La capacità di analisi ed elaborazione rapida e ad ampio spettro di grandi quantità di dati, nonché di reazione automatica e immediata a specifici eventi, fa degli algoritmi uno strumento potenzialmente pro-collusivo. Allo stato attuale di avanzamento tecnologico e di conoscenza del fenomeno, il potenziale collusivo degli algoritmi si esprime in forme diverse, più o meno sofisticate: gli algoritmi possono essere adottati come strumento di attuazione, potenziamento o perfezionamento di un’intesa già pianificata o anche già attuata; ma gli algoritmi, interagendo tra loro, possono svolgere un ruolo attivo anche nella creazione di equilibri collusivi, facilitando un allineamento di condotte altrimenti difficile da realizzare o stabilizzando equilibri collusivi altrimenti instabili; o addirittura, negli scenari più complessi, algoritmi più complessi, in grado di sfruttare intelligenza artificiale e tecniche di self-learning, possono realizzare essi stessi, in modo spontaneo, senza preventiva programmazione, senza istruzioni dirette, effetti simili a quelli propri di un cartello.
Questi tre scenari, che pongono problemi di enforcement antitrust di diversa e crescente complessità, sono oggetto di specifica analisi nel presente contributo.
Algorithms have the ability to quickly analyse and process a huge amount of data as well as to provide immediate and automatic reactions to specific events. For these reasons, they may be easily adopted as a collusive tool. At the current stage of technological advancement and knowledge, three different forms of algorithmic collusion can be identified. Firstly, algorithms can be adopted as a means to implement, strengthen and stabilize collusive agreements which are already planned and/or implemented. Secondly, algorithms may be adopted as a tool to facilitate collusion when the alignment of conducts is difficult to be reached or to be maintained over the time. Thirdly, in the most complex and sophisticated scenario, self-learning algorithms, thanks to artificial intelligence, may interact with each other and, being free to set their profits-maximizing strategy, may establish collusion by themselves, in a spontaneous and unplanned manner, by adopting individual, unconcerted strategies, and without communicating with each other.
These scenarios, which raise different challenges to antitrust enforcers, will be examined and discussed in this paper.
Keywords: algorithms – AI
CONTENUTI CORRELATI: antitrust - algoritmi - intelligenza artificiale
1. Introduzione. - 2. Gli algoritmi come strumento di attuazione di una intesa. - 3. Gli algoritmi come strumento di realizzazione di un’intesa. - 3.1. La collusione facilitata da algoritmi. - 3.2. La collusione realizzata da algoritmi: la collusione tacita algoritmica. - 4. Le prospettive di intervento. L’inadeguatezza delle proposte di intervento regolatorio. - 5. Le proposte di enforcement antitrust. La collusione algoritmica come illecita pratica concordata. - 5.1. Nel caso di collusione facilitata da algoritmi. - 5.2. Nel caso di collusione realizzata da algoritmi. - 6. Il coordinamento algoritmico come abuso di posizione dominante collettiva. - NOTE
Gli algoritmi sono strumenti connotati, per un verso, dalla capacità di selezionare, analizzare ed elaborare ingenti quantità di dati in tempi molto ristretti e, per altro verso, dalla capacità di attuare di reazioni immediate e automatiche a specifici eventi.
Le capacità performative degli algoritmi si combinano, nel settore del commercio elettronico, con la disponibilità di una rilevante quantità di dati circa le scelte e le preferenze dei consumatori, la loro propensione all’acquisto, i loro vincoli di spesa, la localizzazione geografica, etc.
La combinazione dei due elementi può generare effetti positivi in termini di consumer welfare: se opportunamente sfruttati, gli algoritmi possono consentire alle imprese di razionalizzare l’offerta, adattandola alle preferenze dei consumatori, e quindi di migliorarla sul piano qualitativo; possono garantire un costante e migliore adattamento dell’offerta alle condizioni di mercato e alle preferenze dei consumatori; consentire di realizzare più efficienti sistemi di programmazione economica, forieri di risparmi per le imprese, che potrebbero tradursi in riduzioni di prezzo; più efficienti sistemi di distribuzione e logistica, in grado di migliorare la qualità del servizio offerto o ridurne il costo. Peraltro, l’uso di algoritmi, dal lato della domanda, può consentire ai consumatori di disporre di maggiori informazioni al momento dell’acquisto, di selezionare le imprese che offrono il prodotto migliore o che praticano prezzi inferiori.
Tuttavia, il potenziale degli algoritmi potrebbe essere sfruttato anche per realizzare condotte distorsive della concorrenza. In particolare, proprio la capacità di analisi ed elaborazione rapida e ad ampio spettro di grandi quantità di dati, nonché di reazione automatica e immediata a specifici eventi, fa degli algoritmi uno strumento potenzialmente pro-collusivo.
Allo stato attuale di avanzamento tecnologico e di conoscenza del fenomeno, il potenziale collusivo degli algoritmi si esprime in forme diverse, più o meno sofisticate: gli algoritmi possono essere adottati come strumento di attuazione, potenziamento o perfezionamento di un’intesa già pianificata o anche già attuata; ma gli algoritmi, interagendo tra loro, possono svolgere un ruolo attivo anche nella creazione di equilibri collusivi, facilitando un allineamento di condotte altrimenti difficile da realizzare o stabilizzando equilibri collusivi altrimenti instabili; o addirittura, negli scenari più complessi, possono realizzare essi stessi, in modo spontaneo, senza preventiva programmazione, senza istruzioni dirette, effetti simili a quelli propri di un cartello.
Questi tre scenari, oggetto di distinta analisi nel presente contributo, pongono problemi di enforcement antitrust di diversa e crescente complessità.
Nel primo, più semplice scenario, si fa ricorso ad algoritmi per attuare, in modo più efficace, un’intesa restrittiva, già configurabile a monte.
Di questo fenomeno vi è ormai ampia traccia nella casistica antitrust.
Uno dei primi casi di intesa di prezzo, attuata tramite algoritmi, ha avuto ad oggetto la vendita di poster su Amazon: due operatori hanno convenuto che ciascuno si sarebbe allineato al maggior prezzo praticato dall’altro, sull’intera gamma di prodotti offerti, fintanto che non fosse entrato nel mercato un terzo operatore. In un primo momento, le due imprese hanno tentato di attuare l’intesa con le forme tradizionali, verificando manualmente il rispetto dell’accordo e operando gli aggiustamenti di prezzo convenuti. Poiché questa operazione, estesa all’intera gamma di prodotti offerti, risultava di non agevole attuazione, le imprese hanno deciso di adottare un algoritmo di prezzo in grado di realizzare automaticamente quel risultato, ma in modo certamente più preciso e più immediato [1].
Casi analoghi – di intese orizzontali o verticali attuate per il tramite di algoritmi – sono poi emersi anche nella casistica inglese, sempre a proposito di vendite di poster via Amazon [2], o in quella europea, con riguardo, tra l’altro, alla vendita di prodotti elettronici di largo consumo [3].
Nella casistica si rinvengono, poi, diversi precedenti relativi ad accordi del tipo “hub & spoke”: così è avvenuto, per es., per i servizi di prenotazione aerea e alberghiera, con l’adozione, da parte di agenzie di viaggio lituane, di una piattaforma comune che ne coordinava le politiche di prezzo [4], come anche nel più noto caso Uber, nel quale la piattaforma comune fissava i prezzi e le condizioni di vendita praticate dai singoli autisti, monitorava il rispetto dell’accordo e ne identificava, in modo istantaneo, le deviazioni [5]. In tutti questi casi, il ricorso ad algoritmi consentiva al soggetto “hub” di raccogliere ed elaborare grandi quantità di dati, in tempi assai ridotti, così da realizzare un più efficace, e verosimilmente più restrittivo, coordinamento tra le imprese [6].
I casi sopra riportati [7] si sono conclusi con il riscontro di infrazione (all’art. 101 TFUE o alla Sect. 1 Sherman Act) e, in tutti, si è trovata prova – ricavata anche dall’evidenza di scambi di informazioni tra imprese – di un accordo preesistente, a monte, che trovava nell’algoritmo uno strumento di più efficace attuazione. Gli algoritmi, in particolare, consentivano di attenuare i due punti di debolezza strutturale, propri di ogni accordo di durata, ossia verificare il rispetto dell’accordo e reagire a eventuali deviazioni dallo stesso.
Al di fuori dei casi già oggetto di istruttoria antitrust – e nei quali emergono nette le potenzialità degli algoritmi nella realizzazione di intese di prezzo, orizzontali o verticali, o nel coordinamento dell’altrui collusione – possono ipotizzarsi scenari ulteriori, nei quali il ricorso ad algoritmi può aggravare gli effetti restrittivi di condotte collusive.
Gli algoritmi potrebbero, per es., essere programmati per elaborare i dati relativi alle preferenze dei consumatori, alla loro propensione all’acquisto, ai luoghi geografici di consumo – dati disponibili in quantità sempre maggiori, anche in forma disaggregata, e aggiornati in tempo reale; in tal modo, il ricorso ad algoritmi potrebbe consentire di realizzare, in modo assai più agevole ed efficace, offerte personalizzate, per individui singoli o gruppi omogenei di individui [8], che possono tradursi in condotte di discriminazione di prezzo [9] e, data la capacità di analisi delle vendite dei concorrenti, in condotte di ripartizione del mercato [10].
Al di fuori dei casi prima descritti (di algoritmi adottati in funzione attuativa di una intesa già configurabile a monte) e per i quali si ha un evidente riscontro nella casistica antitrust, vi sono scenari più complessi e impalpabili, connotati anche da una maggiore dialettica di opinioni.
Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità che gli algoritmi contribuiscano attivamente alla creazione di equilibri collusivi, facilitando la realizzazione di allineamenti altrimenti difficili da conseguire o comunque instabili; oppure realizzando direttamente, in modo autonomo e senza esservi programmati, effetti simili a quelli propri di un cartello.
Il primo caso si riferisce all’uso congiunto, da parte di diverse imprese, di algoritmi in grado di esplorare il mercato e di interagire con altri algoritmi, verificando se c’è possibilità di colludere, lanciando segnali di comportamento e reagendo agli input altrui. In altri termini, la realizzazione di una condotta collusiva rientra tra le opzioni strategiche attribuite all’algoritmo in fase di progettazione, cosicché l’interazione tra algoritmi simili, in grado di reagire a stimoli analoghi, può dar luogo a esiti collusivi [11]. L’algoritmo cessa, quindi, di essere mero strumento per l’attuazione di un accordo preesistente e diventa parte attiva nella creazione di una condotta collusiva.
