Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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La sostenibilità ambientale e sociale nelle politiche di remunerazione degli amministratori delle società quotate: la rilevanza degli interessi degli stakeholder dopo la SHRD II (di Ilaria Capelli, Professore associato di diritto commerciale, Università degli Studi dell’Insubria)


L’intento di questo lavoro consiste nell’esaminare gli effetti delle nuove regole in tema di remunerazione degli amministratori delle società quotate, dopo l’attuazione della SHRD II, in relazione al perseguimento di finalità diverse rispetto alla massimizzazione del profitto e riconducibili agli interessi degli stakeholder. A questo fine, dopo un inquadramento delle nuove regole nell’ambito delle più recenti linee di tendenza sul tema (anche in termini comparatistici), si approfondiscono i diversi ruoli che assumono, in questo genere di vicende, gli stakeholder, i soci e, in particolare, gli amministratori, ai quali sono indirizzate le forme di remunerazione legate al perseguimento di istanze estranee rispetto all’obbiettivo della shareholder value, quali la sostenibilità sociale e ambientale.

The environmental and social sustainability in the compensation policies of the directors of listed companies: the relevance of stakeholder interests after the SHRD II

This study aims to investigate the effects of the new rules on the compensation of the directors of listed companies, after the implementation of the SHRD II, with regard to the pursuit of purposes other than the shareholder value and linked to the stakeholder interests. For this purpose, after framing the new rules within the most recent trend lines on the subject (also referring to foreign legislation), the Author delves into the different roles, in these circumstances, of the stakeholders, of the shareholders, and of the directors, taking into consideration that the directors’ compensation could be connected to the requests other than the shareholder value, such as social and environmental sustainability.

Keyword: enviromental sustainability – board of directors compensation – shareholder value – stakeholder

Sommario/Summary:

1. L’attenzione per le politiche di remunerazione. - 2. La rilevanza degli interessi riferibili agli stakeholder: le più recenti linee di tendenza. - 3. Brevissimi cenni al quadro normativo italiano. - 4. Gli “attori” nella protezione degli interessi degli stakeholder. - 5. Il ruolo dei soci. - 6. Il ruolo degli amministratori. - 7. La selezione degli interessi rilevanti. - NOTE


1. L’attenzione per le politiche di remunerazione.

Negli ultimi anni si registra una crescente attenzione verso le politiche di remunerazione che, insieme ai compensi individuali del personale più rilevante, sono oggetto di specifici e dettagliati obblighi di trasparenza [1]. In virtù di queste regole, il tema dei compensi non appartiene più, come in passato, all’ambito delle notizie riservate [2], né può essere fatto oggetto di un atteggiamento riferibile al celebre motto never explain, never apologize [3]; al contrario, l’art. 123-ter t.u.f. consegna agli azionisti e al mercato dettagliati strumenti per il monitoraggio delle politiche di remunerazione e della relativa attuazione [4].

Le regole attuali danno conto della piena consapevolezza del legislatore circa gli effetti delle politiche di remunerazione sui processi decisionali: le politiche di remunerazione, infatti, non rappresentano solo la sintesi di decisioni strategiche, ma sono anche in grado di produrre effetti sullo stesso procedimento di assunzione delle decisioni degli amministratori e sulla propensione al rischio di costoro; al contempo, le stesse politiche di remunerazione, come si avrà occasione di osservare, possono contribuire, nell’ambito del procedimento decisionale, a dare rilievo agli interessi delle diverse categorie di soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti dalle scelte della società [5]. In questa prospettiva, grande importanza assume, come si avrà occasione di analizzare (si veda infra, par. 5), la previsione della vincolatività del voto assembleare sulla prima sezione della Relazione sulla remunerazione, vale a dire sulla politica adottata dalla società in materia di remunerazione dei componenti degli organi di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche.

La crescita della consapevolezza circa la centralità delle politiche di remunerazione e la loro rilevanza per il mercato è resa evidente dall’intensificarsi dell’attenzione verso questi temi negli ultimi quindici anni: guardando soltanto al versante normativo [6], la recente modifica dell’art. 123-ter t.u.f. ad opera dell’art. 3, d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49, che attua la direttiva 2017/828/UE (SHRD II), rappresenta il punto di approdo di una vicenda il cui momento iniziale può essere convenzionalmente fatto coincidere con la Raccomandazione 2004/913/CE che, tra i diversi obiettivi perseguiti, annovera la trasparenza della politica di remunerazione seguita dalla società. In seguito, si è aggiunta la Raccomandazione 2009/385/CE che, nel proseguire nell’ampliamento degli ambiti di trasparenza, favorisce un maggiore controllo da parte degli azionisti e, soprattutto, interviene nel merito delle politiche di remunerazione, giungendo a fissare i principi di “sana” politica retributiva.

La SHRD II, nel modificare la direttiva 2007/36/UE (SHRD) in tema di incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti, arricchisce, sotto il profilo della trasparenza, quanto in precedenza previsto dalle altre fonti europee, imponendo alla società di elaborare una politica di remunerazione degli amministratori che deve essere “chiara e comprensibile” e soprattutto completa. Ma ciò che risulta particolarmente innovativo attiene alle previsioni che riguardano il merito delle politiche di remunerazione, in quanto l’art. 123-ter, terzo comma-bis, t.u.f., come modificato a seguito dell’attuazione della SHRD II, ora delinea la politica di remunerazione quale elemento che contribuisce “alla strategia aziendale, al perseguimento degli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società” [7].

Ci si domanda, dunque, quale sia il significato da attribuire ai concetti appena richiamati, quali la “strategia aziendale” e gli “interessi a lungo termine”: si può ritenere che, almeno con riferimento alle questioni relative alla remunerazione degli amministratori esecutivi, il riconoscimento della rilevanza di tali questioni, in ordine, appunto, ai profili strategici e all’agire secondo una visione di lungo termine, consente di salvaguardare gli interessi degli azionisti a fronte di possibili azioni e decisioni degli amministratori attente solo a massimizzare i guadagni immediati e, di conseguenza, ad attivare i relativi meccanismi premiali, a scapito di una razionale, e lungimirante, gestione delle risorse della società.

L’espresso richiamo alla necessità che la politica di remunerazione contribuisca al perseguimento degli interessi a lungo termine della società, pertanto, ha l’effetto di orientare l’agire e il programmare degli amministratori. Per quanto possano sussistere legittimi dubbi in merito all’effettivo contenuto precettivo del richiamo al perseguimento degli interessi a lungo termine [8], data l’ampiezza dei contenuti che ad esso possono essere attribuiti [9], è certamente significativo l’avvenuto, ed espresso, recepimento normativo di istanze e prese di posizione frequentemente rinvenibili in documenti di rilievo internazionale che provengono dal mondo imprenditoriale e degli asset manager [10]. Ciò è avvenuto, peraltro, anche a livello di soft law, vista l’enfasi con cui il nuovo Codice di Corporate Governance, approvato nel gennaio 2020, si rivolge alla “creazione di valore nel lungo termine”, a beneficio degli azionisti e “tenendo conto anche degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”: la “creazione di valore nel lungo termine” è, anche qui, concepita quale elemento chiave per il perseguimento del successo sostenibile [11].

Particolarmente complessa risulta essere la ricostruzione del significato da attribuire, nel contesto dell’art. 123-ter t.u.f., alla “sostenibilità della società”. Essa, nei termini di una lettura che voglia attribuirle un significato proprio, si distingue dal “perseguimento degli interessi a lungo termine” e si po­ne quale punto d’arrivo di una linea ideale che, partendo dalla “strategia aziendale”, rivolta naturalmente al perseguimento degli obiettivi prefissati dell’ente, incontra il “perseguimento degli interessi a lungo termine”, in grado di allineare gli interessi degli amministratori con quelli dei soci, per arrivare infine alla “sostenibilità della società”, che dà rilievo all’ambiente in cui la società opera e, quindi, anche agli interessi delle diverse categorie di stakeholder, di volta in volta ritenute rilevanti nella politica di remunerazione.

