Lo scritto intende esaminare la disciplina delle operazioni riorganizzative infragruppo introdotta dall’art. 285 del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, con specifico riferimento al concordato di gruppo.
Tale istituto viene esaminato nel quadro delle modalità per affrontare la crisi dei gruppi di imprese, che coinvolgono il rapporto tra unità e pluralità, sul piano della natura del gruppo e quindi, in specifico, la possibilità di superare il divieto di unificazione delle masse attive e passive ed il principio di responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c., nonché il ruolo della absolute priority rule in relazione alle esigenze del risanamento dei gruppi. In questo quadro, viene esaminata la previsione del codice, che consente di realizzare trasferimenti di risorse infragruppo, approfondendo i termini entro cui essa può considerarsi compatibile con i suddetti principi: vale a dire, i criteri che consentono di realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori delle imprese del gruppo e la loro riconduzione alla logica dei vantaggi compensativi, esaminandosi la tutela offerta in proposito ai creditori ed ai soci.
The article investigates the intragroup reorganization operations as these are regulated by the new enterprise crisis and insolvency code, with specific reference to the group arrangement with creditors (concordato preventivo di gruppo).
These rules are examined in the light of the contrast between enterprise theory and entity theory as regard the law of corporate groups, deepening their dealing with the crisis of the groups. Specifically, are considered the rules which allow to overcome the prohibition of substantive consolidation and the principle of general patrimonial responsibility towards creditors, enshrined in art. 2740 of the Italian Civil Code, as well as the absolute/relative priority rule, and their relationship to the restructuring techniques of corporate groups. In this framework, attention is paid to the rule of the code, that allows intra-group transfers of assets, and the terms within them are compatible with the aforementioned principles: more specifically, are considered the criteria that allow to achieve the best interests of creditors test and the relationship with the principle of the compensatory advantages in the law of corporate groups, studying in deep the protection offered, in this regard, to creditors and shareholders of enterprise groups.
Keywords: intragroup reorganization operations; group arrangement with creditors; substantive consolidation; intragroup transfers of assets
CONTENUTI CORRELATI: concordato di gruppo - riorganizzazione infragruppo - operazioni riorganizzative - operazioni infragruppo
1. La riorganizzazione del gruppo in crisi. Cenni introduttivi. - 2. La fattispecie delle operazioni riorganizzative nelle soluzioni negoziate delle crisi di impresa. - 3. Le operazioni riorganizzative intragruppo nel codice della crisi di impresa. La nozione di «gruppo di imprese». - 4. L’ambito oggettivo di operatività delle operazioni riorganizzative. - 5. Operazioni riorganizzative e continuità aziendale. - 6. Trasferimento di risorse infragruppo e responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c.: il dibattito precedente. - 7. (segue). I trasferimenti di risorse infragruppo tra responsabilità patrimoniale ed absolute priority rule. - 8. Violazione del principio della responsabilità patrimoniale e correttivi. - 9. Il trasferimento di risorse infragruppo nell’art. 285 c.c.i.i. ed il rapporto con i principi della direzione e coordinamento di società. Lineamenti generali. - 10. (segue). Il criterio del miglior soddisfacimento dei creditori nella prospettiva del concordato di gruppo. - 11. (segue). Le modalità del miglior soddisfacimento dei creditori nei trasferimenti di risorse infragruppo. - 12. Le tutele offerte ai creditori rispetto agli effetti pregiudizievoli dei trasferimenti di risorse infragruppo. - 13. Gli effetti pregiudizievoli per i soci ed il criterio dei vantaggi compensativi. - 14. Operazioni riorganizzative infragruppo e procedure competitive. - 15. Operazioni riorganizzative ed accordi di ristrutturazione dei debiti: cenni. - NOTE
Nel quadro delle disposizioni relative ai gruppi di imprese contenute nel titolo IV del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (di seguito, c.c.i.i.) – ed in specie di quelle relative alla regolazione della crisi o insolvenza di gruppo realizzate mediante il concordato preventivo di gruppo, gli accordi di ristrutturazione di gruppo ed il piano attestato di risanamento di gruppo, secondo la disciplina contenuta nell’art. 284 c.c.i.i. – si collocano, quale possibile contenuto del piano o dei piani di concordato di gruppo nonché degli accordi di ristrutturazione di gruppo, ai sensi dell’art. 285, secondo comma, c.c.i.i., le «operazioni contrattuali e riorganizzative, ivi compresi i trasferimenti di risorse infragruppo» [1]. Precisamente, ai sensi dell’art. 285 c.c.i.i., le suddette operazioni sono ammesse, a condizione che un professionista indipendente attesti che «dette operazioni sono necessarie ai fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è prevista nel piano e coerenti con l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo» (secondo comma); gli effetti pregiudizievoli delle stesse possono essere contestati «dai creditori dissenzienti appartenenti a una classe dissenziente o, nel caso di mancata formazione delle classi, dai creditori dissenzienti che rappresentano almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto con riguardo ad una singola società, attraverso l’opposizione all’omologazione del concordato di gruppo» (terzo comma); il concordato è omologato dal tribunale «qualora ritenga, sulla base di una valutazione complessiva del piano o dei piani collegati, che i creditori possano essere soddisfatti in misura non inferiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola impresa» (quarto comma); infine, «i soci possono far valere il pregiudizio arrecato alle rispettive società (…) esclusivamente attraverso l’opposizione all’omologazione del concordato di gruppo». Il tribunale omologa il concordato se esclude la sussistenza di un pregiudizio in considerazione dei vantaggi compensativi derivanti alle singole società dal piano di gruppo» (quinto comma). Questa articolata regolamentazione influisce non poco sull’ambito di realizzabilità nel concordato di gruppo, a [...]