In uno scenario di questo tipo, proprio la grande capacità degli algoritmi di esaminare ed elaborare ingenti quantità di dati in termini brevissimi, e di cogliere in modo istantaneo le reazioni altrui alle proprie azioni, potrebbe facilitare la realizzazione di equilibri collusivi altrimenti – cioè, con la sola interazione umana – difficili da raggiungere, e potrebbe rendere più stabili accordi altrimenti precari: la capacità di immediata identificazione delle deviazioni consente, infatti, di verificare in ogni momento il persistere della volontà di colludere e, quindi, di testare la stabilità dell’assetto collusivo, reagendo – sempre in modo automatico – alle deviazioni operate dal concorrente (mediante, per es., un abbassamento del prezzo, secondo gli schemi tipici della reazione punitiva alle defezioni dalle intese) [12].
Il ricorso ad algoritmi di questo tipo potrebbe consentire di realizzare accordi collusivi ampi, che coinvolgano un numero anche elevato di operatori, perché si attenuano le difficoltà di coordinamento, monitoraggio e reazione alle defezioni, proprie degli accordi collusivi in senso tradizionale – d’altra parte, per gli algoritmi la disponibilità di grandi quantità di dati aumenta, anziché ridurre, la trasparenza del mercato.
Peraltro, l’adozione congiunta di algoritmi così definiti potrebbe consentire di realizzare, in modo più agevole, forme particolarmente sofisticate di collusione, già osservate anche nella prassi antitrust tradizionale, quali, per es., l’allineamento su singole componenti di prezzo, nel caso di tariffazione complessa [13], o l’adozione di strategie c.d. “semi-collusive”, connotate dall’allineamento su alcuni fattori dell’agire concorrenziale (per es. il prezzo finale) e una concorrenza, anche vivace, su altri (per es. sulla cattura del cliente) [14]. Si tratterebbe di forme di collusione meno evidenti, e quindi meno esposte al rischio di contestazioni antitrust, ma non per questo meno restrittive della concorrenza.
Algoritmi in grado di agire nel senso descritto, se usati in parallelo dalle imprese, sembrerebbero operare propriamente – riprendendo una categoria classica del diritto antitrust – come fattori facilitanti una collusione altrimenti non possibile o non egualmente efficace.
Peraltro, il ricorso ad algoritmi di questo tipo renderebbe superfluo lo scambio di comunicazioni dirette tra imprese – fattore che, invece, sempre si rinviene nella casistica in materia di collusione algoritmica sopra menzionata, e che ha tradizionalmente rivestito un ruolo cruciale nelle istruttorie antitrust, fungendo di fatto da discrimine tra allineamento concordato, e quindi illecito, e allineamento non assistito da tale supporto probatorio, e quindi di per sé lecito, ancorché foriero di effetti restrittivi (sul punto si tornerà più avanti, nel § 5).
La frontiera della collusione algoritmica è rappresentata, però, dalla possibilità che gli algoritmi, sfruttando intelligenza artificiale e tecniche di machine-learning, e specialmente di self-learning [15], possano realizzare equilibri collusivi in modo autonomo, spontaneo e tacito.
Lo scenario che si ha in mente è descritto in termini di teoria dei giochi e può così sintetizzarsi.
Si adottano algoritmi programmati per realizzare condotte individuali di massimizzazione del profitto, e quindi, non direttamente progettati per colludere. Grazie all’intelligenza artificiale, gli algoritmi in questione sono in grado di apprendere in modo autonomo (senza supervisione, esplorando l’ambiente di mercato e interagendo con gli altri operatori) e di elaborare processi decisionali autonomi, che tengono conto anche delle esperienze del passato, cosicché l’algoritmo intelligente tenderà a replicare le strategie di successo e a non replicare le altre.
L’aspettativa è che, in un gioco ripetuto, apprendendo dall’esperienza ed elaborando tutti i dati a disposizione, gli algoritmi, pur agendo in modo genuinamente tacito (senza, cioè, ricorrere a scambi di informazioni e senza comunicazioni dirette) e in modo autonomo (senza essere programmati a colludere, ma avendo come unico obiettivo l’ottimizzazione delle performance individuali dell’impresa), decidano di realizzare condotte allineate, con esiti simili a quelli propri di un cartello.
Una volta raggiunto un livello di prezzo collusivo, sorge il problema, tipico di ogni collusione, di garantirne il mantenimento, identificando e neutralizzando le deviazioni dall’accordo; ma gli algoritmi sono in grado di agire efficacemente su tali aspetti: essi identificano le deviazioni e vi reagiscono, con un abbassamento del prezzo, in funzione punitiva della defezione. Negli stadi successivi del gioco, queste esperienze vengono fatte proprie dagli algoritmi: gli algoritmi intelligenti imparano che le defezioni sono sanzionate e che sono quindi associate a un costo; cosicché, dopo diverse interazioni (nelle quali si ripete il meccanismo di identificazione delle deviazioni e reazione congiunta alle stesse), gli algoritmi individuano la migliore strategia, il migliore livello di prezzo collusivo, e lo mantengono nel tempo [16].
Si realizzerebbe, così, un equilibrio collusivo in senso proprio, conseguenza diretta delle scelte operate da algoritmi intelligenti, frutto di condotte genuinamente unilaterali e non concertate, derivanti da un adattamento razionale, su base individuale, alle condizioni di mercato, con un meccanismo di cd. signaling and best response – esattamente come si sospetta che avvenga negli oligopoli ristretti, quando vi siano condizioni di mercato favorevoli alla collusione tacita [17].
Quanto alla possibilità che dinamiche algoritmiche di questo tipo trovino effettiva attuazione, le opinioni sono piuttosto eterogenee, ma sembrano seguire una precisa linea evolutiva.
Fino a un paio di anni fa, la possibilità di collusione tacita algoritmica appariva irrealistica: equilibri collusivi stabili – si sosteneva, con argomenti che riprendevano quelli già espressi con riguardo alla collusione tacita in oligopolio – richiedono una qualche forma di comunicazione, un qualche input esterno [18], cosicché, mentre è realistico che la collusione possa beneficiare del supporto facilitante degli algoritmi, appare irrealistico che un allineamento di condotte, che mima gli effetti tipici di un cartello, sia realizzato direttamente da algoritmi intelligenti, con condotte individuali e non concertate [19].
Oggi, persiste ancora un certo scetticismo di fondo [20], ma tale possibilità comincia a essere percepita come sempre meno remota e sempre meno irrealistica [21]; e anzi qualcuno non esclude che algoritmi di questo tipo siano già a disposizione delle imprese e già in uso nelle vendite online [22].
D’altra parte, la possibilità che si realizzi una collusione tacita algoritmica, nei termini descritti, trova oggi ulteriore conferma in importanti studi economici [23], che riportano di esprimenti realizzati con algoritmi definiti nei termini indicati e dai quali sembrerebbe emergere che, in effetti, dopo un certo numero di interazioni (e dopo una serie di defezioni dalla collusione, punizioni della defezione e ripristino della collusione: cioè dopo l’effettiva attuazione del meccanismo reward-punishment, proprio delle dinamiche collusive), gli algoritmi realizzano un equilibrio collusivo stabile; e mostrano che una collusione si realizza – seppure con livelli di prezzo, e quindi di profitto, decrescenti – anche in contesti che di per sé non sarebbero favorevoli alla collusione tacita in senso classico, e cioè aumentando il numero degli operatori o aumentando le asimmetrie tra gli stessi [24].
In altri termini, lo scenario prima irrealistico appare sempre più verosimile.
Il definirsi di uno scenario sempre più chiaro riguardo alle potenzialità degli algoritmi e al ruolo attivo che questi possono svolgere nella creazione e nel mantenimento di equilibri collusivi (agendo come fattore facilitante la collusione o realizzandola direttamente) ha condizionato l’approccio delle autorità antitrust al fenomeno.
Le posizioni iniziali sono state connotate da una certa prudenza, ritenendosi opportuna una conoscenza più chiara del fenomeno, quanto ad effettiva probabilità di emersione e portata restrittiva, prima di intraprendere azioni dirette o definire adeguate strategie intervento [25].
Successivamente, invece, sono emerse posizioni più nette, che denotano una maggiore consapevolezza del potenziale restrittivo del fenomeno, anche per il contesto che ne è direttamente interessato e per le dinamiche che connotano il funzionamento di quel mercato.
Il ricorso ad algoritmi di prezzo si colloca, infatti, in un settore – quello delle vendite on line, realizzate anche tramite piattaforme – la cui portata economica, già significativa per volume e per ampiezza, è associata a prospettive di crescita ulteriore. Le collusioni non-espresse potrebbero, quindi, interessare un ambito assai più ampio rispetto a quello nel quale tradizionalmente tali fenomeni si collocano, ossia mercati con pochi operatori, con elevate barriere all’ingresso e un certo grado di trasparenza – in altri termini, mercati già di per sé inclini alla collusione [26].
Peraltro, il settore del commercio elettronico è già interessato da dinamiche specifiche, che lasciano intravedere come piuttosto verosimile il ricorso ad algoritmi intelligenti per realizzare sovraprofitti concorrenziali. Dal Report sul commercio elettronico, elaborato della Commissione nel 2017, risulta, infatti, che almeno due terzi delle imprese coinvolte nell’indagine già allora facevano uso di software per la definizione del prezzo e di sistemi di monitoraggio del prezzo altrui; e che la maggior parte delle imprese dotate di sistemi di tracciamento del prezzo tendeva poi ad aggiustare il proprio prezzo a quello osservato [27].
Anche in dottrina, non si dubita dell’opportunità di un intervento contro le possibili disfunzioni derivanti dal ricorso ad algoritmi di prezzo, ma si discutono dialetticamente le possibili strategie di intervento.
Al riguardo, le prime proposte formulate si collocavano, invero, su un terreno sostanzialmente regolatorio, con intenti o esiti conformativi, più che correttivi e repressivi.
È stato proposto, così, di imporre alle imprese obblighi di trasparenza relativamente all’adozione di algoritmi e alle loro modalità di funzionamento, in modo da facilitare l’individuazione delle collusioni algoritmiche [28] – soluzione che, però, rischia di produrre effetti opposti a quelli sperati, giacché renderebbe di fatto più agevole per le imprese l’adozione di algoritmi simili e, per tale via, potrebbe persino facilitare la collusione.