Questa proposta interpretativa trova testuali conferme nel corpo della SHRD II, di cui appunto il nuovo art. 123-ter t.u.f. costituisce l’attuazione: nell’introdurre il nuovo art. 9-bis, sesto comma, la Direttiva, infatti, attribuisce alla politica di remunerazione il compito di contribuire “alla strategia aziendale, agli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società”; al contempo si aggiunge che la politica di remunerazione stessa “spiega come è stato tenuto conto del compenso e delle condizioni di lavoro dei dipendenti della società nella determinazione della politica di remunerazione” e, infine, con specifico riferimento alla remunerazione variabile, si prevede che siano indicati “i criteri da utilizzare basati sui risultati finanziari e non finanziari, tenendo conto, se del caso, dei criteri relativi alla responsabilità sociale d’impresa” [12]. Il Ventinovesimo Considerando della SHRD II, inoltre, richiama la necessità, con riferimento alla politica di remunerazione, che i risultati degli amministratori siano “valutati utilizzando criteri sia finanziari sia non finanziari, inclusi, ove del caso, fattori ambientali, sociali e di governo”.

Da questi elementi si evince una presa di posizione netta in merito al dibattito sulle remunerazioni dei CEO, da considerare come un elemento rilevante per il mercato, ma soprattutto si assiste all’ingresso, nella politica di remunerazione, di criteri riconducibili alla sostenibilità ambientale e sociale. Assume, pertanto, rilievo, nella determinazione della politica di remunerazione, accanto alla sostenibilità economica, vale a dire la capacità di generare in modo duraturo un guadagno, la sostenibilità ambientale, intesa come la capacità di mantenere nel tempo la qualità e la riproducibilità delle risorse naturali, di preservare la diversità biologica e di garantire l’integrità degli ecosistemi; a ciò si aggiunge la sostenibilità sociale, giusta il riferimento espresso al compenso e alle condizioni di lavoro dei dipendenti della società, da intendersi come la capacità di garantire l’accesso a beni considerati fondamentali (sicurezza, salute e istruzione) e a condizioni di benessere (divertimento, socialità, serenità), in modo equo e con riferimento a questa generazione e alle generazioni future.

L’ingresso di questi nuovi criteri nel nostro ordinamento è, inoltre, promosso grazie alla nuova formulazione dell’art. 123-ter t.u.f. (in particolare il comma 7) che prevede l’emanazione di un regolamento Consob [13] per il cui contenuto, con riferimento alle informazioni da includere nella prima sezione della Relazione e alle caratteristiche della politica di remunerazione, è richiamato il già evocato art. 9-bis SHRD: il potere regolamentare risulta in questo modo orientato verso l’accoglimento di numerosi principi, fra i quali il perseguimento degli interessi a lungo termine della società, nonché, come già evidenziato, la necessità che il complesso delle informazioni rivolte agli azionisti e al pubblico includa la metodologia utilizzata per tenere conto “del compenso e delle condizioni di lavoro dei dipendenti della società nella determinazione della politica di remunerazione” (art. 9-bis, sesto comma), quale elemento che contribuisce a rivelare il grado di sostenibilità dell’impresa e, in particolare, la sostenibilità sociale.

Se si confronta quanto ora previsto dalla SHRD II con le precedenti fonti europee, si evince, dunque, una maggiore completezza del concetto di “sostenibilità” rispetto al passato, in cui si registrava la sovrapposizione con il perseguimento degli interessi a lungo termine della società, inclusa la compliance normativa, essenzialmente destinata ad evitare i rischi di carattere legale e reputazionale: la Raccomandazione 2009/385/CE, al par. 3.2, infatti, prevede che “I criteri in materia di risultati devono promuovere la sostenibilità a lungo termine della società e includere criteri non finanziari che siano pertinenti per il valore aggiunto a lungo termine della società, come il rispetto delle norme e delle procedure in vigore”; nella stessa Raccomandazione, nel Sesto Considerando, la struttura della remunerazione degli amministratori risulta destinata a promuovere “la sostenibilità a lungo termine della società”. 

Il più completo concetto di sostenibilità contenuto nella SHRD II implica l’utilizzo, nella determinazione della politica di remunerazione, di criteri basati su risultati anche non finanziari, con un espresso collegamento “se del caso” con i “criteri relativi alla responsabilità sociale d’impresa” (v. il già richiamato art. 9-bis, sesto comma, SHRD). Il legislatore comunitario e nazionale si sta, dunque, occupando in modo significativo del contenuto della politica della remunerazione, introducendo un concetto di sostenibilità che si emenda dal mero approccio di lungo periodo e si dispiega verso la protezione di esigenze condivise dagli stakeholder, come ad esempio la sostenibilità ambientale, sociale, la tutela del personale e il rispetto dei diritti umani.

Per questa ragione, l’interpretazione delle norme e il corretto adempimento degli obblighi da esse conseguenti discendono dal significato giuridico che può essere attribuito alla sostenibilità nel contesto dell’organizzazione sociale [14]. In altri termini, risulta opportuno analizzare gli effetti, sull’organizza­zione sociale, dell’introduzione nella legge di nuovi valori e concetti che danno rilevanza anche ad interessi esterni rispetto al gruppo dei soci, vale a dire ad interessi riferibili all’ampia e non omogenea platea degli stakeholder.


2. La rilevanza degli interessi riferibili agli stakeholder: le più recenti linee di tendenza.

La sostenibilità sociale e ambientale è richiamata dalla SHRD II in un contesto in cui gli interessi degli stakeholder acquisiscono una rilevanza finora sconosciuta [15].

Recente esempio della specifica attenzione per questi temi è lo Statement on the Purpose of a Corporation della Business Roundtable del 19 agosto 2019 [16], in cui emerge l’intenzione dei firmatari di creare valore per tutti gli stakeholder dell’impresa societaria: soci, clienti, lavoratori, fornitori e comunità [17].

Il contenuto di questo documento risulta particolarmente rilevante, specie se lo si compara con quanto affermato nello Statement della Business Round­table del settembre 1997, in cui si dichiarava che il principale obiettivo del­l’im­presa è di generare “economic returns to its owners” [18]. Nello Statement del 2019, infatti, si legge che l’impresa “can focus on creating long-term value, better serving everyone – investors, employees, communities, suppliers and customers”, mentre il successo delle società è messo sullo stesso piano di quello delle comunità di riferimento e del Paese.

Le posizioni espresse dalla Business Roundtable non rappresentano affatto un unicum, ma si collocano appieno in un’ampia corrente di opinione volta coinvolgimento di tutti gli stakeholder nella creazione di valore condivisa e alla quale confluisce anche il manifesto di Davos 2020, “The Universal Puropose of a Company in the Fourth Industrial Revolution” [19]. A ciò si aggiunge, nello scorso gennaio 2019, la Lettera del CEO di BlackRock, L. Fink, indirizzata agli amministratori delegati delle principali società del mondo, in cui si afferma categoricamente che: “Companies that fulfill their purpose and responsibilities to stakeholders reap rewards over the long-term. Companies that ignore them stumble and fail” [20].

Questi importanti segnali, mediante i quali la grande impresa sembra rivendicare un ruolo centrale sul piano politico e sociale, mentre gli Stati manifestano evidenti difficoltà nel garantire adeguati livelli di welfare, costituiscono i momenti più recenti ed eclatanti di una linea di tendenza che, negli Stati Uniti, è formata anche da Constituency Statutes, o Stakeholder Statutes, che consentono agli amministratori di tenere in considerazione interessi estranei rispetto a quelli dei soci nell’adottare le decisioni imprenditoriali [21].

Ad ulteriore conferma della presenza di un orientamento ormai dominante, si pongono varie proposte a livello politico e legislativo [22]. Sempre negli Stati Uniti stanno facendosi strada proposte volte ad affrontare la questione a livello federale, come avviene per il progetto della senatrice Elizabeth Warren, the Accountable Capitalism Act del 2018 (115th Congress, 2017-2019, S. 3348), in cui gli scopi della Corporation includono la creazione di un general public benefit. Questa proposta di regolazione, rivolta alle grandi imprese, si caratterizza per un approccio certamente più radicale rispetto agli appena richiamati contenuti fatti propri dalla Business Roundtable e dalla recente lettera del CEO di BlackRock, in quanto si esige che i consigli di amministrazione prendano in considerazione gli interessi di tutti gli stakeholder e si prevede che i dipendenti eleggano almeno il 40% degli amministratori [23], in questo modo predisponendo l’effettiva rappresentanza di almeno questo gruppo di stakeholder, in grado di far valere autonomamente le proprie istanze all’interno della società [24].