Esaurite queste premesse, è opportuno svolgere alcune considerazioni generali sui connotati delle operazioni riorganizzative infragruppo disciplinate dall’art. 285, secondo comma, c.c.i.i. Il termine di «operazioni riorganizzative», pure se per la prima volta impiegato dal legislatore in relazione alla crisi di impresa, è ampiamente diffuso nella letteratura giuridica. In particolare, questo termine è stato utilizzato per indicare in termini sintetici la congerie di operazioni attraverso il legislatore, ai sensi dell’art. 160, primo comma, lett. a), e b), l. fall., nel testo introdotto dalla riforma del 2005/2006 e riprodotto nell’art. 85 c.c.i.i., e per effetto della detipizzazione dei contenuti del concordato preventivo, dispone che il piano di concordato possa prevedere la ristrutturazione dei debiti ed il soddisfacimento dei creditori «in qualsiasi forma» [10]. Il termine si presta, infatti, ad esprimere sinteticamente l’impostazione, accolta dal legislatore con tale disposizione, secondo cui si fissano gli obiettivi, ma si riserva alla negoziazione tra debitore e creditori, entro un quadro generale di riferimento, la definizione dei mezzi per raggiungerli. Non diversamente, a tali operazioni alludeva già la categoria della «ristrutturazione economica e finanziaria» quale modalità di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali, utilizzata dalla disciplina dell’amministrazione straordinaria (art. 27, secondo comma, lett. b), d. lgs. n. 270/1999), al fine di delineare una vasta serie di interventi volti a ripristinare l’equilibrio economico finanziario dell’attività di impresa, in vista della prosecuzione del suo esercizio, sia per pervenire al migliore esito della liquidazione; mentre l’art. 4-bis, primo comma, lett. c) e c-bis), d.l. n. 347/2003, relativo all’amministrazione straordinaria di cui al c.d. decreto Marzano, ha previsto per la prima volta l’ampia tipologia di operazioni utilizzabili a tale scopo, destinate in seguito ad essere riprodotte nell’art. 160 l. fall. Quando si tratta in particolare di società, tale congerie di operazioni è in grado di investire non solo la struttura patrimoniale e finanziaria, ma anche quella organizzativa. In questo quadro, è particolarmente utile ai nostri fini la classificazione proposta di tali [...]
Passando ad esaminare nel dettaglio i profili concernenti l’inquadramento della disciplina delle operazioni riorganizzative di cui all’art. 285, secondo comma, c.c.i.i., si richiede in primo luogo l’individuazione dell’ambito delle imprese ricomprese nel gruppo, tra le quali le suddette operazioni si prestano ad intervenire laddove previste nel piano di concordato di gruppo; di seguito, la precisazione di quali siano i loro contenuti e, più ancora, le implicazioni e le condizioni di ammissibilità delle stesse. Sotto il primo aspetto, occorre tenere conto dei connotati della nozione di gruppo di imprese fornita dall’art. 2, primo comma, lett. h), c.c.i.i., la quale è più ampia e non perfettamente coincidente con quella dell’art. 2497 ss. c.c., a cominciare dalla circostanza che, a differenza di quest’ultima, viene espressamente menzionato il termine «gruppo», il quale, per di più – e secondo una costante dell’intera disciplina così delineata – viene inteso in termini estensivi come «gruppo di imprese» [17]. Da un lato, si opera una netta inversione rispetto alla scelta effettuata del legislatore della riforma del diritto societario, di non utilizzare nella disciplina degli artt. 2497 ss. c.c. il termine «gruppo», preferendo quello più asettico di «direzione e coordinamento di società»: e questo non solo per una certa sorta di ritrosia, ma anche nel tentativo di delineare una categoria generale di eterodirezione – pur sempre riguardante società o enti e senza estendersi all’impresa non societaria – non necessariamente confinata al più tradizionale e più noto fenomeno del gruppo di società «gerarchico» [18]. La soluzione del codice della crisi di impresa si collega ai rilievi di quanti avevano lamentato in quell’occasione l’assenza di una definizione di gruppo [19] e, più di recente, hanno evidenziato la «vaghezza» della nozione di direzione e coordinamento, la quale si presterebbe scarsamente a favorire l’identificazione rapida e certa delle imprese ed aprirebbe piuttosto la strada alla ricomprensione nella gestione unitaria della crisi e dell’insolvenza di forme di coordinamento tra imprese fondate su vincoli contrattuali a carattere non gerarchico, quali i consorzi e [...]