Sono stati suggeriti, poi, interventi regolatori in senso proprio: si è proposto di imporre una riduzione nella frequenza delle interazioni di mercato tra algoritmi, in modo da limitare gli aggiustamenti automatici di prezzo; o di inserire nel mercato algoritmi di disturbo, in grado di destabilizzare eventuali equilibri collusivi, anche stimolando i cd. “secret dealings”; o ancora, di agire sui prezzi di mercato, incentivando l’adozione di pratiche scontistiche [29]. Anche queste, però, appaio soluzioni dalla dubbia efficacia correttiva, e anzi potenzialmente foriere, a loro volta, di effetti distorsivi: limitare la frequenza delle interazioni può comportare, per es., un irrigidimento del prezzo di mercato, e quindi impedire anche gli aggiustamenti a ribasso, con un impatto negativo sul consumers’ welfare; e, più in generale, gli interventi di natura sostanzialmente conformativa potrebbero incidere, con un impatto non prevedibile, sul naturale processo di sviluppo dei mercati digitali.
Egualmente poco persuasive appaiono le proposte di intervenire a monte, in fase di progettazione degli algoritmi, imponendo che questi siano disegnati in modo da non reagire alle variazioni del prezzo altrui [30]: tale soluzione, invero, inciderebbe sulle funzionalità di uno strumento di per sé neutro e che potrebbe essere sfruttato anche per realizzare esiti pro-concorrenziali (per es. una efficace concorrenza di prezzo); peraltro, interventi di questo tipo, se proiettati su larga scala, potrebbero disincentivare l’investimento in questo ambito tecnologico e, conseguentemente, limitare il processo innovativo sottostante.
Proposte ulteriori di intervento puntano, invece, al rafforzamento del potere di mercato dal lato della domanda, anche mediante il ricorso ad appositi algoritmi che consentano ai consumatori di confrontare le offerte, di individuare più agevolmente il prezzo minore o il prodotto migliore, in modo da contrapporre un più forte buyer power al già forte producer power [31]. Anche questa soluzione, tuttavia, presuppone specifiche condizioni di mercato (per es., l’assenza di barriere all’ingresso, anche in termini di accesso alle piattaforme di intermediazione nella vendita) e, in ogni caso, sembrerebbe poter produrre effetti apprezzabili solo in contesti specifici, per es. a fronte di acquisti accentrati o aggregati (come avviene nel trading online), ossia quando i consumatori siano in qualche modo già dotati di un certo potere di mercato; al contrario, le potenzialità di tali strumenti appaiono assai più blande nel caso di acquisti diffusi, e specialmente di quelli aventi ad oggetto beni di modesto valore economico.
L’inquadramento delle prime proposte di intervento formulate dalla dottrina, in una cornice sostanzialmente regolatoria, è probabilmente dovuta non tanto alla convinzione di una maggiore efficacia di quelle soluzioni – i cui limiti sono stati prontamente evidenziati [32] –, quanto piuttosto alla consapevolezza della difficoltà di realizzare un efficace intervento antitrust rispetto alle collusioni non-espresse, considerate illecite soltanto se, all’allineamento di condotte, si aggiunge prova di una preventiva concertazione, di un meeting of minds, ossia di quell’incontro di volontà che sembra ancora costituire l’architrave della fattispecie di intesa restrittiva. D’altra parte, anche nei primi interventi in materia di collusioni algoritmiche, le autorità hanno ribadito che parallelismo di condotte, non corroborato da fattori ulteriori, non integra una fattispecie di intesa illecita, anche ove risultasse foriero di effetti obiettivamente restrittivi della concorrenza [33].
Peraltro, come si diceva, i fattori che, nella casistica europea e americana, sono considerati idonei a connotare in senso collusivo un parallelismo di condotte sono piuttosto limitati e si riducono, di fatto, allo scambio di informazioni, alle comunicazioni tra le imprese – fattore, però, che manca nelle forme di collusione algoritmica in senso stretto, sopra riportate [34].
Cosicché, rispetto al fenomeno della collusione algoritmica (ma lo stesso può dirsi per i fenomeni di collusione tacita oligopolistica), una efficace reazione antitrust richiederà il superamento dell’impostazione tradizionale e della centralità che in questa assume la prova di scambi di informazioni.
Le prospettive di intervento antitrust rispetto al fenomeno della collusione oligopolistica in senso stretto, nel quale gli algoritmi giocano un ruolo attivo per la creazione dell’equilibrio collusivo, anche in modo autonomo e con condotte non concertate, muovono da un assunto di fondo, condiviso dalle diverse autorità antitrust (europea, nazionali e americane) e sul quale concorda la dottrina: il fatto di avvalersi di un algoritmo non esime le imprese da responsabilità antitrust [35].
Nella prospettiva che sembra oggi prevalente, l’algoritmo, anche quando dotato di autonoma capacità decisionale, è inteso come una longa manus dell’impresa [36] ed è assimilato a un suo dipendente, cosicché, come l’impresa è responsabile per la condotta antitrust decisa e realizzata da un dipendente, così è responsabile per la condotta eventualmente decisa e attuata dall’algoritmo [37].
Si discute, però, di quale sia lo standard di condotta, e quindi di responsabilità, imposto alle imprese; e cioè se le imprese possono dirsi responsabili: i) quando non adottano tutte le cautele per prevenire il rischio di collusione algoritmica – e quindi, sembrerebbe, in presenza di colpa, cioè quando vi sia la ragionevole probabilità di prevedere che l’uso di certi algoritmi porti a risultati collusivi; oppure ii) per il solo fatto di adottare algoritmi in grado di realizzare un equilibrio collusivo – e quindi, sembrerebbe, sulla base di un dato oggettivo [38].
Si tratta, in effetti, di due soglie diverse di imputazione della responsabilità, cui corrisponde evidentemente un diverso perimetro dell’azione antitrust – più ristretto, perché limitato alle condotte colpose, nel primo caso, più ampio nel secondo; e gli effetti del ricorso all’uno o all’altro criterio si colgono, in particolare (per le ragioni che si andranno ad illustrare nei paragrafi che seguono), con riguardo alle fattispecie di collusione tacita algoritmica.
Ancora con riferimento all’imputazione della condotta antitrust, un ulteriore profilo che sembra potersi dedurre dai precedenti europei è che, nel caso di vendite on line realizzate tramite una piattaforma terza, la responsabilità antitrust potrebbe estendersi anche al gestore della piattaforma, ove risulti che questi abbia svolto un ruolo attivo e non meramente accessorio nella realizzazione della condotta illecita [39].
Nelle ipotesi più semplici, ciò accade quando sia la piattaforma stessa, dove si incontrano domanda e offerta di un certo bene o servizio, ad agire direttamente come facilitatore della collusione [40]; ma non si può escludere una estensione della responsabilità anche ove il gestore della piattaforma si limiti a mettere a disposizione delle imprese un software di prezzo in grado di condurre a risultati collusivi [41].
Muovendo dalla considerazione di partenza, ossia che il ricorso ad algoritmi non esclude l’imputazione di responsabilità antitrust alle imprese che se ne avvalgono o che sono attivamente coinvolte nel coordinamento, si possono formulare specifiche proposte di intervento antitrust, diverse a seconda che gli algoritmi operino come strumento di facilitazione della collusione o che, in modo autonomo, tacito e non concertato, realizzino direttamente un allineamento di tipo cartellistico.
Nel primo scenario tratteggiato, le autorità riscontreranno un allineamento di condotte, foriero di effetti distorsivi della concorrenza, e l’evidenza del ricorso, in parallelo, ad algoritmi programmati per realizzare esiti collusivi.
Algoritmi di questo tipo, che operano propriamente come fattori facilitanti la collusione, potrebbero essere qualificati come “plus factors”, in grado di connotare il parallelismo di condotte in termini di allineamento almeno consapevole, e quindi di supportare l’inferenza di pratica concordata o di unlawful conspiracy [42].
La soluzione rientrerebbe sostanzialmente nello schema classico della prova di pratica concordata: evidenza di condotte parallele dall’effetto restrittivo e indizi di concertazione [43]; la prova di concertazione, normalmente ricavata dall’evidenza di comunicazioni, sarebbe qui fornita dall’evidenza di algoritmi programmati per colludere. D’altra parte, che elementi anche diversi dalla comunicazione tra imprese (per es. l’evidenza di condotte contrarie a convenienza individuale) possano assumere il rilievo di “plus factors” è possibilità già riconosciuta dalla giurisprudenza europea e americana, pur trovando scarso riscontro nella casistica [44].
A conclusioni sostanzialmente analoghe si giungerebbe assimilando, come pure è stato suggerito, l’interazione tra algoritmi (fatta di continui scambi di impulsi) a uno scambio di informazioni – quell’interazione sarebbe il modo in cui le macchine si scambiano intenzioni strategiche [45].
Peraltro, in presenza di algoritmi programmati per realizzare un esito collusivo, non si può dubitare dell’imputabilità della condotta restrittiva alle imprese coinvolte: anche ove si adottasse lo standard più elevato di imputazione di responsabilità antitrust, si potrebbe certamente sostenere che, per le caratteristiche stesse dell’algoritmo adottato, l’esito collusivo rappresenta uno scenario ragionevolmente prevedibile, e che quindi la condotta abbia carattere almeno colposo.
Per quanto riguarda, invece, la possibilità di intervento rispetto una collusione algoritmica che sia frutto di condotte individuali, si rintraccia invece un marcato scetticismo che riflette, in parte, le posizioni che ancora largamente connotano il dibattito intorno agli oligopoli collusivi.
Così, si sostiene, anche con riferimento alla collusione algoritmica, che difficilmente potrebbero aversi collusioni genuinamente tacite [46]; e che, se pure si dimostrasse che esiti simili a quelli tipici di un cartello sono realizzati con condotte unilaterali (in assenza, quindi, di prova di concertazione), queste comunque sfuggirebbero all’applicazione dell’art. 101 o della Sect. 1 perché tali norme sanzionano l’allineamento cosciente e volontario, frutto di coordinamento attivo tra le imprese, e non quello derivante da adattamento razionale, su base individuale, alle condizioni di mercato, che invece resta di per sé lecito [47]; e inoltre, che l’incertezza che ancora circonda la valutazione delle condotte algoritmiche espone al rischio di over-deterrence, particolarmente grave, giacché il ricorso ad algoritmi di prezzo potrebbe generare guadagni di efficienza e realizzare incrementi di consumer welfare [48]; e che, in ogni caso, esisterebbero nel mercato meccanismi auto-correttivi, in grado di ripristinarne il corretto funzionamento [49].
Argomentazioni analoghe sono risultate storicamente prevalenti rispetto al fenomeno della collusione tacita oligopolistica e hanno condotto a una sostanziale disapplicazione dei divieti antitrust in quell’area, pure a fronte di evidenti effetti distorsivi della concorrenza. In contesti di oligopolio, cioè, la necessità, di per sé condivisibile, di ridurre l’incidenza di falsi positivi si è risolta in un generale under-enforcement dei divieti antitrust, dando luogo a quello che viene definito “oligopoly paradox”: più il mercato è incline a sostenere collusioni tacite, minore è la necessità di comunicazioni tra le imprese e, quindi, meno efficace risulterà un enforcement antitrust incentrato sulla ricerca di plus factors, specialmente nella forma di contatti diretti, di scambi di informazione tra imprese [50].