Molto meno radicale è la legislazione vigente del Regno Unito. Nella Section 172 del Companies Act del 2006, sono valorizzati gli interessi degli stakeholder, in un contesto in cui i doveri degli amministratori sono rivolti verso la promozione del successo della società for the benefit of its members as a whole, considerando, fra l’altro, anche gli interessi dei dipendenti, le conseguenze delle decisioni nel lungo termine, nonché l’impatto sull’ambiente e sulla reputazione della società [25]. Va, comunque, rilevato che gli interessi degli stakeholder sono valorizzati in modo “indiretto”, quale riflesso di un metodo di gestione che deve avere riguardo, tra l’altro, alle conseguenze delle decisioni nel lungo termine e all’impatto delle operazioni della società sulla comunità e sull’ambiente, oltre alla necessità di favorire relazioni d’affari con fornitori e clienti e di tenere conto degli interessi dei dipendenti.

L’attribuzione di rilevanza giuridica ad interessi diversi rispetto a quelli dei soci circa la redditività e il valore delle loro partecipazioni si registra anche, in tempi molto recenti, nel vicino ordinamento francese. L’art. 169 della Loi PACTE (Plan d’action pour la croissance et la transformation des entreprises), Loi n. 2019-486 del 22 maggio 2019, volta ad attenuare o eliminare una serie di formalità cui sono tenute le imprese [26], ha modificato l’art. 1833 del Code civil, introducendo la previsione secondo cui “La société est gérée dans son intérêt social, en prenant en considération les enjeux sociaux et environnementaux de son activité”.

Nella Loi PACTE risulta rafforzata la presenza di amministratori che rappresentano i dipendenti della società, ad esempio nel caso di società controllate dallo Stato, o in società quotate in cui i dipendenti sono titolari di almeno il 3% del capitale; a ciò si aggiunge che il Codice AFEP-MEDEF del 2018 [27] dispone che gli amministratori che rappresentano i dipendenti all’interno di un gruppo siedano nel consiglio di amministrazione della società che prende le decisioni strategiche per il gruppo medesimo. Sussiste, inoltre, una particolare attenzione per ciò che concerne la sostenibilità sociale, posto che l’art. 187 della Loi PACTE, nel modificare l’art. L. 225-37-3 del Code de commerce, in tema di remunerazione degli amministratori delle società quotate, dispone che le remunerazioni del presidente del consiglio di amministrazione e di ciascun amministratore delegato siano rapportate, secondo specifici criteri, alla remunerazione media dei dipendenti della società all’interno del gruppo e che sia dato conto dell’evoluzione di questo rapporto nel corso dei cinque esercizi precedenti [28].

Nell’ordinamento francese, dunque, la gestione della società deve prendere in considerazione le questioni sociali e ambientali [29]. Lo stesso legislatore conferma che l’iniziativa rappresenta una forma di adeguamento normativo alle linee di tendenza più recenti che danno rilevanza agli interessi diversi rispetto a quelli dei soci: nell’“Exposé des motifs”, infatti, il legislatore francese ammette di introdurre nel Code civil orientamenti già presenti nella giurisprudenza [30].

In particolare, con riferimento alla scelta degli interessi “esterni” da tutelare, il nuovo art. 1835 Code civil si caratterizza per il fatto di permettere di inserire, negli statuti, una “raison d’être” che, affiancandosi alla “raison d’avoir [31] vada a indicare i valori cui si ispira la persona giuridica, creando in questo modo un vincolo specifico, e dichiarato, fra le imprese e gli interessi degli stakeholder di riferimento [32].

 


3. Brevissimi cenni al quadro normativo italiano.

Anche nel nostro Paese si registra la progressiva attenzione verso il perseguimento di interessi ulteriori rispetto a quelli dei soli soci.

Si pensi alla disciplina dedicata all’impresa sociale, nella quale gli interessi degli stakeholder acquisiscono un ruolo essenziale, in quanto è esercitata in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Nelle imprese sociali, il perseguimento degli interessi diversi da quelli dei soci avviene non solo mediante la preordinazione e il raggiungimento delle appena richiamate finalità, cui si aggiunge la rinunzia da parte dei soci al lucro legato alla propria partecipazione (art. 3 d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112) [33], ma anche per il tramite dell’adozione di modalità di gestione responsabili e trasparenti, che favoriscono “il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività” (art. 1, primo comma, e art. 11).

Per quanto riguarda il coinvolgimento degli stakeholder, si può osservare che le modalità indicate dall’art. 11 d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 appaiono molto generiche e, comunque, non particolarmente incisive sulle decisioni della società, anche quando sussistano le condizioni per l’inclusione diretta degli stakeholder all’interno degli organi sociali. A ciò si aggiunge la prevista esclusione dell’applicazione delle norme che dispongono tale coinvolgimento, quando si tratti di cooperative a mutualità prevalente ed enti religiosi (art. 11, ultimo comma) [34].

A tutela, indiretta, degli stakeholder, dunque, si pone l’appena richiamata regola che prescrive l’adozione di “modalità di gestione responsabili e trasparenti” (art. 1, primo comma), che vanno a caratterizzare l’impresa sociale, accanto alle previsioni relative alle finalità e alla limitazione del lucro soggettivo.

Gli interessi degli stakeholder sono oggetto di una specifica e dichiarata considerazione anche nella disciplina della società benefit [35] che, nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividere gli utili, persegue una o più finalità di beneficio comune.

Anche per la società benefit, elemento qualificante è il modo di operare, posto che la stessa definizione contenuta nel comma 376 della Legge di Stabilità 2016 fa riferimento a modalità responsabili, sostenibili e trasparenti “nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse”. Le predette finalità sono perseguite, senza che vi sia la previsione di alcuna deroga alla disciplina dei tipi sociali, mediante una gestione volta al “bilanciamento con l’interesse dei soci e con l’interesse di coloro sui quali l’attività possa avere un impatto” (comma 377) [36]; a questo proposito, inoltre, il comma 380 precisa che “la società benefit è amministrata in modo da bilanciare gli interessi dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi delle categorie indicate nel comma 376, conformemente a quanto previsto nello statuto”.

Si tratta, dunque, di imprese che, in virtù della scelta volontaria di acquisire la qualifica di società benefit, strutturano la propria azione secondo i principi della responsabilità sociale d’impresa, aggiungendo così, allo scopo di lucro soggettivo, il dovere di predisporre una gestione socialmente responsabile, che sia anche in grado di affievolire la tendenza alla massimizzazione del profitto [37].

Il perseguimento di interessi ulteriori rispetto a quelli dei soci è preso, inoltre, in considerazione dalle disposizioni in materia di informazioni non finanziarie (d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254, in attuazione della direttiva 2014/95/
UE), che impongono una dichiarazione individuale o consolidata “di carattere non finanziario” agli enti di interesse pubblico, dei quali fanno parte anche le società quotate (art. 16 d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39), che superino determinati requisiti dimensionali. La dichiarazione individuale di carattere non finanziario è volta ad assicurare la comprensione dell’attività d’impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto prodotto e attiene a temi, che siano rilevanti tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’im­presa, relativi all’ambiente, alla società, al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione (art. 3, primo comma, d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254) [38].

Le previsioni in materia di rendicontazione non finanziaria non comportano il sorgere dell’obbligo di perseguire politiche a favore degli stakeholder nei settori appena richiamati o in generale [39]: la disciplina, infatti, si pone esclusivamente in funzione di trasparenza sulle scelte, che rimangono sempre di competenza della società [40].

La dichiarazione è obbligatoria e in essa si deve dare conto delle ragioni delle scelte adottate, ma il contenuto e la forma della stessa sono rimessi alla discrezionalità degli amministratori, cui spetta la responsabilità in ordine alla redazione e alla pubblicazione della rendicontazione non finanziaria [41]. La mancata previsione di un’approvazione da parte dei soci conferma che la stessa ha un contenuto di natura gestoria: essa viene presentata in assemblea per informare i soci e pubblicata per il mercato, seguendo la stessa disciplina prevista per la relazione sul governo societario e sugli aspetti proprietari [42].

