Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Il finanziamento degli enti del Terzo settore (di Andrea Perrone, Professore ordinario di diritto commerciale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)


Gli enti del Terzo settore (ETS) presentano una struttura dei ricavi fortemente influenzata dalle scelte operate dall’ordinamento. L’articolo discute criticamente le ragioni che giustificano le diverse previsioni contenute nella riforma del Terzo settore, con particolare attenzione alla funzione sociale assolta dagli ETS e alle conseguenti ricadute di disciplina. Un giudizio positivo sul modello adottato dalla riforma conclude la trattazione.

Third Sector financing

Third-sector organizations (TSOs) feature a revenue structure that is strongly influenced by lawmaker’s policy options. This paper discusses the rationales of the regulations on TSOs’ financing as introduced by the Third Sector’s reform, focusing on the social role played by TSOs and the related legal provisions. A positive evaluation of the model adopted by the reform concludes.

Keywords: Third-sector organizations – TSOs’ financing – financing – subsidiarity – fiscal law

Sommario/Summary:

1. Le risorse del Terzo settore. - 2. Struttura dei ricavi e disciplina giuridica. - 3. All’origine delle scelte normative. - 4. Le strategie adottate dalla riforma del Terzo settore. - 5. Il criterio di accesso al finanziamento “agevolato”. - 6. Un modello “misto”. - 7. Una valutazione finale. - NOTE


1. Le risorse del Terzo settore.

Gli enti del Terzo settore (d’ora in poi, “ETS”) presentano una struttura dei ricavi particolarmente complessa. Mentre, infatti, le imprese e lo Stato tendono a sostenersi mediante una singola fonte di entrate (rispettivamente: il corrispettivo per la cessione di beni e servizi e l’imposizione fiscale), gli ETS ricorrono a una pluralità di fonti di finanziamento. I ricavi degli ETS possono derivare, anzitutto, da fondi pubblici, che, a loro volta, assumono molteplici declinazioni: contributi previsti dalla legge in conformità a scelte generali di public policy (per esempio, agevolazioni fiscali; cinque per mille); contributi di singoli enti pubblici a supporto di specifiche attività (per esempio, grants per attività di ricerca); rimborsi per la prestazione di servizi pubblici resi a terzi (per esempio, rimborsi alle strutture convenzionate per servizi sanitari o socio-sanitari). Tradizionale fonte di ricavi sono, in secondo luogo, le donazioni private: donazioni di persone fisiche e imprese, raccolte fondi tra il pubblico, contributi a fondo perduto da parte di fondazioni erogatrici. Una terza fonte di ricavi è, poi, costituita da contributi in natura: beni (per esempio, immobili o collezioni di opere d’arte) e, soprattutto, il lavoro volontario. Non mancano, da ultimo, ricavi comparabili con quelli delle imprese, in particolare nelle forme di corrispettivi per l’attività prestata e rendimenti da investimenti [1]. Le fonti di ricavo così descritte sono spesso combinate tra loro secondo un mix specifico per le singole attività e i singoli contesti [2]. Così, per esempio, in Germania gli ETS che prestano servizi sociali si finanziano prevalentemente con fondi pubblici [3]; mentre, negli Stati Uniti, la Croce Rossa ha ricavi costituiti principalmente da donazioni private [4]. Al pari delle imprese e dello Stato, infine, gli ETS ricorrono al credito per far fronte a esigenze di liquidità.