Pertanto, di operazioni di riorganizzazione infragruppo, ai sensi dell’art. 285, secondo comma, c.c.i.i., si potrà parlare solo con riferimento ad imprese e società a tutti gli effetti ricomprese nella nozione di «gruppo di imprese» fornita dal c.c.i.i., all’epoca della presentazione della domanda di concordato di gruppo [27], e per di più ricomprese nel piano unitario, o in piani reciprocamente collegati o interferenti: il che può ricavarsi anche dalla specifica attenzione che viene rivolta al dovere di fornire «informazioni analitiche sulla struttura di gruppo», posto dall’art. 284, secondo comma, c.c.i.i., in occasione della presentazione di una domanda di procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, da parte di un’impresa di gruppo [28]. Viceversa, tale disciplina non si applicherà, almeno in via esclusiva, nell’ipotesi in cui risultino coinvolte nell’operazione imprese non ricomprese nel piano di concordato, sia facenti parte anche esse del gruppo, ma in bonis, dato che deve escludersi in via di principio che il piano di gruppo possa ricomprendere entità non in crisi o insolventi [29]; sia che si tratti a tutti gli effetti di imprese ad esso estranee. È questo il caso della fusione concordataria di una società del gruppo, sia pure nel quadro di un piano di concordato di gruppo, ma che intervenga con una società terza; mentre non può a rigore escludersi che la ricomprensione nel gruppo di una delle imprese partecipanti sia piuttosto la conseguenza, e non la causa della predisposizione del piano unitario o dei piani di gruppo [30]. Ed ancora, è il caso in cui la fusione tra più società del gruppo preveda la presentazione successiva di una domanda di concordato da parte della società risultante dalla fusione e dunque essa rappresenti la modalità attraverso cui, a monte, si realizzano le condizioni per il superamento della crisi mediante una riorganizzazione di gruppo. Ancora, la disciplina in questione non potrà applicarsi nell’ipotesi di operazioni infragruppo poste in essere al di fuori del concordato di gruppo, tra imprese facenti parte dello stesso gruppo, ma sottoposte ciascuna di esse ad un distinto concordato individuale. Pur non potendosi escludere l’ammissibilità di tali operazioni, non si potrà procedere [...]
Sul piano della delimitazione delle operazioni di riorganizzazione infragruppo, rileva anche il loro rapporto con la continuità aziendale, quale modalità privilegiata dal legislatore per la realizzazione del concordato di gruppo. Come risulta dall’art. 285, secondo comma, c.c.i.i., tali operazioni, oltre ad essere «coerenti con l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo», devono essere necessarie «ai fini della continuità aziendale, per le imprese per le quali essa è prevista nel piano» richiedendosi, per entrambi i presupposti, che la loro ricorrenza sia attestata da parte di un professionista indipendente [46]. Il che costituisce espressione della centralità che riveste, anche nel concordato di gruppo, la continuità aziendale, pure se contemperata, proprio dall’art. 285, secondo comma, c.c.i.i., con la previsione che il concordato può essere per alcune imprese del gruppo in continuità aziendale e per altre di tipo liquidatorio [47]. In proposito, si stabiliscono dei criteri atti ad accertare la prevalenza della continuità aziendale, che ricalcano quelli dettati dall’art. 84, secondo comma, c.c.i.i. per il concordato individuale misto, vale a dire, la prevalente soddisfazione dei creditori delle imprese del gruppo con il ricavato prodotto dalla continuità, sia essa diretta o indiretta, sulla base del confronto «quantitativo» dei flussi complessivamente derivanti dalla prima rispetto a quelli derivanti dalla liquidazione [48]. È evidente, al riguardo, la maggiore complessità sul piano applicativo della previsione in tema di concordato di gruppo, dato che in tale occasione sarà necessario computare i parametri tra più imprese e dunque su base consolidata [49], con il rischio che le rigidità già insite nella distinzione tra concordato con continuità aziendale e concordato liquidatorio emergano nel concordato di gruppo al loro massimo livello, compromettendo in questo modo la adeguata flessibilità richiesta in tali complesse procedure [50] . Nel silenzio del codice della crisi di impresa sul punto, si pone l’ulteriore questione se il criterio della prevalenza complessiva, così delineato, sia destinato ad operare nel caso di concordato di gruppo in via indifferenziata, senza ulteriori [...]