In particolare, con la recente modifica introdotta dalla l. 30 dicembre 2018, n. 145, c.d. Legge Stabilità 2019 (art. 1, comma 1073), nella Relazione sulla remunerazione devono essere indicate “le specifiche modalità di gestione” dei rischi connessi ai temi indicati nella legge, con l’effetto che la trasparenza deve riguardare non solo l’identificazione dei rischi, ad esempio ambientali o sociali, ma anche le iniziative e le attività predisposte per prevenire e affrontare gli stessi. Si può, dunque, ritenere che la disciplina in materia di rendicontazione non finanziaria, pur non introducendo alcun obbligo in merito al perseguimento di interessi ulteriori rispetto alla massimizzazione del profitto, vada ad incidere indirettamente sul contenuto della gestione, con riferimento alla necessità di prevedere e prevenire i rischi, connessi a determinati temi di interesse generale, che derivano dall’attività d’impresa.

In questa prospettiva, le “informazioni non finanziarie” attribuiscono rilevanza giuridica ad interessi generali, riconducibili a diverse classi di stakeholder, incidendo indirettamente sul contenuto della gestione e avvisando i soci circa l’eventuale perseguimento di interessi diversi rispetto alla massimizzazione del profitto e circa le relative modalità. Si può ritenere che questo strumento, pur imponendo unicamente doveri di tipo informativo, abbia le potenzialità per indurre l’impresa a prendere atto con maggiore consapevolezza del contesto in cui opera [43], nonché per migliorare la reputazione dell’impresa stessa e i suoi rapporti con gli stakeholder [44]. Per contro, anche in questo caso, gli stakeholder non risultano direttamente coinvolti, essendo solo posti in grado di conoscere quale sia l’impatto “sociale” o “ambientale” dell’impresa.


4. Gli “attori” nella protezione degli interessi degli stakeholder.

Come si è avuto modo di osservare, il nostro legislatore si allinea alla generale tendenza volta ad attribuire, in modi diversi, rilevanza giuridica alla protezione degli interessi degli stakeholder.

Se, guardando alle regole appena richiamate, si concentra l’attenzione sul diverso “peso” assunto dagli “attori” coinvolti, vale a dire gli amministratori, i soci e gli stessi stakeholder, si può riscontrare che essi prevalentemente giocano dei ruoli aventi connotati costanti.

In particolare, gli stakeholder sono molto raramente resi direttamente partecipi delle decisioni in merito al perseguimento degli interessi che li riguardano, mediante forme di rappresentanza negli organi sociali o di consultazione esterna [45], essendo invece, nella maggior parte dei casi, esclusivamente destinatari di informazioni relative al perseguimento o alla protezione, da parte della società, degli interessi di cui essi sono portatori [46].

Si può, quindi, ritenere, almeno in linea di principio, che la tutela degli stakeholder non si realizzi tramite una soluzione organizzativa di carattere interno, con l’inclusione di ulteriori soggetti negli organi sociali, o più in generale mediante meccanismi di rappresentanza; in relazione alla posizione degli stakeholder, ciò su cui sembra fare affidamento il nostro legislatore è rappresentato dalle reazioni di mercato, che possono avere luogo grazie a modalità di gestione responsabile e trasparente, ma soprattutto in presenza delle previste forme di pubblicità relative alle attività intraprese al di fuori dello scopo della massimizzazione del profitto [47].

Questo elemento accomuna gli interventi legislativi del nostro Paese appena presi in considerazione, in merito alla protezione degli interessi degli stakeholder, alle previsioni contenute nella SHRD II con riferimento alla rilevanza dei “criteri non finanziari” nella valutazione dei risultati degli amministratori: la sostenibilità sociale e ambientale è richiamata in un contesto in cui gli attori principali sono rappresentati dagli amministratori e dai soci, cui si aggiungono le possibili reazioni del mercato a seguito dell’adempimento dei prescritti oneri pubblicitari. Infatti, elemento centrale del meccanismo tracciato dall’art. 123-ter t.u.f., come modificato dal d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49, in attuazione della già richiamata SHRD II, è la creazione di un canale informativo, rappresentato dalla Relazione in materia di politica di remunerazione e sui compensi corrisposti [48], rivolto agli azionisti e al pubblico [49].

La completezza dell’informazione è garantita da norme di dettaglio [50] che non solo individuano le notizie oggetto di pubblicazione, ma determinano, in maniera molto minuziosa, le modalità e la struttura stessa dell’informazione da fornire [51], con la finalità di evidenziare la coerenza (o meno) delle politiche di remunerazione, come enunciate in via di principio, con le concrete ricadute delle stesse in termini di reali remunerazioni e compensi, individuate per aggregati ed anche nominativamente.

Il documento previsto dall’art. 123-ter t.u.f., dunque, mette a disposizione del pubblico, e quindi anche degli stakeholder, una completa indicazione degli intenti programmatici che si intendono perseguire tramite lo strumento della remunerazione degli amministratori e questa forma di pianificazione deve essere funzionale alla strategia aziendale, al perseguimento degli interessi a lungo termine della società e alla sostenibilità della stessa; non deve, inoltre, mancare l’indicazione degli strumenti atti a verificare che il sistema di remunerazione adottato contribuisca alla sostenibilità [52].

La posizione di sostanziale passività degli stakeholder, in merito all’ela­borazione di quelle politiche e strategie che possano intervenire sui propri interessi e aspettative, risulta, dunque, controbilanciata da un elevato grado di completezza e complessità degli oneri informativi a carico della società. Per vero, un’inadeguata ottemperanza alle regole in materia di disclosure delle politiche di remunerazione [53], specialmente per ciò che concerne la sostenibilità, può esporre la società a reazioni da parte dell’opinione pubblica, normalmente tanto più temibili quanto maggiore è la dimensione dell’impresa [54].


5. Il ruolo dei soci.

L’art. 123-ter t.u.f. attribuisce ai soci il diritto di voto sulle politiche di remunerazione, compresi naturalmente i contenuti relativi alla sostenibilità sociale e ambientale [55].

A questo proposito, si rileva che proprio il d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49, nel dare attuazione alla SHRD II, ha profondamente modificato, con l’obiet­tivo di un maggior coinvolgimento degli azionisti, il ruolo dell’assemblea delineato dell’art. 123-ter t.u.f. Prima delle recenti modifiche, infatti, l’as­semblea era competente a deliberare, con voto non vincolante, unicamente sulla prima sezione della Relazione [56], mentre il nuovo art. 123-ter t.u.f. delinea ora un sistema in cui entrambe le sezioni della Relazione risultano sottoposte al voto assembleare, la cui efficacia, però, si articola diversamente a seconda che si tratti di deliberare sulla prima sezione (voto vincolante ex art. 123-ter, terzo comma-ter, t.u.f.), o sulla seconda sezione (voto non vincolante ex art. 123-ter, sesto comma, t.u.f.) [57].

Il voto vincolante dei soci si esprime su tutti gli aspetti relativi alla politica di remunerazione e alle modalità adottate per la sua determinazione, inclusa la configurazione della parte variabile, le prassi rivolte a riconoscere premi ancorati al raggiungimento di determinati obiettivi, nonché le procedure impiegate, compreso il ruolo del comitato per le remunerazioni e il grado di coinvolgimento degli amministratori indipendenti nel processo di definizione delle caratteristiche del sistema retributivo [58].

La SHRD II si preoccupa anche di contemperare il coinvolgimento degli azionisti con la possibilità che, nel contesto dinamico dell’attività sociale, sia necessario derogare temporaneamente alla politica che la società si è data. La deroga, che non richiede il coinvolgimento dei soci, è ammessa, in circostanze eccezionali, a condizione che la politica di remunerazione approvata contenga “le condizioni procedurali in base alle quali la deroga può essere applicata” e gli “specifichi gli elementi della politica a cui si può derogare” [59].

Un maggior coinvolgimento degli azionisti rispetto al passato si osserva anche nella previsione del voto, in questo caso non vincolante, sulla seconda sezione della Relazione. Nonostante si tratti di un advisory vote, esso si colloca fra le competenze ricorrenti dei soci, dato che si tratta di una materia che va posta all’ordine del giorno dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio o, nelle società che si sono dotate del sistema dualistico, all’ordine del giorno dell’assemblea convocata per deliberare sulla destinazione dell’utile di esercizio [60], ed è quindi caratterizzato da una ben maggiore frequenza rispetto al voto sulla politica di remunerazione, per il quale la legge prevede una periodicità almeno triennale (art. 123-ter, terzo comma-bis, t.u.f.).