Analogo rischio – di sostanziale impunità antitrust – si corre rispetto alla collusione algoritmica (una sorta di “algorithms paradox”), ove risultasse, come sembra, che esiti collusivi possono essere effettivamente realizzati in modo tacito e in attuazione di una strategia individuale di massimizzazione del profitto.
Invero, i rischi potrebbero essere ben più gravi, perché – se i risultati dei primi studi saranno confermati – si profilano equilibri collusivi più ampi, più stabili, più diffusi; di più facile realizzazione, perché quelle prassi comportamentali, quel modus operandi di supporto alla collusione tacita che, nel caso di interazione umana, si sviluppano nel tempo e in modo tendenzialmente graduale, nel caso di algoritmi possono emergere più agevolmente e in tempi assai più brevi; e collusioni sempre più sofisticate, con l’aspettativa di una crescente incidenza dei fenomeni di semi-collusione.
In uno scenario di questo tipo, tendenze o dichiarazioni di impronta non-interventista, da parte delle autorità, genererebbero effetti assai negativi sul piano della deterrenza: sarebbe come suggerire alle imprese di adottare algoritmi di questo tipo per conseguire profitti collusivi, restando immuni da responsabilità antitrust. Al contrario, la minaccia credibile e concreta di intervento antitrust potrebbe essere una variabile che forse gli algoritmi stessi sono in grado di elaborare e valutare nel definire le proprie scelte strategiche; potrebbe essere, in altri termini, un fattore di per sé in grado di ridurre la convenienza della collusione e, quindi, di prevenirne in una qualche misura l’emersione stessa [51].
Posta, dunque, la necessità di un intervento antitrust efficace e fermo, anche rispetto ad allineamenti di condotte dall’effetto restrittivo derivanti da comportamenti genuinamente unilaterali e non concertati, la questione diventa quella di individuare i possibili strumenti di intervento, in un contesto nel quale non si rinvengono indizi di comunicazioni né altre forme di “plus factors”. In questo caso, infatti, il riscontro dell’uso in parallelo di algoritmi “intelligenti”, progettati nel senso descritto, non vale a connotare quella condotta come concertata, proprio perché gli algoritmi in questione, non essendo programmati per realizzare o tentare di realizzare condotte collusive, possono portare a un qualunque esito di mercato (competitivo, collusivo, semi-collusivo), a seconda di ciò che, di volta in volta, meglio realizza l’interesse della impresa.
In tal senso, gli algoritmi sembrano in fondo mimare il comportamento degli individui che, in contesti oligopolistici, definiscono le strategie di prezzo delle imprese: essi esaminano il contesto di mercato, osservano il prezzo praticato dai concorrenti, definiscono una propria linea strategica e, nel caso, la modificano, tenendo conto della condotta altrui, con esiti ora concorrenziali, ora collusivi.
E proprio l’evidente analogia con le dinamiche collusive che possono sorgere in mercati oligopolistici potrebbe giustificare l’estensione, a questa forma di collusione algoritmica, delle strategie di enforcement antitrust formulate per le collusioni tacite in senso classico.
In particolare, l’esperienza applicativa maturata rispetto al problema dell’oligopolio sembra suggerire che il punto di maggiore debolezza dell’intervento antitrust, nel contesto dell’art. 101, risiede proprio nell’adozione di una nozione rigida, e storicamente condizionata, di pratica concordata, fattispecie che è descritta nella giurisprudenza europea come una forma “minore” di accordo – un accordo non formalizzato, forse meno vincolante, meno pervasivo, meno evidente, ma pur sempre un accordo, il cui accertamento non può, perciò, prescindere dalla prova di un meeting of minds, di un incontro di volontà; dal divieto di intesa rimarrebbe, invece, escluso il coordinamento di condotte non assistito da quel supporto probatorio, giacché – si sottolinea – quel divieto non priva gli operatori economici della facoltà di adattamento razionale alle condizioni di mercato [52]. È un orientamento che, in fondo, esprime una concezione unitaria, in chiave sostanzialmente contrattualistica, della fattispecie di intesa.
Al carattere necessariamente cosciente o volontario del coordinamento sussumibile nel divieto di intesa, si contrappone(va) il carattere oggettivo della nozione di abuso, riferito invece al mero comportamento dell’impresa, a prescindere dal carattere negligente o doloso dello stesso [53].
Questo assetto che, come si diceva, ha condotto a un generale under-enforcement antitrust – proprio per la difficoltà di dimostrare l’esistenza di una strategia comune, di tipo collusivo, sottostante a meri comportamenti paralleli dall’effetto cartellistico – potrebbe forse essere superato con un’interpretazione evolutiva della norma, che ridefinisca la nozione di pratica concordata, emancipandola dalla connotazione contrattualistica tradizionale.
Ciò che si propone è un inquadramento su basi oggettive della nozione di pratica concordata, che valorizzi il dato della condotta e che qualifichi il fattore soggettivo del meeting of minds non già come elemento propriamente costitutivo della fattispecie di illecito, ma piuttosto come fattore aggravante la responsabilità antitrust.
Entro questa cornice, il nucleo minimo della fattispecie di pratica concordata, cui ancorare l’accertamento dell’infrazione, consterebbe degli elementi – oggettivi – di condotta coordinata e di effetti restrittivi della concorrenza; il fattore soggettivo, di natura eventuale, varrebbe a connotare quel coordinamento come cosciente, se non addirittura come volontario, e per questo a legittimare l’imposizione non solo di misure inibitorie, ma anche di sanzioni [54].
Diversi argomenti possono essere addotti in supporto di questa proposta interpretativa.
Un primo argomento è di natura letterale. Il testo del Trattato non impone affatto di considerare la pratica concordata come forma minore di accordo, né impone una concezione contrattualistica e unitaria del divieto di intesa; tale concezione è frutto, come si diceva, di una giurisprudenza piuttosto risalente e condizionata dalla visione, allora prevalente in dottrina, di pratica concordata [55]. Essa non costituisce, però, l’unica interpretazione compatibile con il testo della norma, che, al contrario, presenta una formulazione piuttosto ampia, con il ricorso a concetti giuridici indeterminati, e che si presterebbe, quindi, a interpretazioni diverse, anche più estensive.
C’è poi un argomento teleologico. L’intenzione del legislatore storico era quella di vietare, nella norma sulle intese, tutte le condotte di tipo cartellistico, comunque realizzate – cioè, non necessariamente quelle propriamente qualificabili come accordo [56]; da qui l’inserimento, nel testo del Trattato, della nozione di “pratica concordata”, mutuata dall’ordinamento francese [57]. Un’interpretazione più elastica della nozione di pratica concordata, in grado di cogliere il fenomeno dell’allineamento non concertato, apparrebbe quindi (più) coerente con le finalità della norma.
Peraltro, un’interpretazione sostanzialmente estensiva del divieto di pratica concordata, fino a coprire il coordinamento non concertato, non sarebbe ostacolata, in Europa, dalla natura delle norme antitrust, le quali si connotano come norme di tipo amministrativo [58], e quindi non incorrono nei limiti interpretativi propri delle norme penali – limiti che potrebbero invece condizionare l’interpretazione delle omologhe disposizioni americane.
Sul piano dell’enforcement antitrust in senso stretto, bisogna considerare, poi, che in assenza di indizi di concertazione, dai quali si possa dedurre il tenore consapevole o volontario dell’allineamento, sarebbe precluso un intervento sanzionatorio, giacché l’imposizione di sanzioni richiede, in ogni caso, almeno prova di una condotta colposa [59]. Tuttavia, ciò non esclude che l’istruttoria possa essere conclusa con accertamento dell’infrazione e con l’imposizione di misure inibitorie, semplici, o corredate di prescrizioni comportamentali e strutturali.
Si tratterebbe certamente di una reazione parziale, sul piano del public enforcement; essa, tuttavia, rappresenterebbe un avanzamento rispetto allo scenario di unenforcement, che si è manifestato finora rispetto alla collusione tacita oligopolistica e che rischia di profilarsi anche con riguardo alla collusione algoritmica. Peraltro, una reazione antitrust di questo tenore genererebbe comunque effetti positivi diretti di non trascurabile importanza, in termini di interruzione della condotta e contenimento del rischio di reiterazione dell’illecito; e potrebbe generare anche importanti effetti indiretti, sul piano del private enforcement, grazie al sistema di facilitazioni probatorie introdotte dalla Direttiva 2014/104 [60].
La proposta va quindi nel senso di una interpretazione “oggettivizzata” della nozione di pratica concordata, resa possibile dalla formulazione indeterminata della norma, coerente con le finalità repressive delle condotte coordinate che la stessa persegue, compatibile con la natura amministrativa delle norme antitrust e rispettosa del principio di proporzionalità. Si giungerebbe, così, con un processo di interpretazione evolutiva non ignoto al diritto antitrust [61], a una più ampia applicazione del divieto di pratica concordata, che consentirebbe di adattare i divieti antitrust all’evoluzione del contesto economico-sociale in cui essi trovano applicazione e, per tale via, di preservarne l’efficacia.
Se si aderisse a questa proposta interpretativa, le autorità potrebbero riscontrare l’esistenza di una pratica concordata già in presenza di condotte parallele distorsive della concorrenza, realizzate dall’algoritmo di cui si avvale l’impresa per definire le proprie strategie di prezzo, e intervenire con un provvedimento di accertamento dell’infrazione e di imposizione di rimedi inibitori.
Soluzioni di questo tipo, quando formulate con riguardo alle forme “classiche” di collusione tacita, non hanno avuto significativa attuazione, probabilmente perché resiste il convincimento che le collusioni tra individui, in fondo, non siano mai genuinamente tacite [62]. Nel contesto della collusione algoritmica questo scetticismo potrebbe forse essere più agevolmente superato: dell’interazione tra algoritmi probabilmente rimane una traccia più chiara [63], cosicché quella condotta potrebbe essere più facilmente decodificata, magari con l’ausilio di algoritmi simili [64], e replicata, così da dimostrare ex post che la condotta osservata è stata effettivamente realizzata in modo autonomo, individuale e non concertato.
Anche l’aspettativa di una più ampia diffusione del fenomeno, ben oltre i confini degli oligopoli ristretti, potrebbe stimolare in questo ambito una più vigorosa risposa antitrust, con gli strumenti di enforcement già a disposizione delle autorità.