È indubbio che il fulcro delle operazioni contrattuali e riorganizzative infragruppo sia costituito dalla possibilità che ad esse si accompagnino «trasferimenti di risorse infragruppo», aspetto, questo, su cui l’indagine merita ora di concentrarsi. Tale risultato può realizzarsi, in effetti, sia tramite operazioni contrattuali, e viene in considerazione a tale riguardo l’ampio panorama di contratti di scambio ed anche di finanziamento, caratterizzati dall’essere effettuati a condizioni non di mercato e, di conseguenza, dal comportare un’attribuzione patrimoniale alla società beneficiaria [63]; sia mediante operazioni riorganizzative societarie, nell’accezione precedentemente esposta [64]. Per approfondire la portata ed il significato dei trasferimenti di risorse infragruppo, nonché le modalità con cui essi sono disciplinati, è opportuno prendere le mosse dal dibattito sulle modalità di realizzazione del concordato di gruppo che ha preceduto l’introduzione del c.c.i.i. Il quale, a sua volta, è emblematico del novero delle tecniche per affrontare la crisi dei gruppi, vale a dire, dell’alternativa (o del cumulo) tra consolidamento solo procedurale o anche sostanziale, capace quest’ultimo di realizzare un’unificazione delle masse attive e passive (o solo di quelle attive), in modo da offrire ai creditori di ciascuna entità un patrimonio attivo di ammontare maggiore (ma di converso anche minore, per altre entità), rispetto a quanto originariamente disponibile [65]. Soluzioni rispetto alle quali si è posto il dubbio, che ha a lungo aleggiato nelle pronunce giudiziarie sul concordato di gruppo, della loro compatibilità con il principio della responsabilità patrimoniale dell’art. 2740 c.c., che impone che l’intero patrimonio del debitore sia destinato all’integrale soddisfacimento dei propri creditori, mentre ulteriori e diverse destinazioni sarebbero ammissibili solo per la parte residua. La violazione dell’art. 2740 c.c. è stata individuata, in particolare, in riferimento ad operazioni consistenti in primo luogo nell’unificazione strumentale di masse attive e passive in un’unica impresa indotta da esigenze prevalentemente processuali, in quanto finalizzata a consentire l’accesso ad una procedura unitaria di concordato pur in [...]
Recependo la sostanza del dibattito svoltosi in materia di concordato di gruppo, la l. n. 155/2017 prima (art. 3, secondo comma, lett. d), ed il codice della crisi di impresa poi (art. 284, terzo comma, c.c.i.i.), hanno fissato in primo luogo il principio, secondo cui il piano di concordato deve rispettare la separazione delle masse attive e passive delle imprese in esso ricomprese: con ciò, come si è detto, adeguandosi all’atteggiamento contrario a forme di substantive consolidation; dall’altro, sono state ammessi, nell’ambito delle operazioni riorganizzative, trasferimenti di risorse intragruppo. La soluzione accolta dal legislatore segna una svolta rispetto al tenore dell’art. 3, secondo comma, lett. f), l. n. 155/2017, nel quale la deroga che si sarebbe avuta in relazione alle operazioni riorganizzative infragruppo era meno evidente, posto che la norma non menziona, a differenza dell’art. 285 c.c.i.i., il trasferimento di risorse infragruppo. Esito, questo, rispetto al quale solo in termini descrittivi, a ben vedere, si potrebbe ravvisare una analogia con la partial substantive consolidation [79]. Non a caso, si è rilevato come conservare una configurazione del concordato di gruppo in termini atomistici, quale scaturente dalla destinazione integrale del patrimonio attivo della singola entità al soddisfacimento esclusivo dei propri creditori, rischierebbe di compromettere proprio quelle finalità che la scienza aziendalistica assegna alla riorganizzazione del gruppo in crisi, vale a dire, di superare le segmentazioni del patrimonio dal lato attivo (con gli inevitabili risvolti anche dal lato passivo), che impediscono di realizzare strutture imprenditoriali più efficienti e redditizie [80]. Non può, d’altro canto, negarsi che il trasferimento di risorse infragruppo rischi di risultare in piena antitesi con l’opzione di fondo della legge delega, al punto che, non essendo siffatta previsione contenuta in tale sede, potrebbe emergere un rilievo di incostituzionalità per eccesso di delega [81], stante la deroga che ne scaturirebbe al principio della responsabilità patrimoniale dell’art. 2740 c.c. E tuttavia, le critiche mosse ad una tale soluzione, così come la sua condivisione [82], non si differenziano a ben vedere di parecchio tra di loro, perché presentano in comune il rigetto di soluzioni radicali di completa [...]