L’intensità del coinvolgimento degli azionisti è, inoltre, confermata dal fatto che l’oggetto della delibera consiste in un documento che non solo illustra i compensi corrisposti, fornendo un’adeguata rappresentazione di ciascuna delle voci che compongono la remunerazione, ma comprende anche la descrizione “di come la società ha tenuto conto del voto espresso l’anno precedente sulla seconda sezione della Relazione” (art. 123-ter, quarto comma): il voto, dunque, si esprime sull’adeguatezza delle misure predisposte dagli amministratori al­l’esito della precedente delibera, dando in questo modo indicazione della qua­lità del rapporto che, in concreto, intercorre fra gli amministratori e la mag­gioranza assembleare.

L’eventuale voto contrario sulla seconda sezione della Relazione espone la società ad importanti effetti reputazionali [61], anche grazie al fatto che la pubblicità mette a disposizione del pubblico un’articolata serie di informazioni, fra le quali il numero di voti favorevoli e contrari alla delibera e il numero di astensioni, con l’effetto di evidenziare la reale entità dell’eventuale dissenso manifestato dai soci [62].

La disciplina che coinvolge i soci, mediante l’approvazione in assemblea, nella formazione della politica di remunerazione risulta coerente con una più generale tendenza volta ad un maggior coinvolgimento degli azionisti, anche con riguardo alle decisioni di carattere non finanziario, attinenti a questioni ambientali, sociali e di governo. Lo shareholder engagement in linea generale può aver per oggetto un’ampia serie di questioni, quali ad esempio il risk management, la corporate governance, la strategia, nonché appunto la remunerazione degli amministratori [63]. Il dibattito sullo shareholder engagement si concentra sull’opportunità di attribuire rilevanza al volere di soggetti diversi rispetto a coloro che, istituzionalmente, sono coinvolti nella gestione, dispongono delle informazioni e sono chiamati a rispondere per la gestione della società. Si pone, inoltre, la questione in merito all’opportunità di imporre doveri o forme di trasparenza in ordine all’attività di questi soggetti [64], come avviene chiaramente nel contesto della SHRD II e nelle sue diverse attuazioni nazionali.

In questo contesto avviene, dunque, secondo lo schema appena evocato, che alcuni soci, in particolare gli investitori istituzionali, tendano ad assicurarsi non solo che la società abbia una buona performance finanziaria, ma anche che la stessa disponga di un adeguato meccanismo di corporate governance [65]; il parziale spostamento del locus of control verso i soci, o meglio, verso un ben determinato “genere” di soci, gli investitori istituzionali [66], comporta la previsione di specifici obblighi di trasparenza in merito alle politiche adottate nei confronti dell’emittente, in una sorta di bilanciamento, appunto, tra il ruolo di rilievo assunto dagli stessi investitori istituzionali, specialmente per quanto riguarda le strategie e i risultati a lungo termine, e la necessaria trasparenza in merito alle strategie di investimento, la politica di impegno e la relativa attuazione [67].

Agli investitori istituzionali, dunque, è riconosciuto un ruolo rilevante, in quanto, per ciò che concerne i temi in questione, essi possono indurre la società a porsi in linea con le migliori prassi in tema di protezione delle istanze ambientali e sociali. L’engagement degli investitori istituzionali può produrre i propri effetti sulla stessa elaborazione delle politiche di remunerazione da parte del Consiglio di Amministrazione e, in ogni caso, assume grande rilevanza l’esercizio del diritto di voto che, come si è avuto modo di osservare, concorre alla formazione della politica di remunerazione quale voto vincolante sulla prima parte della Relazione, dedicata alla politica (looking-forward say on pay), mentre si esprime quale mero advisory vote sui compensi corrisposti (backward-looking). La duplice valenza del voto sulla remunerazione riflette alcune delle modalità con cui si può esprimere l’attivismo degli azionisti in questo contesto.

Le due parti della Relazione sulla politica di remunerazione e sui compensi realizzano, infatti, differenti forme di coinvolgimento degli azionisti. Con riferimento alla prima, infatti, il binding vote comporta un necessario concorso dei soci nel perfezionamento della decisione, tenendo tuttavia ben presente che l’elaborazione della politica e la redazione della Relazione spetta unicamente agli amministratori e che i soci sono privi del potere di proporre alternative.

Con riferimento alla seconda parte, l’advisory vote, invece, consente ai soci di mandare un’indicazione o un segnale, tanto più forte quanto maggiormente polarizzato è il risultato del voto. La valenza di questo segnale è garantita da dettagliate prescrizioni in tema di pubblicità, volte ad informare il mercato, ed anche l’opinione pubblica, in merito alla presenza di un dissenso, più o meno largo, in seno all’assemblea [68].


6. Il ruolo degli amministratori.

Gli amministratori giocano un ruolo essenziale nella formazione della politica di remunerazione, compreso il perseguimento delle finalità riconducibili alla sostenibilità sociale ed ambientale. Al consiglio di amministrazione, infatti, spetta l’approvazione della Relazione sulla politica di remunerazione e i compensi, da sottoporre successivamente al voto dei soci e in cui i risultati degli amministratori “dovrebbero essere valutati utiliz­zando criteri sia finanziari sia non finanziari, inclusi, ove del caso, fattori ambientali, sociali e di governo” [69].

Nonostante la legge entri direttamente nel merito della politica di remunerazione, con il già evocato riferimento al perseguimento degli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società, mancano specifiche forme di sanzione per il caso in cui i relativi obblighi risultino inadempiuti. Va, tuttavia, osservato che la sostanziale vincolatività di queste disposizioni, che appunto, come si diceva, delineano il contenuto della politica di remunerazione come uno degli strumenti strategici per perseguire gli scopi indicati dal legislatore, discende dal già richiamato schema di riferimento, che vede, accanto ai compiti affidati agli amministratori, l’attribuzione del voto ai soci e la previsione di una dettagliata disclosure in grado di coinvolgere gli stakeholder e, in generale, l’opinione pubblica.

Per questa ragione, si può ritenere che un’eventuale sostanziale violazione della norma, come avverrebbe nel caso in cui nella Relazione manchino le indicazioni in merito al perseguimento degli interessi a lungo termine e alla sostenibilità, sarebbe certamente nota ai soci chiamati al voto sulle due sezioni della relazione, nonché ai terzi, per mezzo degli appena menzionati obblighi pubblicitari.

A ciò si aggiunge che il legislatore non si limita ad esigere che, nel merito, la politica di remunerazione sia funzionale al persegui­mento degli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società ma, come avviene per l’illu­strazione della politica stessa (in ordine alla quale si richiede l’indicazione delle procedure utilizzate per l’adozione ed attua­zione), impone che sia esplicitato il modo con cui si intende raggiungere l’obiettivo (art. 123-ter, terzo comma-bis, t.u.f.). Questi intensi obblighi di trasparenza, dunque, non si esauriscono nel richiedere alla società una mera enuncia­zione di principio, ma si estendono al processo di realizzazione, compor­tando uno sforzo di concretezza che dovrebbe consentire di dissuadere dalla tentazione di ricorrere a formulazioni generiche e prive di concreti riscontri [70].


7. La selezione degli interessi rilevanti.

Come si è avuto modo di osservare, il tema delle remunerazioni degli amministratori si intreccia profondamente con il governo societario, la gestione del rischio e la promozione di valori quali la sostenibilità ambientale e sociale. Questa stretta interconnessione fra le strategie della società e le politiche di remunerazione fa sì che, come si osservava, queste ultime siano ben lungi dal rappresentare l’oggetto di una curiosità un po’ impertinente, ma costituiscano uno degli aspetti in grado di delineare la concreta fisionomia della società e di contraddistinguere il suo operare [71].

In particolare, la remunerazione variabile è in grado di allineare gli interessi degli amministratori con gli interessi degli azionisti anche sotto profilo della massimizzazione del profitto, da coordinare con il perseguimento degli interessi a lungo termine. Con le previsioni contenute nella SHRD II e la nuova formulazione dell’art. 123-ter t.u.f., il suddetto allineamento si deve realizzare anche nei termini della sostenibilità della società, come appunto esplicitato dal diretto rinvio all’art. 9-bis SHRD (art. 123-ter, settimo comma, t.u.f.).