2. Struttura dei ricavi e disciplina giuridica.

La struttura dei ricavi degli ETS è fortemente influenzata dalle scelte operate dalla legge. Del tutto ovvio è, anzitutto, che in uno Stato di diritto presupposti e modalità di erogazione dei fondi pubblici dipendano dalla legge. Ma anche il volume delle donazioni private è in parte determinato dal regime fiscale applicabile. Del pari, l’incidenza sul conto economico del corrispettivo per la prestazione di beni e servizi può essere modificata dalla decisione di applicare un regime tributario speciale in deroga alle norme di diritto comune [5]. Infine, il ricorso al credito può essere favorito dalla legge sul lato della domanda (per esempio, con forme pubbliche di garanzia) e sul lato dell’offerta (per esempio, defiscalizzando il reddito da interesse). In ragione della stretta connessione tra struttura dei ricavi, attività e contesto di riferimento, le scelte operate dalla legge hanno, pertanto, un rilevante effetto distributivo, incidendo, per conseguenza, sugli assetti organizzativi e sulle scelte operative degli ETS [6]: alcune attività possono essere agevolate rispetto ad altre; la dipendenza dallo Stato nell’identificazione dei fini istituzionali e delle modalità operative può essere più o meno rilevante; possono essere, infine, favoriti (od ostacolati) fenomeni per i quali i ricavi da “vendite” e il credito agevolato sussidiano lo svolgimento delle attività istituzionali.


3. All’origine delle scelte normative.

Le scelte operate dalla legge possono essere giustificate in vario modo. Molteplici sono, in primo luogo, gli argomenti che consentono di fondare l’attribuzione di risorse pubbliche agli ETS. Così, un tradizionale orientamento economico riconosce agli ETS una specifica capacità di prestare alcuni servizi (per esempio, educazione, sanità, assistenza sociale), che il mercato e lo Stato non riescono, di contro, a offrire in modo efficiente. Le caratteristiche di tali servizi non permettono, infatti, ai loro “produttori” di conseguire un adeguato ritorno economico o politico [7], ovvero di convincere in modo persuasivo gli utenti in ordine alla qualità del loro “prodotto” [8]. Si determina in tal modo una “produzione” inferiore al livello ottimale, a cui supplisce la presenza degli ETS. In questa prospettiva, il sussidio pubblico consente di rimediare al “fallimento” del mercato (marker failure), dello Stato (government failure) e delle dinamiche contrattuali (contract failure), in tal modo favorendo l’efficiente allocazione delle risorse [9]. In una prospettiva in senso lato politica, la diretta attribuzione di risorse pubbliche viene, invece, argomentata sulla base del principio di sussidiarietà: qualora un interesse pubblico sia assicurato dall’ini­ziativa della società civile, è giustificato che la relativa azione sia sostenuta con risorse dello Stato [10]. Né manca un approccio direttamente fondato sulla natura “meritoria” dell’attività finanziata: lo Stato può attribuire risorse pubbliche in ragione di una pura scelta politica, che considera meritevole una determinata attività [11]. Sotto un diverso profilo, tanto la deroga al regime fiscale ordinario prevista a beneficio degli ETS quanto la deducibilità delle erogazioni liberali effettuate a loro favore possono essere giustificate in una logica di “fiscalità compensativa” [12]. Nel primo caso, l’attività degli ETS può essere configurata come contributo “in natura” alla spesa pubblica: in questa prospettiva, la deroga al regime fiscale ordinario non costituisce, propriamente, un’esenzione, essendo piuttosto funzionale a evitare una doppia contribuzione [13]. Con riferimento alle erogazioni liberali deducibili, il finanziamento privato a ETS [...]