Non è questa la sede per approfondire le questioni relative all’ambito c di operatività dell’art. 2740 c.c. all’interno del concordato preventivo, anche perché è da ritenere che il principio da esso espresso, e la sua specificazione attraverso l’ordine di distribuzione dell’attivo, non vengano direttamente in considerazione in riferimento alle operazioni riorganizzative nel concordato di gruppo. Per prima cosa, occorre precisare che nelle operazioni riorganizzative non si tratterebbe solo di garantire l’integrale destinazione del patrimonio del debitore al soddisfacimento dei propri creditori, evitando che costui trattenga una parte per sé, come avverrebbe nel caso di concordato on cessione solo parziale dei beni ai creditori, ma anche di porre tale principio a fondamento dell’inammissibilità di una parziale destinazione del patrimonio attivo a favore dei creditori di altre imprese del gruppo, quale potrebbe realizzarsi mediante la cessione di parte dello stesso a favore di queste ultime, ovvero l’accollo di parte dei loro debiti, che ne riduca quindi l’esposizione debitoria [96]. Dunque, entra in gioco non più solo la misura del soddisfacimento dei creditori in rapporto alle esigenze della continuità aziendale, ma anche il concorso tra creditori di differenti imprese in relazione al loro soddisfacimento sull’attivo complessivamente disponibile: in una parola, le conseguenze che, dalla deroga all’art. 2740 c.c., possono discendere, in termini di unificazione delle masse attive e passive. Tuttavia, è opportuno rilevare che la responsabilità patrimoniale, fissata come principio dall’art. 2740 c.c. a fronte degli spazi offerti al debitore per modificare la consistenza del proprio patrimonio, è affiancata per la sua realizzazione da una serie di istituti fondamentali del nostro ordinamento, si pensi per tutti all’azione revocatoria, destinati ad operare sia ex ante che ex post sul piano dell’invalidità o dell’inefficacia, laddove gli atti posti in essere da costui siano tali da ridurre le possibilità di soddisfacimento dei creditori, e dunque risultino per costoro pregiudizievoli. Rimedi che potrebbero essere già esperibili, qualora il trasferimento di risorse fosse realizzato prima della domanda di concordato, finendo in questo modo per incidere [...]
Da quanto sin qui esposto, emerge come il tema in discussione non sia tanto quello dei limiti posti dall’art. 2740 c.c. all’effettuazione di operazioni riorganizzative che coinvolgano i gruppi di imprese, in specie nel concordato di gruppo, quanto, da un lato, di accertare i termini entro cui possa rinvenirsi in concreto una violazione del genere; e, dall’altro, di tenere conto dei contemperamenti, sul piano della tutela dei creditori, predisposti dal legislatore al fine di evitare che ricorra in concreto una tale violazione e di fissare le cautele da cui l’operazione deve essere assistita. Va pertanto rilevato, come si è anticipato, che la disciplina delle operazioni riorganizzative nel concordato di gruppo deve ritenersi a tutti gli effetti ispirata ai principi che regolano lo svolgimento lecito della direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c., ai quali va ricondotto il contenuto del piano o dei piani di gruppo, in specie ai fini dello sfruttamento di sinergie che consentano l’emersione di un plusvalore dal risanamento del gruppo [102]: e dunque anche nella predisposizione del piano o dei piani del concordato di gruppo emerge un potere gestorio a carattere discrezionale dell’impresa esercente la direzione e coordinamento, entro i limiti dei principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria, che è più ampio rispetto al concordato individuale concernente singole imprese del gruppo, così come è più ampia la discrezionalità gestoria nella direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c., rispetto alle società atomistiche. Di conseguenza, la responsabilità che scaturisce in presenza di trasferimenti patrimoniali che, ove considerati isolatamente, risultino pregiudizievoli, subisce un contemperamento destinato a tenere conto delle esigenze fisiologie di funzionamento dei gruppi, consentendo di valutare il danno prodotto con riferimento non alla singola operazione, ma all’insieme di relazioni intercorrenti tra le società del gruppo, nel che si sostanzia il ben noto istituto dei vantaggi compensativi previsto dall’art. 2497 c.c., pur con la varie accezioni con cui esso è inteso da dottrina e giurisprudenza [103]. In sostanza, la presenza di vantaggi compensativi, e dunque il ricorso ad una clausola generale che consente un maggiore ambito di manovra rispetto ad una compensazione del [...]