Questa inclusione, nell’ambito dei criteri e delle finalità che devono connaturare la politica di remunerazione, di contenuti ulteriori e “non-finanziari”, comporta una necessaria attività di coordinazione che coinvolge, da una parte, gli scopi che, in concreto, devono essere perseguiti dall’organo amministrativo (co­me indicati nella relazione ex art. 123-ter t.u.f.) e, dall’altra, la rendicontazione non finanziaria: infatti, è compito di quest’ultima riscontrare e, appunto, rendicontare quanto la società abbia posto in essere nei campi indicati dalla legge, naturalmente anche con riferimento a quelle attività che costituiscono oggetto di specifica valutazione al fine della determinazione dei compensi degli amministratori.

Si può osservare, in linea generale, che la possibilità, per gli amministratori esecutivi, di perseguire finalità estranee rispetto alla massimizzazione del profitto amplia grandemente lo spettro delle potenziali iniziative che gli stessi sono in condizione di intraprendere in nome della società [72] e che non sono, naturalmente, in stretta connessione con gli interessi economici dei soci.

Va, comunque, ricordato che non si rinvengono concreti diritti di partecipazione degli stakeholder alla vita societaria, e nemmeno essi possono agire perché la società provveda alla tutela dei loro interessi. Dunque, le disposizioni che menzionano gli stakeholder ampliano considerevolmente il raggio di azione degli amministratori, i quali pongono in essere le scelte gestionali, anche ispirate ai principi di Responsabilità Sociale d’Impresa, autonomamente, sotto la protezione della Business Judgment Rule: si pensi all’investimento di risorse addizionali nella ricerca e sviluppo, al ricorso a fonti di energia sostenibili, alla promozione della qualità del lavoro e alla creazione di un legame di lealtà con i lavoratori [73].

L’indubitabile maggior raggio d’azione degli amministratori comporta l’af­fi­damento ad essi compiti che esulano la tradizionale attività di gestione. Si pensi, ad esempio, alla stessa rilevazione degli interessi degli stakeholder e alla decisione in merito agli interessi concreti da proteggere, nonché alla necessità di agire secondo una scala di priorità: si tratta di scelte che, benché possano dirsi compatibili con la protezione degli interessi degli azionisti alla massimizzazione del profitto, possono risultare condizionate da fattori di diversa estrazione, quali ad esempio l’eventuale natura pubblica degli azionisti medesimi, o gli orientamenti politici e la sensibilità sociale degli amministratori [74].

Ciò può portare ad interpretare la grande impresa come un organismo che media tra gli interessi di vari gruppi ed individui e, dunque, a rilevare la natura politica della stessa [75], mentre in capo agli amministratori vi è il compito di realizzare composizioni auspicabilmente equilibrate dei vari interessi in gioco.

Sempre guardando al già richiamato schema che vede gli amministratori e i soci coinvolti nell’individuazione e nella tutela degli interessi degli stakeholder, l’amplissima discrezionalità, in via di principio, affidata agli amministratori nel determinare le politiche di remunerazione (e, per ciò che qui interessa, i termini concreti relativi alla sostenibilità sociale e ambientale cui si riferisce la legge), deve trovare un equilibrio con le scelte poste in essere dagli investitori istituzionali.

Come si osservava, costoro, quando risultano portatori di interessi ulteriori rispetto alla sola massimizzazione del profitto, introducono nel proprio agire criteri e vincoli specifici [76]. Le strategie degli investitori istituzionali, infatti, possono non essere rivolte all’individuazione del migliore tra i titoli in termini di rendimenti immediati ed essere invece interessate, ad esempio, al titolo che la maggior parte degli operatori giudicherà migliore [77], e ciò può avvenire anche in ragione dell’esistenza di un buon impianto strategico complessivo della società, ben comunicato e che dia la garanzia di tenere in dovuta considerazione gli interessi “esterni”, rilevanti per la società medesima [78].

Nello schema predisposto dalla legge, in cui i soci partecipano alla formazione della politica di remunerazione nei termini già esaminati (art. 123-ter t.u.f.), le istanze di cui sono portatori gli investitori istituzionali non possono certamente essere ignorate e, anzi, vanno a formare proprio quei criteri, basati su risultati anche non finanziari e relativi alla responsabilità sociale d’impresa, in vista dei quali misurare i risultati ottenuti dagli amministratori, al fine della determinazione del loro compenso.

In questa prospettiva, emerge, pur nella diversità di ruoli, una stretta compartecipazione, nella determinazione degli interessi da perseguire, fra gli amministratori ed alcuni soci. La predisposizione di una politica di remunerazione che tenga conto di specifiche istanze ambientali o sociali di cui gli investitori istituzionali sono portatori, infatti, va a condizionare l’azione degli amministratori [79] e consente di dare rilievo non solo e non tanto agli interessi, in generale, degli stakeholder, ma agli interessi di “alcuni” stakeholder, ritenuti particolarmente rilevanti. Si realizza, in questo modo, una scala di priorità alla cui predisposizione e realizzazione partecipano gli amministratori e, limitatamente all’approvazione della politica di remunerazione, i soci [80].

L’attenzione, dunque, deve concentrarsi non solo sulla generica possibilità di misurare i risultati ottenuti dagli amministratori secondo criteri non finanziari e criteri riconducibili alla Corporate Social Responsibility, ma soprattutto sulle modalità di selezione di questi criteri e, in ultima analisi, sulle procedure che consentano di scegliere, in concreto, quali dei possibili interessi in gioco debbano essere perseguiti.

Guardano all’organizzazione interna della società, e comunque tenendo ben presente la già descritta rilevanza delle istanze fatte proprie dagli investitori istituzionali, si può osservare che l’elaborazione della politica di remunerazione da parte dell’organo amministrativo, specialmente per ciò che concerne il perseguimento di finalità di sostenibilità sociale e ambientale, esige una serie di specifiche conoscenze; questo compito può essere affidato al comitato per la remunerazione, che sia in grado di bilanciare le diverse istanze relative alla protezione degli stakeholder, provenienti sia dagli investitori istituzionali, sia dagli stessi amministratori.

In ogni caso, la predisposizione di un procedimento interno per la determinazione dei concreti interessi da perseguire risulta necessaria: si pensi alla presenza, nell’organizzazione interna, di forme di rilevazione (ex ante) delle istanze sociali o ambientali da perseguire, nonché di riscontro e valutazione (ex post) dei risultati ottenuti. Si pensi, ad esempio, all’analisi dell’impatto dell’attività della società sull’ambiente, analisi che, come avviene per il risk management, può trovare sede nel consiglio di amministrazione [si veda il Principio 1.C.1, lett. b) e c) del Codice di Autodisciplina] [81].

Un efficiente sistema di rilevazione e riscontro consente non solo di accertare se gli amministratori abbiano agito in conformità con le politiche della società, e quindi abbiano diritto a determinate forme di retribuzione o premi [82], ma permette alla società medesima di preservarsi rispetto a possibili azioni di danni, in un contesto in cui la sensibilità per i temi ambientali e sociali è sempre più intensa. Di qui l’utilità di nuove competenze professionali, sia in capo agli amministratori esecutivi, sia per quei consiglieri che appartengono a comitati creati per queste finalità, competenze che consentano di conciliare la spinta verso la produzione di ricchezza con la preservazione di quei valori che il concetto di sostenibilità va a sintetizzare.

Le regole sin qui analizzate danno certamente conto di un nuovo approccio del legislatore nei confronti di realtà in grado di condizionare sensibilmente il comportamento delle grandi imprese e, grazie a questa nuova visione, il raggio di azione delle norme si estende fino a regolare la remunerazione degli amministratori: da oggetto di esclusiva disponibilità dei privati coinvolti, ai quali erano riservate le relative informazioni, la remunerazione degli amministratori è divenuta una questione di interesse generale e, per questo, il legislatore se ne occupa. Al contempo, l’attenzione del legislatore si sta rivolgendo verso indirizzi d’azione ed espressioni di valori, quali la sostenibilità ambientale e sociale, tradizionalmente appartenenti al regno della volontà e dell’iniziativa spontanea.

A questa vis expansiva delle norme, si accompagna, tuttavia, un approccio estremamente cauto del legislatore stesso che, nonostante le importanti ricadute di queste decisioni sulle strategie della società e sugli interessi dei diversi gruppi di stakeholder, si mostra ancora rispettoso della matrice privatistica del­le politiche in merito alle remunerazioni: infatti, il meccanismo delineato dal­la legge risulta essere, nella sostanza, una complessa “cornice” esterna, all’interno della quale, in ultima analisi, decidono i privati.