4. Le strategie adottate dalla riforma del Terzo settore.

La riforma del Terzo settore – in particolare: il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 – Codice del Terzo settore (d’ora in poi, “CTS”) e il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 in materia di impresa sociale (d’ora in poi, “DIS) – disciplina molteplici fonti di ricavo degli ETS. In primo luogo, prevede numerose modalità per il finanziamento con risorse pubbliche: (1) istituisce fondi per il finanziamento di specifici progetti (per esempio, il fondo per il finanziamento di progetti di interesse generale nel terzo settore: art. 72 CTS) o attività (per esempio, delle organizzazioni di volontariato: artt. 74 e 76 CTS); (2) prevede l’esonero dalle imposte (per esempio, l’esenzione dal­l’IMU per alcuni ETS non commerciali e la defiscalizzazione degli utili delle imprese sociali non distribuiti: rispettivamente, art. 82, sesto comma, CTS e art. 18, primo e secondo comma, DIS); (3) disciplina la possibilità di convenzioni con pubbliche amministrazioni (per esempio, per lo svolgimento di attività di interesse generale da parte di organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale: art. 56 CTS) [17]. Per altro verso, la riforma: (1) agevola fiscalmente le donazioni private [per esempio, prevedendo deduzioni e detrazioni per le erogazioni liberali a favore degli ETS o introducendo uno speciale e rilevante credito di imposta per le erogazioni liberali destinate a progetti per il recupero dei beni immobili pubblici non utilizzati e per i beni confiscati alla criminalità organizzata (c.d. social bonus): rispettivamente, artt. 83 e 81 CTS], (2) favorisce il credito a favore di ETS (per esempio, con la nuova fattispecie dei titoli di solidarietà: art. 77 CTS) e (3) incentiva il finanziamento delle imprese sociali con capitale di rischio (per esempio, consentendo, in deroga al divieto di eterodestinazione dei risultati, una parziale corresponsione degli utili ai soci di un’impresa sociale costituita in forma societaria ed estendendo alle imprese sociali il regime di deduzioni e detrazioni previsto per gli investimenti in start up innovative: artt. 3, terzo comma, e 18, quarto comma, DIS) [18]. Né manca una disciplina promozionale dei contributi in natura con riguardo ai beni (per esempio, con riguardo alla concessione in comodato di beni mobili e immobili pubblici: art. 71, secondo comma, CTS) e al lavoro volontario [...]


5. Il criterio di accesso al finanziamento “agevolato”.

Quale che sia il fondamento della scelta operata dal legislatore, la legittimità di un finanziamento “agevolato” per gli ETS si regge interamente sulla loro funzione sociale. Rimedino a un “fallimento” del mercato o dello Stato, rispondano a un’istanza di sussidiarietà ovvero muovano dal riconoscimento della natura “meritoria” dell’attività finanziata, gli ETS vengono in considerazione, in ogni caso, perché assolvono a una funzione sociale. La riforma fa emergere questa impostazione con chiarezza – e qualche ridondanza – nella definizione della fattispecie: gli ETS sono, infatti, identificati per il «perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale» (art. 4, primo comma, CTS). In questa prospettiva, lo spazio riconosciuto al finanziamento “agevolato” dipende pertanto, dal criterio prescelto per definire la funzione sociale degli ETS: a seconda dell’impostazione adottata, il finanziamento “agevolato” acquista, infatti, una portata di maggiore o minore intensità. Dal punto di vista teorico sono prospettabili, al riguardo, molteplici criteri. Una prima concezione enfatizza le finalità perseguite dall’attività e, quindi, il conseguente carattere “meritorio” di quest’ultima: hanno funzione sociale le attività che perseguono – nelle espressioni della riforma appena ricordate – «finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale» [21]. Una seconda impostazione, più pragmaticamente, concentra l’attenzione sul settore di attività: determinate attività hanno funzione sociale perché intervengono in un dato settore che, come tale, ha natura sociale (per esempio, l’ambito socio-sanitario e socio-assistenziale; la tutela dell’ambiente; la valorizzazione del patrimonio culturale) [22]. Un terzo criterio fa leva, infine, sull’eterodestinazione dei risultati (in particolare, il divieto di distribuire, anche in forma indiretta, utili e avanzi di gestione): escludendo il lucro individuale, l’eterodestinazione dei risultati configura come altruistica la relativa attività [23]. Ciascuno dei criteri ora identificati risponde a [...]