Delineati questi connotati generali, resta da precisare come vada inteso il requisito del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo – ovvero «del miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese» – e dunque come esso si atteggi, in una prospettiva di gruppo, rispetto alle sue applicazioni alla singola impresa considerata atomisticamente, sia pure in continuità aziendale. In primo luogo, quindi, si tratta di stabilire i criteri attraverso cui deve essere accertato il miglior soddisfacimento; se questo debba riguardare necessariamente tutti i creditori di tutte le imprese del gruppo, ed a sua volta se la misura (e la tipologia) del vantaggio debba essere uguale, o possa differenziarsi e graduarsi tra di loro; ed infine, se il requisito possa essere considerato sussistente, anche quando il soddisfacimento offerto dal concordato di gruppo per tutti o solo per i creditori di una delle imprese sia almeno «non inferiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola impresa» (art. 285, quarto comma, c.c.i.i.) [112]. Sotto il primo aspetto, intendendo sempre concentrarci sulle operazioni riorganizzative, occorre tenere conto della struttura composita che presenta il miglior soddisfacimento dei creditori nel concordato di gruppo. Mentre, in relazione alla scelta di presentare un piano unitario o piani reciprocamente interferenti o collegati, il miglior soddisfacimento dei creditori è sufficiente per preferire questa soluzione rispetto a piani autonomi per le singole imprese, a prescindere che essi prevedano la continuità aziendale o la liquidazione, nel caso di operazioni riorganizzative il legislatore subordina le stesse alla loro necessità ai «fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è prevista nel piano», oltre che alla loro coerenza con il miglior soddisfacimento dei creditori. È dunque sostenibile che il confronto, almeno per le imprese per le quali sia prevista la continuità aziendale, debba essere svolto rispetto ad un piano autonomo, che contempli per la singola impresa la continuità aziendale. Nel qual caso devono emergere i benefici, conseguenti ad una continuità aziendale svolta secondo una prospettiva di gruppo, rispetto ad una su base atomistica. Nel caso, viceversa, di imprese destinate ad un concordato liquidatorio, devono risultare i vantaggi [...]
In quanto il miglior soddisfacimento dei creditori riposa, in sostanza, su una valutazione previsionale, esso non risulta del tutto estraneo, in fin dei conti, al criterio dei vantaggi compensativi, pure se in questo caso caratterizzato da un sindacato destinato ad operare prevalentemente ex ante [121]. È, infatti, implicita, nel caso di compimento di operazioni pregiudizievoli da parte delle società eterodirette, la valutazione circa l’idoneità del patrimonio sociale a beneficiare di un vantaggio prospettico il quale a sua volta, nel caso di specie, deve consentire di accertare che, per effetto dell’operazione riorganizzativa, i creditori dell’impresa disponente, ovvero quelli di altra impresa del gruppo che ne risente gli effetti, ricevano un soddisfacimento migliore, e non solo uguale o non inferiore rispetto a quello scaturente dalla liquidazione giudiziale della singola impresa. Tuttavia, fermo rimanendo che nemmeno in presenza di uno stato di crisi si richiede che il vantaggio sia contestuale, è da ritenere che la scelta del legislatore di utilizzare il criterio più specifico del miglior soddisfacimento dei creditori, rispetto a quello di diritto comune del vantaggi compensativi, comporti che dovranno accogliersi parametri differenti rispetto a quelli che tradizionalmente presiedono all’individuazione di questi ultimi, posto che l’integrità del patrimonio sociale, che dovrebbe costituire il presupposto minimo per la loro ricorrenza, potrebbe non essere più sussistente al sopraggiungere della crisi [122]. Premesso che, tanto più in presenza di uno stato di crisi, non è possibile accogliere un’accezione di vantaggi compensativi sotto forma di vantaggio attuale e conseguito contestualmente all’effettuazione dell’operazione pregiudizievole, non è nemmeno prospettabile l’adesione ad una configurazione «aperta» degli stessi, che in relazione alla formula «fondatamente prevedibili», espressamente accolta dall’art. 284, quarto comma, c.c.i.i., ammetta la loro ricorrenza in termini, oltre che futuri, anche «virtuali». Si richiede dunque che sia ravvisabile, quanto meno su un piano prospettico e grazie al plusvalore scaturente dalla riorganizzazione di gruppo, un «ritorno di valore» a favore del patrimonio dell’impresa disponente e quindi dei relativi [...]