Le norme, infatti, pur essendo rivolte ad orientare il “merito” della politica di remunerazione, appunto anche mediante il richiamo alla sostenibilità ambientale e sociale, presuppongono, come si diceva, ampi spazi di discrezionalità, affidando all’iniziativa dell’organo di gestione, e allo specifico ruolo dei soci, l’elaborazione delle politiche di remunerazione. Il compito di perseguire questi interessi generali, ed anche il compito di trovare la sintesi tra i diversi interessi in gioco, risulta dunque sostanzialmente affidato, in coerenza anche con le linee di tendenza espresse dal già richiamato Statement on the Purpose of a Corporation della Business Roundtable del 2019, ai privati, alla loro capacità di mediare e, certamente, anche alla loro capacità di comunicare le scelte adottate.


NOTE

[1] La disciplina in materia di trasparenza delle politiche di remunerazione, contenuta nel­l’art. 123-ter t.u.f. è relativamente recente, essendo entrata in vigore a seguito dell’art. 24 l. 4 giugno 2010, n. 96, che ha delegato il governo per l’attuazione delle Raccomandazioni della Commissione 2004/913/CE e 2009/385/CE (d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 259).

[2] Con riferimento al tema della pubblicazione delle remunerazioni degli amministratori, si è persino parlato di notizie che avrebbero dovuto essere opportunamente confinate nella ben diversa categoria del “gossip”: cfr. G.E. Colombo, Il bilancio di esercizio, in Trattato delle s.p.a., 7, Torino, 1994, 150 e L. Enriques, Corporate Governance Reforms in Italy: what has been done, what is left to do, in European Business Organisation Law Review, 10, 2009, 490.

[3] Si veda, per il riferimento al celebre motto attribuito al direttore della Banca d’Inghilterra negli anni tra le due guerre mondiali, A. Chiloiro, La remunerazione degli amministratori delle banche: profili di diritto societario, in Banca, impresa, società, 2017, 81, ivi 83 (nt. 8).

[4] Cfr. M.L. Vitali, M. Miramondi, La remunerazione degli amministratori di società quotate tra equilibrio degli interessi in gioco e assetti proprietari concentrati, in Diritto bancario, 4, 2014, reperibile in www.dirittobancario.it. Il legislatore, quindi, fa propria l’idea secondo cui le politiche di remunerazione debbano essere esplicitate, in quanto ciò consente di verificare, ad esempio, se gli incentivi previsti per gli amministratori esecutivi siano in grado di allineare gli interessi di questi ultimi con quello degli azionisti e se, in generale, la remunerazione risulti coerente con la redditività a lungo termine dell’impresa nel suo complesso; cfr. R. Kraakman et al., The Anatomy of Corporate Law. A Comparative and Functional Approach, II ed., Oxford, 2009, 75 ss.; G. Ferrarini, N. Moloney, Remunerazione degli amministratori esecutivi e riforma del governo societario in Europa, in Riv. soc., 2005, 590.

[5] Cfr. il Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile della Commissione Europea del­lo scorso 8 marzo 2018, “Finanza sostenibile: il piano d’azione della Commissione per un’e­conomia più verde e più pulita”, reperibile in https://ec.europa.eu/commission/presscorner/
detail/it/IP_18_1404A, in cui si conferma il ruolo fondamentale della remunerazione degli amministratori esecutivi nell’assicurare l’inclusione dei temi sociali ed ambientali nel procedimento di assunzione delle decisioni.

[6] Il progressivo intensificarsi dell’attenzione del legislatore europeo e domestico è il riflesso della crescente considerazione che l’opinione pubblica sta riservando al tema delle remunerazioni degli esecutivi, al quale si collega un sentito bisogno di giustizia sociale di cui la politica spesso si è fatta portatrice. Tra le diverse vicende che hanno visto l’opinione pubblica reagire a fronte di remunerazioni manifestamente eccessive, si può qui ricordare l’iniziativa del politico e imprenditore svizzero Thomas Minder, grazie al quale nel 2013, in Svizzera, è stato ap­provato il referendum propositivo in tema di compensi degli amministratori delle società quotate: a seguito del successo di questo referendum, è stata attribuita all’assemblea degli azionisti la competenza a decidere sugli stipendi dei manager delle società quotate alla borsa di Zurigo: in argomento, rinvio a R. Bahar, R. Malacrida, T. Spillmann, Say on Pay in Switzerland. Minder initiative wins the popular vote, Bär & Karrer Briefing, 2013, 6, reperibile in http://archive-ouverte.unige.ch/unige:41921. Parallelamente, si registra negli stessi anni una sempre crescente attenzione verso i temi riconducibili alla sostenibilità ambientale e sociale, con la sempre più accentuata presenza della consapevolezza del decisivo impatto che l’esercizio del­l’attività d’impresa ha sulla società, nonché sull’ambiente, e con il riconoscimento della necessità di promuovere la responsabilità sociale d’impresa: in argomento, per l’affermarsi della responsabilità sociale d’impresa contemporaneamente alla diffusione epidemica di scandali societari, al proliferare di condizioni di lavoro indecenti per i dipendenti e alla realizzazione di impianti industriali malsicuri, rinvio alle considerazioni di L. Gallino, L’impresa irresponsabile, Torino, 2005, 5 ss. e M. Castellano, La responsabilità sociale d’impresa, in AA.VV., La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. Castellaneta e F. Vessia, Napoli, 2019, 3 ss.

[7] In questa prospettiva, il nuovo art. 123-ter t.u.f. converge verso quanto già previsto da alcune norme di settore (come, nel settore bancario, la CRD VI; nel settore del risparmio gestito, la Direttiva UCITS V e il Regolamento congiunto della Banca d’Italia e della Consob del 30 ottobre 2007, modificato con atto del 27 aprile 2017 e, nel settore assicurativo, il Regolamento IVASS del luglio 2018, n. 38) che vedono la remunerazione quale fattore fortemente incidente sui processi di adozione delle decisioni strategiche e in grado di influenzare sulle modalità di gestione del rischio d’impresa. Va, comunque, precisato che l’attuazione della SHRD II non è al momento definitivamente completata, in quanto mentre si scrive risulta solo avviato il processo per l’adozione delle modifiche regolamentari, già avviato con la pubblicazione da parte di Consob del documento di consultazione del 31 ottobre 2019, reperibile in www.consob.it.

[8] Cfr. C. Angelici, Divagazioni sulla «responsabilità sociale» d’impresa, in AA.VV., La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. Castellaneta e F. Vessia, Napoli, 2019, 30 ss. il quale ritiene che nel nostro ordinamento non vi sia un’indicazione di diritto positivo a favore del “lungo termine”, cui sia possibile riconoscere una “reale portata precettiva (e non soltanto retorica)”, posto che, sempre secondo questo Autore, la dialettica fra il lungo termine e il breve termine è in realtà interna al gruppo dei soci. Si può sin d’ora anticipare che il rispetto del precetto che impone il perseguimento degli interessi a lungo termine della società è, in concreto, assicurato dalla presenza di obblighi informativi verso i terzi e soprattutto verso i soci che, quando chiamati al voto sulle due sezioni della Relazione sulla politica in materia di remunerazione e sui compensi corrisposti, possono sanzionare l’operato degli amministratori con un voto contrario. Si veda infra, par. 6.

[9] Come osserva C. Angelici, (nt. 8), 39, infatti, la distinzione fra “breve” e “lungo termine” è piuttosto incerta, tanto che, ad esempio, un miglioramento delle condizioni ambientali o della qualità della vita dei lavoratori potrebbe essere ascritto al “lungo termine” e, allo stesso tempo, il beneficio o il vantaggio reputazionale delle scelte dell’impresa su tali questioni possono manifestarsi nell’immediato, quali conseguenze nel breve termine.

[10] Come si avrà modo di rilevare (infra, par. 2), la necessità di valorizzare il perseguimento di interessi di lungo periodo è, ad esempio, ben presente nello Statement on the Purpose of a Corporation della Business Roundtable del 19 agosto 2019 e nella Lettera del CEO di Black­Rock, L. Fink, del gennaio 2019.