Tuttavia, perché la soluzione prospettata possa trovare applicazione, nel contesto della collusione algoritmica è necessario un passaggio ulteriore, e cioè che si ammetta – date le caratteristiche proprie dell’algoritmo, che, in questo caso, è in grado di definire la propria condotta con processi decisionali autonomi e dall’esito non prevedibile – che la responsabilità antitrust dell’impresa sorge per il fatto stesso di avvalersi di un algoritmo di prezzo in grado di operare nel senso descritto; uno standard più elevato, che collegasse la responsabilità dell’impresa alla ragionevole prevedibilità di emersione di esiti collusivi, impedirebbe un efficace intervento antitrust proprio rispetto a queste forme, più sofisticate, di allineamento algoritmico.
Una ulteriore strategia di enforcement antitrust, ipotizzabile con riferimento al fenomeno della collusione tacita algoritmica, consiste nell’applicazione dell’art. 102, qualificando la condotta parallela realizzata dagli algoritmi come abuso di posizione dominante collettiva.
La proposta, formulata dalla Monopolkommission nel documento del 2018, intenderebbe sopperire alle difficoltà di intervento via art. 101, rispetto a quelle condotte parallele per le quali non vi sia evidenza di un mutual understanding tra le imprese coinvolte.
Secondo questa impostazione, gli algoritmi potrebbero essere considerati alla stregua di fattori di raccordo tra le imprese, quei fattori che la giurisprudenza europea ritiene essenziali per la creazione una posizione dominante congiunta tra imprese indipendenti [65]. Cosicché, ove le condotte parallele siano riferibili a più imprese che adottano algoritmi intelligenti di prezzo, e tali imprese, congiuntamente considerate, detengano un certo potere di mercato, allora si potrebbe qualificare la posizione delle stesse in termini di dominanza collettiva e l’eventuale condotta distorsiva come abuso [66].
La proposta di applicazione dell’art. 102 a fenomeni di tipo collusivo, a fronte della difficoltà di intervento con la norma in materia di intese, costituisce un dato acquisito da tempo nella giurisprudenza europea, ancorché privo di un riscontro diretto nella casistica, giacché il divieto di abuso di posizione dominante collettiva continua ad essere applicato nei soli casi in cui vi sia anche prova di pratica concordata, e quindi congiuntamente, e non alternativamente, all’art. 101 [67].
Anche con riguardo ai fenomeni di collusione algoritmica, emerge in effetti un’interferenza tra i due divieti – tanto nel caso di collusione facilitata, quanto nel caso di collusione attuata da algoritmi – sulla base però di una specifica premessa. Vi è un elemento di continuità tra le due fattispecie (abusi di posizione dominante e intese), non sempre reso esplicito; tale elemento è rappresentato dal potere di mercato, che è componente espressa dell’abuso di posizione dominante (considerato anche che, nelle elaborazioni più recenti, si tende a interpretare la dominanza non tanto come indipendenza di comportamento, quanto piuttosto come potere di incidere in modo significativo sulle dinamiche concorrenziali, e quindi come potere di mercato) ed è componente implicita, ma non meno essenziale, nei fenomeni di intesa, la cui rilevanza antitrust, specialmente nell’ambito di un enforcement c.d. effects-based, è connessa all’effettiva possibilità di alterazione del corretto funzionamento del mercato, attitudine che richiede, per sua stessa natura, l’esercizio di un certo potere di mercato [68].
Muovendo da questa premessa, si può sostenere che, nel caso di collusione facilitata da algoritmi, l’uso in parallelo di algoritmi programmati per colludere opererà senz’altro come fattore di raccordo strategico tra imprese indipendenti, fornendo anche prova – per le caratteristiche stesse degli algoritmi adottati – del tenore concertato dell’allineamento. In tal caso, dunque, si potrà avere prova di un potere di mercato congiunto, di un effetto restrittivo, nonché del carattere consapevole, e quindi colpevole, della condotta; di conseguenza, sarà possibile un public enforcement pieno, con imposizione di sanzioni, basato tanto sull’art. 101 (come illecita pratica concordata) quanto sull’art. 102 (come abuso di posizione dominante collettiva).
Egualmente, nel caso di collusione tacita realizzata da algoritmi, questi potranno essere considerati alla stregua di un fattore di raccordo tra le imprese, funzionale alla creazione di una posizione dominante congiunta [69]; e anzi, creeranno tra le imprese una rete di raccordo ben più solida e più ampia di quella data, nel caso di oligopoli, dalla struttura del mercato, consentendo probabilmente di estendere l’ambito della dominanza collettiva oltre gli scenari tipici [70].
Tuttavia, a differenza del primo caso, le caratteristiche stesse degli algoritmi (progettati per realizzare condotte individuali di massimizzazione del profitto e non comunicanti tra loro) impediranno di ricavare prova di concertazione. Mancherebbe, cioè, in ogni caso quella prova di colpevolezza, essenziale – per le ragioni che si illustravano sopra – per intervenire con provvedimenti di tipo sanzionatorio, cosicché l’intervento antitrust non potrebbe che limitarsi ad accertare l’infrazione e a imporre di misure rimediali. Tuttavia, la possibilità di un intervento parziale, non esteso alla componente sanzionatoria, in quanto non assistito da prova di fattori soggettivi, potrebbe incontrare, nel caso di abusi, minori resistenze rispetto a quelle che possono emergere nel contesto delle intese restrittive, essendo consolidata nella giurisprudenza europea l’idea che l’abuso sia di per sé una nozione obiettiva.
Seguendo questa impostazione, si giungerebbe, dunque, al medesimo risultato (in termini di imputazione dell’infrazione e conseguenze della violazione antitrust) che consegue alla proposta di interpretazione oggettiva della nozione di pratica concordata; emerge così, ancora una volta, un’area di evidente interferenza tra le due fattispecie di divieto antitrust [71].
Probabilmente, però, l’inquadramento della condotta nella fattispecie di pratica concordata presenterebbe qualche vantaggio aggiuntivo, tanto nel contesto dell’istruttoria antitrust, giacché certe condotte (i c.d. hard-core restraints), se inquadrate nel divieto di intesa, risulterebbero vietate per oggetto, e quindi assistite dalla presunzione semplice di effetto restrittivo [72], quanto sul piano del private enforcement, per via delle facilitazioni probatorie che la Direttiva 104/2014 introduce in materia di intese restrittive – tra cui, la presunzione di danno [73].
[1] Cfr. US District Court, Northern District of California, San Francisco Division, United States v. Topkins, 6 aprile 2015, n. CR 15-201; e US District Court, Northern District of California, San Francisco Division, United States v. Trod, 11 agosto 2016, n. CR 15-419 WHO. La condotta è stata qualificata come «combination and conspiracy» in violazione della Sect. 1 dello Sherman Act.
[2] Cfr. Competition and Market Authority, case 50223 – Online sales of posters and frames, 12 agosto 2016 (Rn. 3.62 f.).
[3] V. Commissione UE, press release 24 aprile 2018 (Antitrust: Commission fines four consumer electronics manufacturers for fixing online resale prices. Asus, Denon, Marantz, Philips e Pioneer). Si trattava, nello specifico, di una rete parallela di accordi di retail price maintenance, con i quali i produttori limitavano la possibilità dei rivenditori online di praticare sconti nella vendita di beni elettronici di largo consumo; per verificare il rispetto dell’accordo, erano adottati algoritmi in grado di monitorare in modo continuo l’andamento dei prezzi e di segnalare le eventuali deviazioni. A rafforzare l’apparato probatorio ha contribuito l’evidenza di comunicazioni scritte, con le quali le imprese coinvolte convenivano di adottare una certa strategia e definivano le conseguenze del mancato rispetto degli accordi: così, C.P. O’CANE, I. KOKKORIS, A few reflections on the recent caselaw on algorithmic collusion, 2018 (disponibile al seguente link: https://ssrn.com/abstract=3665966), 4.
[4] Corte Giust. C-74/14, 21 gennaio 2016, Eturas et al. c. Comm., ECLI:EU:C:2016:42: diverse agenzie di viaggio lituane, che si avvalevano di una stessa piattaforma per gestire il servizio di booking online, hanno ricevuto un messaggio dall’amministratore del sistema, il quale proponeva di adottare, nel software di prezzo già in uso, una modifica che limitasse la possibilità di operare sconti per importi superiori al 3%.
[5] Così, tra i primi, United States District Court Southern District of New York (S.D.N.Y.), Meyer v. Kalanick, 31 marzo 2016, 15 Civ. 9796.
[6] Sul punto, v. da ultimo, J.E. HARRINGTON JR., Third Party Price Algorithms and the Intensity of Competition, 2020 (working paper disponibile al link: https://ase.uva.nl/content/
events/conferences/2020/12/algorithmic-collusion-working-mechanisms.html). Il potenziale anticoncorrenziale degli algoritmi, combinato con la disponibilità di big data, nelle condotte di tipo “hub & spoke”, è riconosciuto anche dalle autorità antitrust: cfr. Competition and Market Authority, Pricing Algorithms. Economic working paper on the use of pricing algorithms to facilitate collusion and personalized pricing, 8 agosto 2018 (al link: https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/746353/Algorithms
_econ_report.pdf), 26-27; nonché Monopolkommission, Algorithms and Collusion. Excerpt from Chapter 1 of the Twenty-second Biennial Report by the Monopolies Commission (Monopolkommission) in accordance with Section 44 Paragraph 1 Sentence 1 of the German Act against Restraints of Competition (Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen – GWB), 2018 (reperibile al link: https://monopolkommission.de/images/HG22/Main_Report_
XXII_Algorithms_and_Collusion.pdf), 23.
Di tale condotta si ha traccia, oltre che nei casi sopra menzionati, anche in altri, già segnalati nella letteratura economica, ma ancora non sottoposti al vaglio antitrust. Il riferimento è, in particolare, al ricorso congiunto ai servizi di fissazione del prezzo di rivendita al dettaglio del carburante nel mercato tedesco, offerti da una compagnia specializzata, condotta che avrebbe determinato movimenti paralleli di prezzo e un generale incremento nel prezzo di vendita dei carburanti: cfr. sul punto S. ASSAD, R. CLARK, D. ERSHOV, L. XU, Algorithmic Pricing and Competition: Empirical Evidence from the German Retail Gasoline Market, Cesifo Working Papers n. 8521, 2020 (al link: https://ssrn.com/abstract=3682021).