Sul piano dei mezzi di tutela offerti ai creditori, ma anche ai soci, rispetto alle operazioni riorganizzative in esame, occorre porre in evidenza la svolta radicale che emerge dal codice della crisi di impresa. L’art. 3, secondo comma, lett f), l. n. 150/2019 dispone, al riguardo, che viene «fatta salva la tutela in sede concordataria per i soci e per i creditori delle singole imprese, nonché per ogni altro controinteressato». Su queste basi, l’art. 285, terzo e quinto comma, c.c.i.i. delinea una tutela con riguardo agli effetti pregiudizievoli di tali operazioni per i creditori ed i soci delle rispettive imprese, fondata sull’opposizione all’omologazione [140], fissandone i requisiti, che si manifesta a tutti gli effetti come il rimedio esclusivo offerto in pendenza di concordato. Il che può condurre, a seguito dell’accoglimento dell’opposizione e quindi del rigetto dell’omologazione, alla mancata esecuzione dell’operazione riorganizzativa intragruppo che sia ad essa sospensivamente (ovvero risolutivamente) condizionata [141]. Tuttavia, la legittimazione all’opposizione è limitata, qualora si contesti la convenienza del concordato o nella specie dell’operazione riorganizzativa, ai creditori dissenzienti di una classe dissenziente ovvero, nel caso di mancata formazione delle classi, ai creditori dissenzienti che rappresentino almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto con riguardo ad una singola impresa, come è disposto dall’art. 285, terzo comma, c.c.i.i., che si ricollega, sotto questo aspetto, alla disciplina generale dell’art. 112, primo comma, c.c.i.i. Con il che si introduce un’ulteriore differenziazione, che riguarda non solo le modalità della tutela offerta, ma anche l’ambito della legittimazione ad agire spettante ai creditori, che viene ristretta rispetto all’azione esperibile da tutti i creditori ai sensi dell’art. 2497 c.c. [142]. Per concentrarci su talune specifiche operazioni riorganizzative infragruppo, quali la fusione e la scissione, è da evidenziare che la disposizione dell’art. 285 c.c.i.i. deve essere posta a confronto e coordinata con la più generale disciplina dettata dall’art. 116 c.c.i.i., che si estende ad ogni ipotesi di fusione e scissione concordataria, e non solo a quelle incluse nel concordato di gruppo. Superando, infatti, [...]
Passando alle tutele offerte ai soci rispetto alle operazioni riorganizzative ed al trasferimento di risorse infragruppo, anche per costoro, come si è detto, è prevista una tutela elusivamente endoconcorsuale nelle forme dell’opposizione all’omologazione, secondo quanto sancito dall’art. 285, quinto comma, c.c.i.i. Resta salva la questione se l’esclusività riguardi solamente la tutela di tipo reale e dunque, in particolare, il rimedio in questione sostituisca l’impugnazione delle delibere di fusione o di scissione, ovvero presenti carattere assorbente della tutela obbligatoria, vale a dire del diritto dei soci, nonché degli stessi creditori, di invocare il risarcimento per il c.d. danno da fusione (o da scissione) ex art. 2404-quater, secondo comma, c.c. A favore della permanenza di tale rimedio, in effetti, depone il disposto dell’art. 116, terzo comma, c.c.i.i. che, per il caso di annullamento o di risoluzione del concordato, riconosce l’irreversibilità degli effetti della fusione e della scissione (oltre che della trasformazione), fatto salvo «il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi ai sensi degli articoli 2500-bis, secondo comma, 2504-quater, secondo comma, e 2506-ter, quinto comma, del codice civile». Nonostante l’ambito letterale limitato della previsione, è da ritenere che essa non precluda il diritto di far valere il danno da fusione anche in caso di regolare esecuzione del concordato preventivo, dato che non emergono ragioni per effettuare una distinzione in proposito circa la tutela esperibile [162]. La deroga al diritto societario comune dei gruppi, con riguardo alla tutela accordata ai soci, è meno significativa, soprattutto dopo che il d. lgs. n. 147/2020 ha sostituito l’originaria formulazione dell’art. 285, ultimo comma, c.c.i.i., «i soci possono fare valere il pregiudizio arrecato alle rispettive società» con quella per cui «i soci possono far valere il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale», anche tramite le operazioni riorganizzative infragruppo, tra cui le fusioni e scissioni in esame, mediante cui si realizza una piena equiparazione con la tutela offerta ai soci delle società sottoposte all’art. 2497 c.c. [163]. Uniche differenze riguardano la mancata delimitazione [...]