6. Un modello “misto”.

Rispetto allo scenario teorico così delineato, la riforma del Terzo settore adotta un modello “misto”, caratterizzato da un riferimento a settori di attività, un tendenziale vincolo di eterodestinazione delle risorse e un articolato sistema di controlli volto a prevenire comportamenti contrastanti con le finalità delle attività finanziate. Più in particolare, il riferimento a un vasto numero di settori di attività (art. 5, primo comma, CTS; art. 2, primo comma, DIS) e la possibilità di aggiornare con decreto l’elenco delle attività di interesse generale (art. 5, secondo comma, CTS; art. 2, secondo comma, DIS) evita il rischio di eccessive rigidità “all’ingresso”; mentre, nel contempo, il vincolo di eterodestinazione (art. 8 CTS; art. 3 DIS) e il regime dei controlli – sia pubblici (art. 92 ss. CTS) sia realizzati con assetti di governance (per esempio, con riguardo ad associazioni e fondazioni, artt. 28-31 CTS) – consentono di prevenire comportamenti opportunistici, così assicurando, sia pur in modo indiretto, le finalità “meritorie” dell’attività [27]. Il modello introdotto dalla riforma risulta coerente con il principio di sussidiarietà orizzontale, favorendo «l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune» (art. 1 CTS). Nel contempo, soprattutto nella prospettiva del finanziamento, il nuovo impianto è chiamato a misurarsi con i vincoli europei a tutela della concorrenza qualora l’attività dell’ETS abbia carattere di impresa, come esplicitamente fatto palese dalle norme che subordinano l’applicazione di alcuni aspetti del regime «al­l’autorizzazione della Commissione europea» a norma dell’art. 108 TFUE (per esempio, art. 18, nono comma, DIS con riguardo alle misure fiscali e di sostegno economico per le imprese sociali). Al riguardo, è stato auspicato in dottrina un approccio equilibrato che bilanci le regole della concorrenza con la natura “meritoria” dell’attività, integrando la tradizionale riconduzione dell’attività economiche degli ETS alla disciplina europea del mercato interno con le «specificità funzionali e organizzative» che sono loro proprie [28]. Alcuni recenti esempi [...]


7. Una valutazione finale.

Il modello “misto” adottato dalla riforma si presta, nel suo complesso, a una valutazione positiva. Condivisibile appare, in primo luogo, la scelta generale di costruire la fattispecie di ETS intorno a settori di attività. In un contesto nel quale l’arretra­mento del welfare State assegna agli enti non profit un ruolo cruciale per il benessere sociale, una soluzione che abbassa le barriere all’ingresso e riduce ex ante i margini di incertezza sulle fattispecie rilevanti appare preferibile rispetto a un modello per finalità, maggiormente connotato da scelte politiche discrezionali e, pertanto, da un più elevato grado di incertezza [33]. Parimenti da approvare risulta la significativa apertura operata dalla legge al finanziamento delle imprese sociali con capitale di rischio. Oltre a fungere da incentivo, la possibilità di un rendimento fiscalmente agevolato dell’inve­stimento “sociale” costituisce, infatti, un contributo all’ibridazione tra attività di impresa e bene comune, opportunamente realizzato con un premio, anziché con un comando: così da consentire all’ordinamento di esprimere una preferenza, salvaguardando, nel contempo, il pluralismo [34]. Tali scelte non sono, naturalmente, esenti da rischi. L’elevato numero di settore rilevanti, l’allentamento del vincolo di eterodestinazione [35] e le scelte del legislatore operate dal legislatore con riguardo alle cooperative sociali e ai loro consorzi [36] aumentano la possibilità di comportamenti opportunistici, potenzialmente capaci di minare la credibilità dell’intero sistema non profit. Oltre che dal controllo pubblico ex post, in questa prospettiva l’equilibrio del modello sembra dipendere da una governance degli ETS proporzionata alle loro dimensioni e alle tipologie di attività. La riforma ha operato scelte importanti in questo senso (per esempio, in tema di responsabilità degli amministratori, controllo interno e competenze dell’organo assembleare: artt. 25 e 27-31 CTS; artt. 7 e 10 DIS), spesso ricorrendo al modello della società per azioni [37] e senza temere di consentire una remunerazione degli esponenti aziendali «proporzionat[a] all'attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze» (art. 8, [...]


NOTE