[7] I casi sopra riportati, per quanto corrispondenti alle ipotesi più semplici di collusione algoritmica, presentano un maggiore livello di sofisticazione rispetto ai primi, rudimentali esperimenti di adozione di algoritmi di prezzo nelle vendite on line. Uno dei più noti ha riguardato la vendita su Amazon di un libro (P. LAWRENCE, The making of a fly) da parte di due operatori, i quali avevano deciso di avvalersi di algoritmi di prezzo, progettati per realizzare incrementi automatici (di circa il 27%) rispetto al prezzo del rivale. L’attivazione dei due software ha innescato un sistema di incrementi a spirale che ha portato, nel giro di qualche giorno, a definire un prezzo di vendita di circa 23 milioni di dollari a copia. L’episodio, che risale al 2011 e che ha ormai rilievo puramente aneddotico, non rappresentando più, per i suoi effetti macroscopici, un realistico scenario di collusione algoritmica, è riportato, tra gli altri, da B. SALCEDO, Price Algorithms and Tacit Collusion, Pennsylvania State University Working paper 2015 (reperibile al seguente link: http://brunosalcedo.com/docs/collusion.pdf), 2.
[8] Del frequente ricorso a offerte personalizzate nelle vendite on line di certi beni (tra cui, per es., biglietti aerei, prenotazioni alberghiere, ma anche scarpe da ginnastica e televisori) si dà conto nel Consumer Market Study on Online Market Segmentation Through Personalised Pricing/Offers in the European Union – Final Report, pubblicato il 25 settembre 2018 (al link: https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/ed9ce056-c2cf-11e8-9424-01aa75ed71a1/
language-en/format-PDF).
[9] Il rischio di discriminazione di prezzo, associata all’uso degli algoritmi, è un punto piuttosto pacifico in dottrina: v. tra gli altri, T. MCSWEENY, B. O’DEA, The Implications of Algorithmic Pricing for Coordinated Effects analysis and price discrimination markets in antitrust enforcement, 32 Antitrust – Fall 2017, 75 ss.; M. GAL, Algorithmic-facilitated Collusion, OECD Roundtable on Algorithmic Collusion, 21-23 giugno 2017 (https://one.oecd.org/document/
DAF/COMP/WD%282017%2926/en/pdf); A. GAUITER, A. ITTOO, P. VAN CLEYNENBREUGEL, AI Algorithms, Price Discrimination and Collusion: a Technological, Economic and Legal Perspective, in EU Jour. L. & Econ., 2020, 3 ss.
[10] Così, tra gli altri, A. DENG, What do we know about algorithmic tacit collusion?, 33 Antitrust, Fall 2018, 88 ss. e spec. 93; nonché A. EZRACHI, M. STUCKE, Algorithmic collusion: Problems and Counter-measures, OECD Roundtable on Algorithmic Collusion, 21-23 giugno 2017 (https://www.oecd.org/officialdocuments/publicdisplaydocumentpdf/?cote=DAF/COMP/
WD%282017%2925&docLanguage=En), 15.
[11] Nella letteratura economica, v. tra gli altri, J.E. HARRINGTON, Developing Competition Law for Collusion by Autonomous Artificial Agent, in 14 Jour. Comp. L. & Econ., 2018, 331 ss.; U. SCHWALBE, Algorithms, Machine Learning and Collusion, in 14 Jour. Comp. L. & Econ., 2018, 568 ss.
Il rischio è diffusamente rimarcato anche nella letteratura giuridica: v., tra i tanti, A. EZRACHI, M.E. STUCKE, Sustainable and Unchallenged Algorithmic Collusion, in 17 Northwestern J. Tech. Intell. Property, 2020, 217 ss.; e, diffusamente, M.S. GAL, Algorithms as illegal agreements, in 34 Berkeley Tech. L. Jour. 2019, 67 ss; nonché G. GURKAYNAK, C. CAN, S. UGUR, Algorithmic collusion: fear of unknown or too smart to catch?, in D.S. EVANS, A. FELS AO, C. TUCKER (eds.), The evolution of antitrust in the digital era: Essays on competition policy, vol. I, Competition Policy international, 2020, 199; e C.P. O’CANE, I. KOKKORIS, (nt. 3), 5.
Del rischio sembrano aver preso atto anche le autorità antitrust: si vedano, tra le prime, le dichiarazioni di M. VESTAGER, Algorithms and competition, Speech at Bundeskartellmt 18th Conference on Competition, Berlino, 16 marzo 2017 (al link: https://wayback.archive-it.org/12090/20191129221651/https://ec.europa.eu/commission/commissioners/2014-2019/vestager/
announcements/bundeskartellamt-18th-conference-competition-berlin-16-march-2017_en) e del FCT Commissioner T. MCSWEENY, Algorithms and coordinated effects, 2017 (https://www.ftc.gov/system/files/documents/public_statements/1220673/mcsweeny_-_oxford_cclp_
remarks_-_algorithms_and_coordinated_effects_5-22-17.pdf).
[12] Per una descrizione, in termini economici, delle dinamiche collusive, v. tra gli altri, M. MOTTA, Competition Policy. Theory and Practice, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, 137-142.
[13] È il caso, per es., delle tariffe dei biglietti aerei, che si compongono di diverse voci, tra cui di solito una tariffa base, un supplemento carburante ed eventuali tasse. Proprio in questo contesto sono stati osservati fenomeni di allineamento del prezzo sulla componente del supplemento carburante, che rimaneva stabile nel tempo, nonostante le oscillazioni nel prezzo del petrolio, e di vivace concorrenza nella fissazione della tariffa-base: così nei casi (conclusi tutti con pleading agreements), United States of America v. British Airways, Criminal n. 07-183 JDB (District Court of Columbia, 23 agosto 2007); United States of America v. Korean Air Lines, Criminal n. 07-184 JDB (District Court of Columbia, 1 agosto 2007); United States of America v. Qantas Airlines, Criminal n. 07-322 JDB (District Court of Columbia, 14 gennaio 2008). I casi sono riportati e annotati da D. APPEL, Air Cargo Fuel Surcharge and Tacit Collusion under the Sherman Act. What Good is Catching a Few Bad Guys if Consumers still Get Robbed?, in 73 Jour. Air Law & Comm., 2008, 375 ss.
[14] Le strategie collusive, come è noto, possono non presentarsi in forma pura – ossia come condotte di cooperazione su ogni dimensione dell’azione di mercato delle imprese; al contrario, è frequente che le imprese decidano di realizzare strategie miste, in parte competitive e in parte collusive. Tali strategie, già descritte nella letteratura economica più risalente (v. J. BAIN, Industrial Organization, Hoboken, John Wiley and Sons, 1959, 270 ss.), sono state efficacemente sintetizzate con l’espressione co-opetition: così, per primi, A.M. BRANDENBURGER, B.J. NALEBUFF, nell’omonimo libro, pubblicato nel 1996 per Currency Doubleday, New York.
L’impatto di mercato delle strategie “semi-collusive” è di per sé piuttosto imprevedibile: i vantaggi complessivi, per consumatori e imprese, derivanti dall’adozione di strategie “miste” potrebbero risultare persino maggiori di quelli derivanti da dinamiche concorrenziali pure: così, tra gli altri F. PEZZANI, La Competizione Collaborativa – Ricostruire il capitale sociale ed economico, Milano, EGEA – Università Bocconi, 2011; A. BROD, R. SHIVAKUMAR, Advantageous Semi-collusion, in 47 Int.l J. Industrial Organ., 1999, 221 ss. D’altra parte, proprio l’aspettativa di effetti positivi derivanti dalla cooperazione tra imprese concorrenti sembra giustificare il regime antitrust, nettamente più permissivo, riservato ad alcune forme di accordi di cooperazione: v. Linee-guida sull’applicabilità dell’art. 101 TFUE agli accordi di cooperazione orizzontale tra imprese, [2011] GUUE C-11/1-72; e, più di recente, in risposta all’emergenza pandemica, v. Comunicazione della Commissione. Quadro temporaneo per la valutazione delle questioni in materia antitrust relative alla cooperazione tra imprese volte a rispondere alle situazioni di emergenza causate dall’attuale pandemia di Covid-19, [2020] GUUE C-116/1-7.
Per altro verso, la possibilità che l’adozione di strategie semi-collusive porti a effetti anticoncorrenziali netti è stata accertata in diverse istruttorie antitrust: tra gli altri, v. Trib. Primo Grado, 30 settembre 2003, T-191,212-214/98, Atlantic Container Line AB e altri c. Commissione, ECLI:EU:T:2003:245; Trib. Primo Grado, 6 giugno 2002, T-342/99, Airtours plc c. Commissione, ECLI:EU:T:2002:146.
[15] Per una descrizione delle modalità di funzionamento di tali algoritmi, v. A. DESCAMPS, T. KLEIN, G. SHIER, Algorithms and comepetition: the latest theory and evidence, in 20 Competition L. Jour., 2021, 33 ss.
[16] Il fenomeno è descritto in numerosi contributi: v., oltre a quelli citati nelle nt. 11 e 15, anche E. CALVANO, G. CALZOLARI, V. DENICOLÒ, Artificial Intelligence, Algorithmic Pricing and Collusion, in 110 American Economic Rev., 2020, 3267-3297 (ove anche una review della letteratura economica in materia).
[17] Tra tutti, v. S. MARTIN, Competition Policy Collusion and Tacit Collusion, in 24 Inter. Jour. Industrial Organization, 1301 ss.; R.A. POSNER, Review of Kaplow, Competition Policy and Price Fixing, in 79 Antitrust L. Journ., 2014, 761 ss.
[18] Cfr. K.U. KÜHN, S. TADELIS, Algorithmic collusion, Cresse, 2017 (al link https://www.
ebos.com.cy/cresse2013/uploadfiles/2017_sps5_pr2.pdf): esiti collusivi sono improbabili – si sostiene – in assenza di comunicazioni, tra individui (ribadendo quanto già espresso, con riguardo alle forme tradizionali di collusione oligopolistica, in K.U. KÜHN, Fighting Collusion. Regulation of Communication beterrn Firms, in 16 Econ. Policy, 2001, 169-204) come tra algoritmi; peraltro, gli algoritmi lascerebbero inevitabilmente traccia del loro scambio di informazioni, tracce che potrebbero essere rinvenute dalla autorità forse più agevolmente di quanto non avvenga per gli scambi di informazioni tra individui; quindi, un’ipotetica collusione realizzata da algoritmi non costituirebbe una particolare sfida di enforcement per le autorità antitrust. In senso analogo, U. SCHWALBE, (nt. 11), 568 ss., ribadendo la necessità di comunicazioni dirette tra gli algoritmi e sottolineando che le dinamiche collusive, frutto di allineamento spontaneo, sarebbero piuttosto improbabili, se non irrealistiche.
[19] «[T]he idea of automated systems getting together and reaching a meeting of minds is still science fictions»: così M. VESTAGER, (nt. 11).
[20] Cfr. A. EZRACHI, M.E. STUCKE, Sustainable and Unchallenged, (nt. 11), 220; M.S. GAL, Algorithms as illegal agreements, (nt. 11), 79-81; C.P. O’CANE, I. KOKKORIS, (nt. 3), 4.
