L’articolo, prendendo le mosse dalla situazione di emergenza epidemiologica da COVID-19 e dalle correlate misure di contenimento, che hanno dato vita, soprattutto in relazione ai contratti d’impresa, ad istanze di revisione delle originarie condizioni contrattuali divenute squilibrate, indaga se sia possibile modificare le condizioni della proposta e/o del piano di concordato preventivo omologato, al fine di consentirne l’esatto adempimento in un quadro economico-finanziario (sensibilmente) mutato.
L’analisi si sofferma sia sull’attuale legge fallimentare, sia sulla disciplina contenuta nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, valutando se le conclusioni raggiunte con riguardo alla prima restino confermate anche alla luce delle disposizioni del nuovo codice.
This article, starting from the COVID-19 outbreak and the related containment measures, which have given rise to requests for revision of the original contractual terms that have become ‘unbalanced’, investigates whether it is possible to modify the terms of a proposal and/or a plan after confirmation in order to allow the proper fulfilment of the composition with creditors (concordato preventivo) in a (significantly) changed economic and financial framework.
The analysis focuses both on the current Italian Bankruptcy Law and the new Business Crisis and Insolvency Code, and it assesses whether the conclusions reached in relation to the former remain valid under the new Code.
Keywords: composition with creditors; renegotiation; proper fulfilment; termination of a composition with creditors
CONTENUTI CORRELATI: rinegoziazione - concordato preventivo - crisi di impresa - emergenza sanitaria Covid – 19
1. Premessa - 2. La risoluzione del concordato preventivo ex art. 186 l. fall. - 3. Il dibattito sulla rinegoziazione del concordato omologato: gli argomenti a favore. - 4. (Segue) Gli “spazi di manovra” consentiti dall’attuale disciplina del concordato preventivo. - 5. (Segue) La modificabilità del (solo) piano di concordato. - 6. Ulteriori argomenti ricavabili dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. - 7. Soluzioni concretamente e attualmente praticabili. - NOTE
L’art. 9, primo comma, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, concernente la proroga dei termini di adempimento dei concordati omologati, è stato opportunamente modificato, in sede di conversione in legge, dalla l. 5 giugno 2020, n. 40. Anzitutto, la disposizione è stata estesa, oltre agli accordi di ristrutturazione dei debiti (già previsti), agli accordi di composizione della crisi e ai piani del consumatore omologati; in secondo luogo, è stata riformulata in modo che la proroga riguardi tutti i termini di adempimento di concordati, accordi e piani omologati con scadenza successiva al 23 febbraio 2020 – e non solo quelli che sarebbero scaduti alla data del 31 dicembre 2021 –, così da evitare un pericoloso effetto “imbuto” [1]. La legge di conversione non ha invece affrontato una questione da subito emersa tra gli operatori giuridici [2]: la possibilità di riconoscere al debitore concordatario un diritto o una facoltà di rinegoziazione del concordato omologato, in caso di persistente impossibilità di dare puntuale esecuzione alla proposta e al piano dopo l’esaurirsi dell’effetto temporaneo della proroga dei termini di adempimento. Solo con il recentissimo decreto-legge recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale il legislatore è nuovamente intervenuto sull’adempimento del concordato preventivo, prevedendo l’improcedibilità, fino al 31 dicembre 2021, dei ricorsi per la risoluzione di concordati con continuità aziendale la cui omologazione sia avvenuta dopo il primo gennaio 2019 (e dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento “dipendente” dalle predette procedure). La questione della rinegoziazione del concordato post-omologazione trascende evidentemente lo stretto ambito della legislazione emergenziale, sebbene la situazione determinatasi per effetto della pandemia di COVID-19 abbia senza dubbio contribuito a sollecitare una riflessione sul tema, fino a quel momento abbastanza trascurato dagli interpreti [3]. La riflessione, ad avviso di chi scrive, merita di essere proseguita e sviluppata: non tanto in una prospettiva de iure condendo, quanto per valutare se il nostro ordinamento già offra strumenti, negoziali o procedurali, da utilizzare al predetto scopo [4]. A tale riguardo, le considerazioni che si svolgeranno, pur se riferite alla vigente legge [...]
