebbe interessare in tali ipotesi non è semplicemente lo scioglimento della società, quanto, piuttosto, il destino delle attività e degli assets strategici. Infatti, le modalità di esercizio dei poteri speciali dovrebbero riguardare, più che lo scioglimento, la successiva liquidazione. In questo senso, sembra coerente con la ratio dei poteri speciali, nonché dei criteri di cui il Governo deve tenere conto per la loro adozione, la necessità di notificare anche la successiva delibera dell’assemblea che stabilisse i criteri in base ai quali dovrà svolgersi la liquidazione e l’eventuale esercizio provvisorio dell’impresa; nonché l’eventuale decisione di revocare lo stato di liquidazione. Il Decreto contempla, poi, tra le operazioni straordinarie, le fattispecie di fusione e scissione. Trattandosi di operazioni a formazione progressiva, [...]


13. Modifica dell’oggetto sociale, trasferimento della sede all’estero, modifica di clausole statutarie che incidono sui diritti di voto.

Per quanto concerne le delibere aventi ad oggetto la modifica dell’oggetto sociale e il trasferimento della sede sociale all’estero, è evidente che anche queste possano implicare rilevanti conseguenze sul piano dell’attività di impresa, potendo l’assetto risultante dall’operazione compromettere l’integrità del sistema di difesa e di sicurezza nazionale o comportare un pregiudizio per gli interessi relativi alla sicurezza e al funzionamento degli assets strategici [98]. Per riprendere certi dubbi interpretativi sorti in tema di recesso in rapporto alle modifiche dell’oggetto sociale, ci si potrebbe domandare se sia soggetta a notifica qualsiasi modifica dell’oggetto sociale o se, invece, ciò riguardi solo modificazioni significative [99]. Quanto ai settori cui all’art. 2 del d.l. n. 21/2012, dato che la delibera, l’atto o l’operazione deve anche comportare un mutamento nella titolarità, nel controllo o nella disponibilità degli assets strategici, la modifica dell’oggetto sociale dovrà essere significativa in questi termini. È tuttavia dubbio come una modifica dell’oggetto sociale possa riflettersi sulla titolarità, sul controllo o sulla disponibilità degli assets strategici, a meno di non ipotizzare che la stessa sia accompagnata da una dismissione di tali assets. Invece, quanto ai settori di cui all’art. 1, non essendo null’altro specificato, non sembra possibile delimitare a priori quali siano i mutamenti dell’oggetto sociale da notificare [100]. Per quel che concerne il trasferimento all’estero della sede sociale sembrano venire in considerazione due rilevanti effetti della delibera. Il trasferimento potrebbe, anzitutto, rientrare in più ampia operazione, che comporti una dislocazione all’estero dell’azienda o di un ramo di essa. In secondo luogo, rilevano le possibili conseguenze in punto di disciplina applicabile alla società. Come noto, per “sede sociale” si intende la sede legale o principale della società e, a meno che la società stessa non mantenga in Italia la sede dell’ammini­strazione o l’oggetto principale dell’attività esercitata, in caso di suo trasferimento, cesserà di applicarsi la legge italiana e troverà applicazione quella del Paese di [...]


14. Le modifiche sui golden power ai tempi del Covid-19.

L’ultimo tassello di cui tener conto è dato dal contesto emergenziale dovuto alla pandemia da Covid-19. L’emergenza pandemica ha messo a dura prova le imprese, non soltanto dal punto di vista economico. Molti sono stati, dunque, gli interventi che si sono susseguiti nell’ambito del diritto dell’impresa rendendo, di volta in volta, inoperanti certe norme oppure rendendole meno stringenti [106]. Nel primo senso si possono ricordare le scelte di posticipare l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza [107], di rendere inoperante la disciplina riguardante la postergazione dei finanziamenti dei soci e le norme sulla riduzione del capitale sociale [108]. Nel secondo senso si pensi alle deroghe sui principi di redazione del bilancio [109], alle misure volte ad agevolare gli aumenti di capitale [110] e alle previsioni che hanno inciso sullo svolgimento delle assemblee [111]. Al di là degli effetti della crisi e della relativa disciplina emergenziale, una delle conseguenze più preoccupanti è stata quella riguardante i mercati europei, i cui corsi azionari hanno subito una generalizzata discesa, accentuando il rischio che i titoli delle società quotate potessero essere oggetto di acquisizioni predatorie o di operazioni speculative nei mercati. Tale aspetto si è poi reso ancor più preoccupante proprio in relazione alle imprese nazionali operanti nei settori strategici, rendendo opportuno un intervento del legislatore al fine di ricalibrare alcune norme contenute nel d.l. n. 21/2012. Questo è avvenuto con l’adozione del c.d. Decreto liquidità (d.l. 8 aprile 2020, n. 23, recante “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga dei termini amministrativi e processuali”) [112]. Il primo intervento ha riguardato l’ampliamento dei settori, anche sulla scia di quanto affermato dalla Commissione europea, la quale ha esortato gli stati membri ad avvalersi «[…] appieno, sin da ora, dei meccanismi di controllo degli IED per tenere conto di tutti i rischi per le infrastrutture sanitarie critiche, per l’approvvigionamento di fattori produttivi critici e per altri settori critici […]» [113]. In questo [...]


15. Brevi riflessioni conclusive.

Come si è potuto osservare, la disciplina italiana dei golden power si regge – pressoché interamente – su un sistema di notifiche. Tuttavia, il dettato delle norme è sovente caratterizzato dall’utilizzo di termini dal significato ambiguo, che, potenzialmente in grado di ricomprendere molteplici situazioni, ingenerano dubbi e incertezze applicative, a testimonianza di una probabile “disattenzione” verso le tante disposizioni di diritto societario coinvolte dalla disciplina. Assieme alla terminologia adottata, alcune scelte sistematiche paiono tutt’altro che coerenti. Da una rapida analisi delle comunicazioni effettuate nel corso dell’anno 2019, emergono molte incertezze in relazione alle operazioni soggette a notifica. Ne costituisce riprova il fatto che le notifiche pervenute alla Presidenza del Consiglio dei Ministri siano state 83, quasi il doppio rispetto all’anno precedente e, dato ancor più rilevante, che 19 sono state le operazioni notificate rispetto alle quali il Governo ha formalmente escluso che fossero dovute ai sensi del Decreto. Con la pandemia e l’ampliamento dell’ambito di applicazione della disciplina, il 2020 ha visto giungere al Governo ben 341 notifiche [118]. La prassi notarile sembra quindi muoversi in direzione della comunicazione di una vasta serie di atti, ivi compresi anche quelli per i quali sarebbe possibile escluderne dapprincipio l’esigenza. Per quel che concerne i diversi settori, si può porre in rilievo il fatto che potrebbero verificarsi delle sovrapposizioni e che, dunque, una stessa società potrebbe considerarsi operante sia nel settore della difesa e della sicurezza nazionale, sia in uno dei settori rilevanti ex art. 2 del d.l. n. 21/2012. La questione assume notevole rilevanza pratica, poiché, come già più volte rilevato, il diverso perimetro applicativo e la non coincidente rilevanza attribuita alle operazioni interessate dal Decreto, potrebbe dare adito ad una tendenziale attrazione delle attività rientranti nei settori di cui all’art. 2 del d.l. n. 21/2012 in quelli relativi alla difesa e alla sicurezza nazionale, connotati da un perimetro applicativo ben più ampio. In particolare, il Governo, facendo leva sull’ambi­gua redazione delle norme, sembra aver attratto al proprio scrutinio diverse operazioni di acquisto del controllo di società [...]


NOTE