La posizione dei soci rispetto alle operazioni riorganizzative nel concordato di gruppo presenta ulteriori risvolti, che attengono all’esecuzione del concordato stesso e si intrecciano con quello, più generale, che riguarda la presenza di profili di competitività anche all’interno di tale procedura, quali si realizzano, in particolare, attraverso la presentazione di proposte concorrenti, ai sensi dell’art. 90 c.c.i.i. La questione è di significativo spessore, specie qualora si ammetta che l’ambito delle proposte concorrenti, che godono in via di principio della stessa ampiezza e libertà di contenuti di quella proveniente dal debitore – e ciò in specie ai fini dell’applicazione della disciplina dell’esecuzione (art. 118 c.c.i.i.) – non sia limitata all’aumento di capitale a pagamento con esclusione del diritto di opzione, ma possa prevedere, in aggiunta o in alternativa, altre operazioni riorganizzative, quali trasformazioni, fusioni e scissioni, come ora emerge dall’art. 118, sesto comma, c.c.i.i., con riferimento ai poteri del commissario giudiziale in presenza di condotte ostruzionistiche della maggioranza assembleare [171]. Tuttavia, sullo sfondo emerge il rischio che, ammettendo proposte concorrenti, si pervenga a disarticolare – o in alternativa a rendere più conveniente – il piano di riorganizzazione di gruppo presentato dal debitore e, nella specie, dall’impresa di gruppo. Ove non si ritenga di escludere del tutto l’ammissibilità di proposte concorrenti nel concordato di gruppo, si pongono significativi problemi di compatibilità e di coordinamento tra le discipline, in specie con riferimento alle nuove o differenti operazioni riorganizzative che siano contenute nella proposta avanzata da terzi, ai quali in questa sede si può solo accennare. Basti pensare alla questione se il perimetro della proposta concorrente, nel caso di concordato di gruppo, debba coincidere o meno con quello della proposta del debitore, o possa riguardare solo alcune imprese del gruppo [172]. La soluzione della questione, sulla quale è destinata ad incidere anche la sorte delle operazioni riorganizzative intragruppo in caso di risoluzione o annullamento, in specie con riferimento a singole imprese [173], è che, qualora si ammettesse che la proposta concorrente possa operare anche (o solamente) su base [...]
Alcune considerazioni merita anche il tema delle operazioni riorganizzative infragruppo effettuate nell’ambito degli accordi di ristrutturazione di gruppo. A differenza del concordato di gruppo, tali accordi usufruiscono di una disciplina complessivamente alquanto scarna e che, con riferimento più specifico alle operazioni riorganizzative comportanti anche trasferimento di risorse, lascia addirittura dubitare della compatibilità con le disposizioni dell’art. 285 c.c.i.i., ma che comunque rappresenta una novità rispetto alla assoluta assenza di previsioni sul punto precedentemente al c.c.i.i. [189]. È da ritenere, viceversa, che le operazioni riorganizzative infragruppo nei piani attestati di gruppo, pur se indubbiamente realizzabili, non siano sottoposte alla disciplina dell’art. 285 c.c.i.i. [190]. Anche in questo caso, la principale novità è costituita dal profilo procedimentale che contraddistingue gli accordi di ristrutturazione di gruppo, e dunque dall’ammissibilità della presentazione con unico ricorso, da parte di più imprese appartenenti allo stesso gruppo, della domanda di accesso alla procedura di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, sulla base di un piano unitario ovvero di piani reciprocamente collegati e interferenti, secondo i medesimi requisiti stabiliti dall’art. 284, quarto comma, c.c.i.i. per il concordato di gruppo. Naturalmente, anche nel caso di accordi di ristrutturazione di gruppo, il piano unitario od i piani reciprocamente collegati ed interferenti non potranno limitarsi ad avere riguardo ai profili industriali e finanziari delle singole imprese, ma dovranno tenere conto delle operazioni anche riorganizzative – finanziamenti infragruppo, fusioni, scissioni, trasferimenti di rami di azienda, aumenti di capitale – intercorrenti tra di esse, destinate a favorire la ristrutturazione di gruppo, e per di più devono essere accompagnati da un’attestazione unitaria dell’esperto. Non si precisa, tuttavia se, pure in presenza di un unico ricorso, si debba essere in presenza di accordi separati, stipulati con i creditori delle rispettive imprese. In effetti, per garantire una piena simmetria con quanto disposto per il concordato di gruppo, deve darsi una risposta positiva sul punto. In precedenza, il tema degli accordi di ristrutturazione di gruppo era stato affrontato e risolto mediante la [...]