Dinanzi all’inadempimento, anche incolpevole, degli obblighi derivanti da un concordato preventivo omologato, il nostro legislatore si limita, sia nella legge fallimentare che nel c.c.i.i., a prevedere la risoluzione del concordato [5]. L’art. 186 l. fall. stabilisce, infatti, che ciascuno dei creditori può richiederne la risoluzione per inadempimento – a condizione che si tratti di inadempimento di non scarsa importanza – e che il ricorso deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato stesso. L’art. 119 c.c.i.i. estende la legittimazione ad agire al commissario giudiziale, che può richiedere la risoluzione su istanza di uno o più creditori, ma continua a non prevedere nulla in merito ad una possibile rinegoziazione del concordato post-omologazione; e ciò nonostante l’art. 58 c.c.i.i. contenga una precisa disposizione che abilita l’imprenditore a modificare il piano originariamente predisposto (e su cui si è formato l’accordo con i creditori) nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Ai sensi di detta ultima norma (sulla quale si tornerà più diffusamente infra, par. 6), qualora si rendano necessarie modifiche «sostanziali» del piano, l’imprenditore vi apporta le modifiche idonee ad assicurare l’esecuzione degli accordi richiedendo al professionista attestatore indipendente il rinnovo dell’attestazione. Come più volte ribadito anche dalla Suprema Corte, la risoluzione del concordato – diversamente dalla risoluzione disciplinata dall’art. 1453 e ss. c.c. – prescinde da eventuali profili di imputabilità dell’inadempimento e di colpa del debitore, venendo in rilievo il solo dato oggettivo della mancata esecuzione degli obblighi concordatari assunti nella proposta e nel piano, da cui consegue l’«impossibilità di realizzare la promessa soddisfazione dei creditori» [6]. I giudici di legittimità hanno in particolare affermato che la non imputabilità al debitore dell’inadempimento non rileva ai fini della risoluzione del concordato in quanto l’art. 186 l. fall. intende valorizzare il mancato avveramento del piano secondo una logica diversa da quella dell’art. 1218 c.c., a mente del quale l’inadempimento costituisce un fatto causativo [...]
Di fronte all’emergenza epidemiologica e all’adozione delle note misure di contenimento è stato da taluno affermato, facendo ricorso a strumenti normativi già a disposizione dell’operatore giuridico, che al debitore fosse consentito modificare il piano dopo l’omologazione, attesa la presenza di una causa estranea consistente nella forza maggiore [21]. L’affermazione è però discutibile perché apre la porta, nelle procedure concorsuali e in particolare in quelle concordatarie, a una causa esimente, la cui individuazione può rivelarsi problematica nel caso concreto [22], in assenza di precisi indici normativi a supporto della possibilità di fare generale ricorso, in materia, alle disposizioni sulle obbligazioni e sul contratto in generale (artt. 1256 e 1467 c.c.). Si è inoltre affermato che «dovrebbe essere escluso in ogni caso il fallimento dell’imprenditore incolpevole, poiché la nuova situazione è dovuta a forza maggiore da Coronavirus», con il rischio però di dare la stura a una inopportuna (anche per ragioni di certezza e stabilità dei traffici giuridici) soggettivizzazione della valutazione di insolvenza [23]. Non sembra utile neppure il richiamo, da parte del medesimo autore e agli stessi fini, all’art. 185, sesto comma, l. fall., da un lato, e all’art. 186-bis, settimo comma, l. fall., dall’altro. Il citato comma dell’art. 185 l. fall., così come i precedenti commi quarto e quinto, il cui ambito di applicazione è stato oggetto di ampio dibattito in dottrina, nascono con finalità affatto diverse, ossia con lo scopo di superare situazioni di stallo nella fase esecutiva del concordato dovute all’inerzia del debitore; inerzia giustificata dal fatto che il debitore è chiamato a dare esecuzione a una proposta concorrente. Pur ammettendo, come in effetti fa la dottrina prevalente, che le disposizioni di cui all’art. 185, commi quarto, quinto e sesto, l. fall., si applichino anche alle proposte e ai piani presentati dallo stesso debitore, la fattispecie è circoscritta agli atti che si rende necessario porre in essere “autoritativamente”, per il tramite del commissario giudiziale o dell’amministratore giudiziario-liquidatore, perché il debitore o i suoi organi non provvedono o non provvedono tempestivamente. [...]