[21] Cfr. F. BENEKE, M.O. MACKERODT, Remedies for algorithmic tacit collusion, in Jour. Antitrust Enforcement, 2020, 1-3.
[22] Così, J.E. HARRINGTON, Developing Competition, (nt. 11), 331 ss.
[23] E. CALVANO, G. CALZOLARI, V. DENICOLÒ, (nt. 16), 3267-3297. Gli aa. riferiscono di aver adottato algoritmi relativamente semplici, non programmati per colludere, privi di conoscenze pregresse circa i concorrenti o l’ambiente di mercato nel quale operano e non in grado di comunicare tra loro.
[24] Nella letteratura economica si ritiene che il fenomeno della collusione tacita, finora studiato in un contesto di interazione “reale” tra individui, richieda la presenza di specifiche condizioni: un numero ridotto di operatori e un certo grado di trasparenza del mercato, cosicché ciascuno degli operatori lì attivi sia in grado di osservare la condotta altrui, per adeguarsi alla stessa o per suggerirne variazioni (per es., di un incremento di prezzo realizzato da una delle imprese e mimato anche dalle altre), per controllare la persistenza dell’allineamento di condotte e reagire a eventuali defezioni. Altra condizione, rilevante ancorché non essenziale, è ravvisata nella simmetria (in termini di dimensione, struttura organizzativa interna, prospettive di crescita, capacità produttive, etc.) tra le imprese, che rende più semplice l’identificazione di una strategia collusiva comune, che risulti conveniente per tutti i soggetti coinvolti. In materia, v. tra gli altri, M. MOTTA, (nt. 12), 142-148.
[25] Cfr. EUROPEAN UNION, Algorithms and collusion. Notes from the European Union – 127th OECD Competition Committee, 21-23 giugno 2017 (https://one.oecd.org/document/
DAF/COMP/WD(2017)12/en/pdf); MONOPOLKOMMISSION, Algorithms and Collusion, cit., 9. In entrambi i casi, le autorità non escludevano che gli algoritmi potessero avere un ruolo attivo nella costruzione di equilibri collusivi e, anzi, sottolineavano la necessità di un monitoraggio attento dei settori più esposti, anche ricorrendo allo strumento delle indagini di settore.
[26] Il rischio è già stato evidenziato dalla MONOPOLKOMMISSION, Algorithms and Collusion, cit., 9-10.
[27] Report from the Commission to the Council and the European Parliament – Final Report on the E-Commerce sector inquiry, Commission Staff Working Document, SWD (2017) 154 Final, 10 maggio 2017, § 149.
[28] Cfr. OECD, Algorithms and Collusion. Competition Policy in the digital age, 2017, 43 ss.
[29] Così, A. EZRACHI, M. STUCKE, Algorithmic collusion, (nt. 10), 28 ss.
[30] Per riferimenti v. ancora OECD, Algorithms and Collusion, (nt. 28), 50.
[31] M. GAL, N. ELKIN-KORE, Algorithmic consumers, 30 Harv. J. law & tech., 2017, 313 ss.
[32] Cfr. OECD, Algorithms and Collusion, (nt. 28), 44 ss.
[33] MONOPOLKOMMISSION, Algorithms and Collusion, cit., 13.
[34] Di questo limite sembrano consapevoli le autorità antitrust quando, pur sottolineando l’importanza di un intervento antitrust, discutono criticamente l’efficacia degli strumenti oggi in uso: cfr. FCT Commissioner T. MCSWEENY, (nt. 11), cit.; FTC Commissioner M. OHLHAUSEN, Should We Fear The Things That Go Beep In the Night? Some Initial Thoughts on the Intersection of Antitrust Law and Algorithmic Pricing, 2017 (al link: https://www.ftc.gov/
system/files/documents/public_statements/1220893/ohlhausen_-_concurrences_5-23-17.pdf); EU COMMISSION, White Paper on Artificial Intelligence – A European Approach to Excellence and Trust, COM(2020) 65 final, 19 febbraio 2020 (https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/
commission-white-paper-artificial-intelligence-feb2020_en.pdf); ma v. anche il report della Competition and Market Authority, Pricing Algorithms. Economic working paper on the use of pricing algorithms to facilitate collusion and personalized pricing, 8 ottobre 2018 (https://
assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/746
353/Algorithms_econ_report.pdf); nonché Autorité de la concurrence e Bundeskartellamt, Algorithms and Competition – Joint Working Paper, 6 novembre 2019 (https://www.bunde
skartellamt.de/SharedDocs/Publikation/EN/Berichte/Algorithms_and_Competition_Working-Paper.html;jsessionid=0F7B8EE6B4B306DEEA27CF99F85600C1.2_cid381?nn=3591568); e Autoridade da Concorrência, The AdC warns that using algorithms to coordinate market prices is incompatible with the Portuguese Competition Law, 1 luglio 2019 (http://www.concorrencia.pt/
vEN/News_Events/Comunicados/Pages/PressRelease_201911.aspx).
[35] «As competition enforcers, I think we need to make it very clear that companies can’t escape responsibility for collusion by hiding behind a computer program»: così, M. VESTAGER, (nt. 11).
[36] Così espressamente M. GAL, Algorithmic-facilitated collusion, (nt. 9), 25.
[37] Così, FTC Commissioner M. OHLHAUSEN, (nt. 34). Anche in dottrina non si dubita che la condotta anticoncorrenziale materialmente compiuta dall’algoritmo sia imputabile all’impresa, e ciò anche nell’ipotesi di algoritmi intelligenti di tipo self-learning: per un’approfondita dimostrazione sul punto, v. soprattutto P. MANZINI, Algoritmi collusivi e diritto antitrust europeo, in Merc., conc., reg., 2019, 163 ss. e spec. 176 ss.
[38] È l’alternativa descritta, e presentata come oggetto di riflessione e dibattito, nel documento congiunto franco-tedesco (Autorité de la concurrence e Bundeskartellamt, Algorithms and Competition, cit., 4), nel quale non si esprime però una posizione chiara, ma si sostiene che lo standard di condotta potrebbe collocarsi in un punto intermedio tra i due. Anche in dottrina, si subita che la responsabilità dell’impresa possa predicarsi oltre i casi di ragionevole prevedibilità di risultati collusivi: sul punto, v. G. GURKAYNAK, C. CAN, S. UGUR, (nt. 11), 215, ove ulteriori riferimenti.
[39] Cfr. Corte Giust., 21 luglio 2016, C-542/14, VM Remonts et al., ECLI:EU:C:2016:578, §§ 25 ss.; Corte Giust., 22 ottobre 2015, C-194/14 P, AC-Treuhand c. Commissione, ECLI:EU:C:2015:717, §§ 26, 36; nonché, Competition Appeal Tribunal, 20 dicembre 2012, Tesco Stores Ltd c. Office of Fair Trading, [2012] CAT 31, §§ 57 ss.
[40] D’altra parte, del coinvolgimento attivo della piattaforma nella definizione delle politiche di prezzo delle imprese ivi attive si ha orami ampia evidenza nella casistica antitrust: cfr. Corte Giust. C-74/14, 21 gennaio 2016, Eturas et al. c. Commissione, cit., nonché i diversi casi nazionali relativi alla piattaforma booking.com, tra cui, Autorité de la Concurrence, 19-D-23, 10 dicembre 2019; Bundeskartellamt, B 9-121/13, 20 dicembre 2013, poi però annullata da Oberlandesgericht Düsseldorf, Kart 2/16 (V), 4 giugno 2019 (sul punto, si fa rinvio al report, pubblicato il 4 febbraio 2019 dal Bundeskartellamt, “Competition and Consumer Protection in the Digital Economy”: The effects of narrow price parity clauses on online sales – Investigation results from the Bundeskartellamt’s Booking proceeding, disponibile al seguente link: https://www.bundeskartellamt.de/SharedDocs/Publikation/EN/Schriftenreihe_Digitales_VII.pdf?__blob=publicationFile&v=3).
[41] Così, condivisibilmente, P. MANZINI, (nt. 37), 180.
[42] Si tratta di una soluzione generalmente accolta da quella dottrina che ritiene opportuno un intervento efficace e stringente contro questa forma di collusione: v., per un’ampia dimostrazione, M. GAL, Algorithms as illegal agreements, (nt. 11), 77 ss., 105 ss., sviluppando una tesi già illustrata in M. GAL, N. ELKIN-KORE, (nt. 31), 338; ma in senso analogo, v. A. Deng, (nt. 10), 93; G. GURKAYNAK, C. CAN, S. UGUR, (nt. 11), 215; A. EZRACHI, M.E. STUCKE, Sustainable and Unchallenged, (nt. 11), 240; nonché C.P. O’CANE, I. KOKKORIS, (nt. 3), 8 (sottolineando l’importanza di un intervento antitrust anche in funzione di deterrenza); P. MANZINI, (nt. 37), 272.
La possibilità di un intervento nel contesto della tesi classica dei “plus factors” sembra profilarsi anche nel documento della Monopolkommission del 2018, ove espressamente si presenta l’algoritmo come fattore facilitante la collusione (Monopolkommission, Algorithms and Collusion, cit., 8).
[43] Per tutti, R. WHISH, D. BAILEY, Competition Law, IX ed., Oxford University Press, Oxford, 2018, 104-109.
[44] Per riferimenti sul punto v., tra gli altri, F. GHEZZI, M. MAGGIOLINO, Bridging the EU Concerted Practices with the U.S. Concerted Actions, in Jour. Comp. L. & Econ., 2015, 650 ss.; W.H. PAGE, Objective and Subjective Theories of Concerted Actions, in 79 Antitrust L. Jour., 2013, 215 ss.
[45] A. EZRACHI, M.E. STUCKE, Sustainable and Unchallenged, (nt. 11), 240-241.
[46] Cfr. C.P. O’CANE, I. KOKKORIS, (nt. 3), 5; K.U. KUHN, S. TADELIS, Algorithmic collusion, cit.; A. EZRACHI, M.E. STUCKE, Sustainable and Unchallenged, (nt. 11), 250; A. GAUITER, A. ITTOO, P. VAN CLEYNENBREUGEL, (nt. 9), 16.