Quanto sin qui evidenziato non impedisce comunque di cercare, nell’attuale disciplina legislativa – recte: nel modo in cui la stessa è interpretata e applicata –, qualche elemento in grado di aprire una breccia in favore della possibilità, per il debitore in concordato, di rinegoziare le condizioni originariamente proposte e accettate dai creditori. Prima di procedere con l’analisi, è doveroso segnalare che la legge di conversione del d.l. 22 marzo 2021, n. 41 (l. 21 maggio 2021, n. 69) ha modificato l’art. 182-bis l. fall. introducendo una disposizione analoga a quella dell’art. 58, secondo comma, c.c.i.i., così anticipandone, sostanzialmente, l’entrata in vigore (v. art. 37-ter d.l. n. 41/2021). Trattandosi di intervento molto recente – occorso quando il presente scritto era già stato ultimato e poi integrato dalle modifiche apportate alla legge fallimentare dal d.l. n. 118/2021 – e rispetto al quale sono perfettamente replicabili le considerazioni svolte in merito al più noto e commentato art. 58 c.c.i.i., si rinvia a queste ultime quanto alla possibilità di trarre dalla norma dettata in materia di accordi di ristrutturazione un argomento in favore della rinegoziazione o modificazione del concordato preventivo (v. infra, par. 6). Ciò premesso, il primo profilo da esaminare è se, ad una procedura conclusasi con l’emissione del decreto di omologazione, possa susseguirne un’altra volta a regolare la medesima situazione di crisi o di insolvenza [34]. Una recente e interessante pronuncia del Tribunale patavino ha ritenuto legittima la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. nella fase di esecuzione di un concordato preventivo, ritenendola ipotesi non diversa dalla conclusione di specifici accordi con i singoli creditori (con tutti o con parte degli stessi). Nel caso di specie, la rinegoziazione era stata dettata dalla volontà della società debitrice di superare la sopravvenuta impossibilità di dare esecuzione agli obblighi derivanti da un concordato in continuità pura per la mancata concretizzazione delle previsioni di realizzo dell’attivo originariamente formulate nella proposta e nel piano [35]. L’operazione di ristrutturazione manteneva ferme le percentuali concordatarie, anticipandone le tempistiche di pagamento, e contemplava una [...]
Nel caso appena ipotizzato, una valida alternativa è rappresentata dalla mera modificazione delle azioni indicate nel piano, qualora ciò si renda necessario per consentire al debitore di adempiere la proposta approvata dai creditori e omologata in presenza di sopravvenienze. Si pensi, per esemplificare, alla parziale riconversione della produzione; alla temporanea chiusura di impianti o alla sospensione di alcune linee produttive non più redditizie; ad altri scostamenti significativi dal piano industriale sulla base del quale avrebbe dovuto proseguire l’attività aziendale (ad esempio, la decisione di non aprire nuovi canali commerciali o di non ampliare un sito industriale, oppure l’inserimento di nuovi prodotti nel mercato); o, ancora, alla liquidazione di cespiti o assets divenuti non più funzionali all’esercizio dell’impresa. In altre parole, se si assume – come si è fatto in precedenza – che ciò che rileva, ai fini della risoluzione, è l’inadempimento delle obbligazioni oggetto della proposta concordataria, non già solo l’inosservanza delle modalità di adempimento della stessa indicate nel piano [53], i predetti scostamenti dovrebbero ritenersi ammissibili poiché non toccano tali obbligazioni (di norma, di carattere pecuniario) e, quindi, il contenuto della proposta [54]. E ciò, con ogni probabilità, anche a prescindere dalla imprevedibilità o straordinarietà degli eventi sopravvenuti (si pensi a sopravvenienze non già imprevedibili, bensì non previste). Sembra comunque necessario che il commissario giudiziale, alla luce dei poteri di sorveglianza attribuitigli e degli ulteriori poteri di cui all’art. 185, quarto e quinto comma, l. fall., sia tempestivamente informato delle variazioni che il debitore intende apportare al piano, ritenendosi finanche opportuno che lo stesso concordi sulla loro necessità e strumentalità rispetto all’effettivo soddisfacimento dei creditori concorsuali [55]. La concreta esigenza di modifica delle azioni programmate nel piano, ai fini dell’adempimento della proposta, ricorre, com’è intuibile, prevalentemente nell’ambito dei concordati con continuità aziendale, in cui le iniziali previsioni e assunzioni sull’andamento dell’impresa si prestano maggiormente ad essere incise [...]
Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza offre ulteriori elementi ai fini del rafforzamento dell’idea che sia possibile immaginare una parziale modifica dell’agere del debitore in concordato, senza che ciò pregiudichi il successo della procedura. Il primo elemento è offerto dalla nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti; il secondo dai principi generali cui è dedicata la sezione I, capo II, titolo I, parte prima del c.c.i.i. L’art. 58 c.c.i.i., nell’ambito della disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, contiene una precisa disposizione che abilita l’imprenditore, dopo l’omologazione, a modificare il piano economico-finanziario predisposto al fine di assicurare l’esecuzione dell’accordo. La nuova norma, la cui entrata in vigore è stata anticipata in sede di conversione in legge del decreto “sostegni”, prevede il rinnovo dell’attestazione da parte del professionista indipendente e stabilisce che i creditori, debitamente avvisati della pubblicazione, nel registro delle imprese, del piano modificato e dell’attestazione, possono fare opposizione avanti al tribunale nel termine di trenta giorni. Vista l’affinità tra il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, entrambi denominati «strumenti di regolazione della crisi» (titolo IV) e che condividono il procedimento di accesso (art. 40 ss. c.c.i.i.), è doveroso chiedersi se il principio sotteso all’art. 58, secondo comma, c.c.i.i., evidentemente funzionale alla completa esecuzione degli accordi omologati, possa applicarsi anche al concordato preventivo [73]. In caso affermativo, ne deriverebbe un’ulteriore conferma del fatto che il debitore può discostarsi dal piano concordatario senza che ciò integri un inadempimento, qualora ciò si renda necessario per rispettare i termini della proposta omologata. A tale riguardo, merita innanzitutto di essere evidenziato che l’art. 58 c.c.i.i., diversamente dall’art. 13, comma 4-ter, l. n. 3/2012, mentre prevede la modificabilità del piano e degli accordi prima dell’omologazione, dopo l’omologazione contempla e disciplina la sola ipotesi in cui si renda necessario apportare modifiche sostanziali [74] al piano economico-finanziario al fine di assicurare l’esecuzione degli accordi [...]
Le criticità sopra evidenziate non impediscono di ipotizzare una soluzione pratica al problema della sopravvenuta impossibilità, incolpevole, del debitore di adempiere le obbligazioni derivanti dal concordato omologato; la quale gli consenta non solo di discostarsi dalle azioni indicate nel piano, ma anche di rivedere, al ribasso, le prestazioni oggetto della proposta (riducendo, ad esempio, la percentuale di pagamento dei creditori chirografari). Come già evidenziato dai primi commentatori [89], l’unica soluzione ad oggi praticabile con certezza consiste nel rinegoziare e raggiungere un nuovo accordo con singoli o gruppi di creditori, così da ottenere una parziale rinuncia o una modifica della prestazione originariamente offerta a ciascuno di loro. Trattandosi di diritti patrimoniali disponibili, non vi sono ostacoli al fatto che i singoli acconsentano ad una (ulteriore) riduzione del credito esigibile o ad allungare i tempi di pagamento. Né può ritenersi un ostacolo il limite legale del pagamento di almeno il 20 per cento dell’ammontare dei crediti chirografari, che opera su un piano diverso da quello del rapporto negoziale di scambio tra singolo creditore e debitore. Un’altra strada percorribile, seppur retrocedendo al momento di redazione del piano, potrebbe essere quella di prevedere, nei limiti della compatibilità con le esigenze poste dal sistema concorsuale, due o più scenari alternativi o di individuare, ove possibile, azioni o iniziative (ad esempio, una riconversione temporanea della produzione) da adottare qualora eventuali situazioni contingenti lo rendano necessario [90]. Questa conclusione, del resto, è avallata dal nuovo art. 87, primo comma, lett. e), c.c.i.i. Le altre ipotesi cui si è fatto cenno nelle pagine precedenti non trovano, ad avviso di chi scrive, un sicuro appiglio né nel dato normativo attuale, né in quello di futura applicazione; salvo ulteriori interventi correttivi del legislatore che, tuttavia, con riguardo ai profili che qui precipuamente rilevano non sembrano profilarsi all’orizzonte.