[47] Così, aderendo all’orientamento tradizionale, e ancora maggioritario anche in dottrina, rispetto al fenomeno della collusione tacita, M. GAL, Algorithms as illegal agreements, (nt. 11), 107 (con l’argomento ulteriore per cui non si potrebbe discriminare tra condotta umana, immune da responsabilità, e condotta algoritmica); A. EZRACHI, M. STUCKE, Algorithmic collusion, (nt. 10), 15; G. GURKAYNAK, C. CAN, S. UGUR, (nt. 11), 209-210 (raccomandando prudenza, a fronte di evidenze “non conclusive” circa la possibilità di collusione algoritmica genuinamente tacita). Ma anche le autorità antitrust, nei primi interventi in materia, ribadiscono la validità dell’approccio “classico”: v. EUROPEAN UNION, Algorithms and collusion. Notes from the European Union, cit., 7; T. MCSWEENY, (nt. 11).
[48] Così, ancora A. EZRACHI, M.E. STUCKE, Sustainable and Unchallenged, (nt. 11), 250; M. Gal, Algorithms as illegal agreements, (nt. 11), 105; nonché G. GURKAYNAK, C. CAN, S. UGUR, (nt. 11), 199.
[49] Cfr. M. GAL, Algorithms as illegal agreements, (nt. 11), 103.
[50] Così, per tutti, L. KAPLOW, Competition Policy and Price Fixing, Princeton, Princeton University Press, 2013, 125.
[51] Così F. BENEKE, M.O. MACKERODT, (nt. 21), 3.
[52] Corte Giust., 14 luglio 1972, C-48/69, Imperial Chemical Industries Ldt. c. Commissione, ECLI:EU:C:1972:70, §§ 64-65; Corte Giust. 16 dicembre 1975, cause riunite 40-48, 50, 54-56, 111, 113-114/73, Suiker Unie UA c. Commissione, ECLI:EU:C:1975:174, §§ 173-174. Si tratta di una formula risalente, ma ripresa in modo quasi tralaticio dalla giurisprudenza successiva: cfr. da ultimo, C. Generale, 12 luglio 2019, T-8/16, Toshiba Samsung Storage c. Commissione, ECLI:EU:T:2019:522, § 381.
[53] Corte Giust., 13 febbraio 1979, C-85/76, Hoffmann-La Roche & Co. AG c. Commissione, ECLI:EU:C:1979:36, § 91; anche tale nozione è rimasta invariata nel tempo: cfr. tra i più recenti, Corte Giust., C-307/18, Generics Ltd. et al. c. Commissione, ECLI:EU:C:2020:52, § 148.
[54] Per una più ampia analisi, mi permetto di rinviare a M. FILIPPELLI, Il problema dell’oligopolio nel diritto antitrust europeo: evoluzione, prospettive e implicazioni sistematiche, in Riv. soc., 2018, 587 ss., anche per ulteriori riferimenti; per una proposta di analogo tenore, relativa al diritto antitrust americano, v. L. KAPLOW, (nt. 50), 159-165.
[55] V. tra gli altri, G. GUGLIELMETTI, Le regole di concorrenza nel Trattato sul mercato comune: loro identificazione e disciplina, in Riv. dir. ind., 1958, I, 226-227; R. FRANCESCHELLI, Trattato di Diritto Industriale – Parte generale, vol. I, Milano, Giuffrè, 1973, 654.
[56] Così, tra tutti, C. HARDING, J. JOSHUA, Regulating Cartels in Europe2, Oxford, Oxford University Press, 2010, 129 ss.
[57] La nozione, com’è noto, era già inclusa nell’art. 59 bis della legge antitrust francese, allora vigente (Ordonnance n. 45-1483 del 30 giugno 1945): sul punto, v. X. DEROUX, D. VOILLEMOT, Le droit de la concurrence des Communautés Europeénes, Paris, Juridictionnaires Joly, 1969, 61.
[58] Così, per tutti, D.J. GERBER, Law and Competition in Twenthieth Century Europe. Protecting Prometheus, Oxford, Oxford University Press, 1998, 176-179.
[59] Cfr. art. 23, secondo comma, lett. a) del reg. n. 1/2003, riprendendo un principio già espresso nella giurisprudenza della Corte di Giustizia: sul punto, M. LIBERTINI, Diritto della concorrenza dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 2014, 420-421.
[60] V. E. TRULI, Will Its Provisions Serve Its Goals? Directive 2014/104/EU on Certain Rules Governing Actions for Damages for Competition Law Infringements, in 7 Jour. Eur. Comp. L. & Pract., 2016, 299 ss.
[61] Si consideri, al riguardo, l’evoluzione occorsa nella definizione della nozione di impresa, con la progressiva specificazione del carattere di necessaria indipendenza economica, e non solo giuridica, della stessa (cfr. sul punto, R. ROSSOLINI, La nozione di “impresa” secondo gli artt. 85 e 86 del Trattato di Roma e i suoi più recenti sviluppi, in Riv. dir. ind., 1974, I, 175 ss.); specificazione che ha portato, a sua volta, a significative variazioni nella nozione di gruppo, il quale ha assunto una connotazione sostanzialmente unitaria, con conseguente non applicazione del divieto di intesa ai fenomeni di coordinamento intra-gruppo (cfr. F. DENOZZA, La disciplina delle intese nei gruppi, Milano, Giuffrè, 1984) o ancora nella nozione di posizione dominante collettiva, non più intesa come la posizione dominante detenuta congiuntamente da imprese facenti parte dello stesso gruppo, ma come la posizione dominante detenuta congiuntamente da imprese indipendenti (cfr. M. FILIPPELLI, Collective Dominance and Collusion. Parallelism in Eu and US Competition Law, Cheltenham, Elgar, 2013, 85-87).
[62] Cfr. W.E. KOVACIC et al., Plus Factors and Agreements in Antitrust Law, in 110 Michigan L. Rev., 2012, 394 ss.
[63] V. supra, nt. 18.
[64] In tal senso, si sottolinea l’utilità degli algoritmi come strumento di indagine antitrust: v., tra gli altri, R.M. ABRANTES-METZ, A.D. METZ, Can Machine Learning Aid in Cartel Detection?, in Comp. Policy Intern., 2018, 3; nonché A. LAMONTANARO, Bounty Hunters for Algorithmic Cartels: an Old solution for a new problem, in 30 Fordham Intell. Prop. Media & Ent. L. J., 2020, 1265.
[65] Sin dalle prime sentenze in materia, emerge la necessità di dare prova della presenza di fattori di raccordo tra le imprese, tali da consentire l’allineamento strategico di soggetti tra di loro indipendenti, tanto sul piano giuridico, quanto su quello economico (cfr. Tribunale di Primo Grado, 10 marzo 1992, T-69, 77-78/89, Società Italiana Vetro e al. c. Commissione, ECLI:EU:T:1992:38, § 358); i giudici hanno poi specificato che la struttura stessa del mercato (oligopolistico, connotato da una fisiologica interdipendenze tra gli operatori) può operare come fattore legante (così, Corte Giust., 27 maggio 2000, C-395-396/96P, Compagnie Maritime Belge Transports SA et al. c. Commissione ECLI:EU:C:2000:132, § 45). Per un’analisi dell’evoluzione della giurisprudenza in materia, v. C. RIZZA, La posizione dominante collettiva nella giurisprudenza comunitaria, in Conc. mer., 2000, 509 ss.; S. STROUX, US and EC Oligopoly Control, Kluwer International, The Hague, 2004, 87 ss.; e M. FILIPPELLI, Collective dominance and collusion, (nt. 61), 92 ss.
[66] Così nel documento della MONOPOLKOMMISSION, Algorithms and Collusion, cit., 14-16.
Si tratterebbe, però, secondo la Monopolkommission, di un approccio non completamente risolutivo, non già – sembrerebbe – per la difficoltà di dimostrare la posizione dominante delle imprese coinvolte, quanto piuttosto per la difficoltà di connotare il prezzo come abusivo, poiché, nel caso di abusi, troverebbero applicazione criteri valutativi più stringenti rispetto a quelli applicati alle intese: nel primo caso, sarebbe richiesta la prova di un prezzo “unfair”, nel secondo caso, invece, sarebbe sufficiente l’evidenza di un prezzo parallelo. Quest’ultimo punto, tuttavia, non sembra avere un chiaro riscontro nella giurisprudenza europea, né appare coerente con l’adozione del metodo c.d. effects-based per la valutazione delle condotte antitrust, metodo che dovrebbe portare, anche nel caso di condotte parallele di prezzo, ad ancorare l’infrazione all’evidenza di effetti restrittivi, attuali o potenziali, e non alla mera forma che la condotta assume.
[67] V. M. FILIPPELLI, Il problema dell’oligopolio (nt. 54), 576 ss., 582.
[68] Per una più articolata argomentazione sul punto, e per riferimenti dottrinali, mi permetto di rinviare ancora a M. FILIPPELLI, Il problema dell’oligopolio (nt. 54), 606-609.
[69] Così, P. MANZINI, (nt. 37), 170 ss.
[70] Così, ancora P. MANZINI, (nt. 37), 173.
[71] L’interferenza è già emersa nella casistica antitrust relativa alla posizione dominante collettiva oligopolistica; in quel caso, i giudici hanno considerato la condotta coordinata come infrazione dell’art. 101 e allo stesso tempo dell’art. 102, applicando cumulativamente le due norme, ma hanno sempre imposto una sola sanzione, fondata ora sull’una, ora sull’altra norma, senza però chiarire le ragioni per cui, a fronte di una condotta evidentemente plurioffesiva, non si operasse un cumulo di sanzioni. La scelta sanzionatoria appare, invero, condivisibile sul piano della proporzionalità della reazione, giacché si è in presenza di un solo illecito sostanziale, ancorché sussumibile contemporaneamente in due distinte norme di divieto; né è possibile, adottando gli ordinari criteri di composizione delle antinomie e delle apparenti ridondanze, selezionare quale, tra le due previsioni, debba trovare applicazione nel caso di specie. Al contrario, deve ammettersi che, in ragione dell’evoluzione occorsa nella giurisprudenza in materia, si è venuta a determinare, almeno rispetto alle condotte plurilaterali, una sostanziale coincidenza tra le due norme, che investe i contenuti precettivi, la metodologia di valutazione e le conseguenze dell’infrazione. Sul punto, si veda più diffusamente, M. FILIPPELLI, Il problema dell’oligopolio (nt. 54), 567 ss., e spec. 599 ss.
[72] V. Comunicazione della Commissione, Linee direttrici sull’applicazione dell’art. 81, § 3, del Trattato, in GUCE, C-101/97, 27 aprile 2004, §§ 20-21; e, sull’interpretazione dell’illiceità per oggetto in termini di presunzione semplice di effetto restrittivo, v. tra gli altri, S. PELLERITI, L’art. 101 TFUE e la rule of reason europea. Nuovi spunti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Dir. comm. int., 2016, 290 ss.
[73] In materia mi permetto di rinviare a M. FILIPPELLI, Presumptions of Harms in Cartel Damages Cases, in 41 ECLR, 2020, 137 ss.