[11] Si veda il Codice di Corporate Governance approvato lo scorso gennaio 2020, nelle “Definizioni”; altre indicazioni che portano all’idea dell’agire e del decidere “a lungo termine” sono reperibili, significativamente, nell’art. 1, “Ruolo dell’organo di amministrazione”, Raccomandazioni, 1, con riferimento alla “generazione di valore di lungo termine”, nonché nell’art. 5, “Remunerazione”, Raccomandazioni, 28, con riferimento all’allineamento, nei piani di remunerazione basati su azioni per gli amministratori esecutivi e il top management, con gli interessi degli azionisti in un orizzonte di lungo termine; in questa prospettiva, il Codice di Corporate Governance si conforma all’esperienza di altri Codici, come ad esempio “The Dutch Corporate Governance Code” che, al principle n. 3.1, precisa che “The remuneration policy applicable to management board members (…) should focus on long-term value creation”; si veda, altresì, il documento Principles of Corporate Governance, Luxembourg Stock Exchange, reperibile in www.bourse.lu/corporate-governance, principle n. 7, in cui si afferma che: “The company shall establish a fair remuneration policy for its Directors and the members of its Executive Management that is compatible with the long-term interests of the company”. Queste recenti tendenze sono fatte proprie anche nel Codice francese AFEP-MEDEF del giugno 2018 [il Codice AFEP-MEDEF, reperibile in www.afep.com, è un insieme di raccomandazioni elaborate, a seguito di concertazione, dall’Association Française des Entreprises Privées (AFEP) e dal Mouvement des Entreprises de France (MEDEF) e rivolte alle società quotate francesi], che include principi rivolti a rinforzare il ruolo del consiglio di amministrazione nella creazione di valore nel lungo periodo, oltre alla previsione dell’introduzione di uno o più criteri di Corporate Social Responsibility nella remunerazione degli amministratori esecutivi (par. 24.1.1). Particolare attenzione verso l’approccio di lungo termine è rilevabile anche nel Codice di Corporate Governance Belga 2020, reperibile in www.corporategovernancecommittee.be, in cui gli esecutivi sono tenuti a conservare un minimo numero di azioni in pendenza della loro carica e, nel caso in cui debbano essere pagati con azioni, queste devono essere conservate fino all’intera durata del loro ufficio; da un diverso punto di vista, lo stesso Codice Belga, al principle n. 7, stabilisce che, nel caso in cui la società riconosca una remunerazione variabile di breve termine, questa deve essere soggetta ad un limite massimo.

[12] L’art. 9-bis SHRD, con il riferimento alla responsabilità sociale d’impresa, si pone nella linea di tendenza che incorpora nell’ordinamento i principi e i criteri nati nel contesto della Corporate Social Responsibility, i quali, almeno alle origini, si contraddistinguono per essere fatti propri dalle imprese in termini pienamente volontari: si veda M. Di Rienzo, Della Responsabilità Sociale d’Impresa alla Responsabilità Sociale del Consumatore/Cittadino, in AA.VV., La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. Castellaneta e F. Vessia, Napoli, 2019, 9 ss.; ma si veda, per l’affievolirsi della volontarietà, almeno nell’ambito della definizione della Responsabilità Sociale d’Impresa recepita dalla Commissione Europea, la Comunicazione della Commissione del 25 ottobre 2011 [Comm. (2011) 681]: cfr. M. Castellano, (nt. 6), 4. Si osserva, a questo proposito, che nel contesto delle remunerazioni degli amministratori delle società quotate, i criteri riferibili alla Responsabilità Sociale d’Impresa sono certamente recepiti su base volontaria, almeno nel significato per cui sono gli amministratori a decidere se, e in quale misura, richiamarsi a questi criteri e principi; rileva, tuttavia, il fatto che la norma li richiama espressamente e, allo stesso tempo, consente il loro utilizzo nella valutazione dei risultati, presumibilmente non finanziari, raggiunti dagli amministratori esecutivi. Si assiste, dunque, all’inclusione di questi criteri nel­l’ordinamento, nell’ambito di un meccanismo che, pur preservando il requisito della volontarietà circa la loro adozione, impone in definitiva che gli amministratori indichino formalmente quali criteri sono stati adottati e se questi risultino riferibili alla responsabilità sociale d’impre­sa. In altri contesti, i criteri e i principi propri della Corporate Social Responsibility risultano richiamati con finalità che potrebbero essere definite, in un certo senso, “premiali”, come avviene quando l’adozione di processi volti a garantire forme di Corporate Social Responsibility, anche attraverso l’adesione a programmi promossi da organizzazioni nazionali o internazionali e l’acquisizione di indici di sostenibilità, consente di migliorare il rating di legalità, previsto dall’art. 5-ter, n. 1, d.l. 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, nonché dal regolamento di attuazione (Decreto 20 febbraio 2014, n. 57) del MEF-MISE (Regolamento concernente l’individuazione delle modalità in base alle quali si tiene conto del rating di legalità attribuito alle imprese ai fini della concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e di accesso al credito bancario ai sensi dell’art. 5 ter, comma 1): in argomento, rinvio a G. Giannelli, Investimento reputazionale e rating di legalità, in AA.VV., La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. Castellaneta e F. Vessia, Napoli, 2019, 135. Non mancano altri esempi in cui il perseguimento spontaneo di risultati attinenti a temi relativi all’ambiente, alla società, al personale e al rispetto dei diritti umani è oggetto di una specifica regolazione, come avviene per la disciplina delle informazioni non finanziarie (v. infra, par. 3), in cui si registra l’obbligo della trasparenza sulle scelte, che restano comunque proprie dell’ente; si pensi, inoltre, alla regolazione dell’operatore di finanza etica e sostenibile (art. 111-bis t.u.b.), che conforma la propria attività ad una particolare attenzione all’impatto sociale ed ambientale e che, coerentemente, adotta un sistema di governance e un modello organizzativo a forte orientamento democratico e partecipativo, caratterizzato da un azionariato diffuso, cui si aggiungono, così confermando lo stretto nesso che intercorre tra la governance e le politiche di remunerazione, “politiche retributive tese a contenere al massimo la differenza tra la remunerazione maggiore e quella media della banca, il cui rapporto comunque non può superare il valore di 5” [art. 111-bis t.u.b., primo comma, lett. e) e f)].

[13] Regolamento da adottare sentite Banca d’Italia e IVASS, per quanto riguarda i soggetti rispettivamente vigilati.

[14] Il riferimento alla sostenibilità introduce, nelle regole in materia di remunerazione degli amministratori e, conseguentemente, nell’organizzazione societaria, un concetto nato fuori dall’ambito giuridico e che esprime uno scopo collettivo, al quale mirano anche enti sovranazionali. In estrema sintesi, un riferimento allo sviluppo sostenibile è rinvenibile nelle Linee Guida dell’OCSE del 2011, destinate alle imprese multinazionali, le quali sono sollecitate a “tenere pienamente conto delle politiche in atto nei paesi in cui operano e prendere in considerazione i punti di vista degli altri stakeholder”, ovvero i lavoratori, l’ambiente, i consumatori, i clienti, i fornitori, i concorrenti, la comunità, ecc. Riferimenti allo sviluppo sostenibile sono presenti nel Trattato di Amsterdam del 1997 (Art. 2.2. del Trattato di Amsterdam che modifica l’art. 2 del Trattato dell’Unione Europea), nel Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (punto 4 delle Disposizioni Generali del Trattato di Lisbona, che modifica il TUE) e nel Tfue (art. 11 tfue, ex art. 6 del TCE). Per le fonti primarie italiane, si può ricordare l’art. 1 della l. 5 gennaio 1994, n. 36 (c.d. “legge Galli”), sull’utilizzo e il riutilizzo delle fonti idriche e la Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia del 2002, elaborata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, in accordo con l’Agenda 21 e il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

[15] Per quanto riguarda la pubblica opinione, basti ricordare il recente numero del­l’Econo­mist dal titolo “What are Company for? Big Business, Shareholders and Society”, del 24 agosto 2019, in cui un’intera sezione della rivista risulta dedicata alle nuove politiche imprenditoriali che tengono in considerazione non solo gli interessi degli azionisti, ma anche quelli dei clienti, dei dipendenti, dei fornitori e delle comunità di riferimento.

[16] Lo Statement, sottoscritto dai CEO delle più importanti società statunitensi è reperibile in https://opportunity.businessroundtable.org/. In argomento, rinvio al forum, a cura di A. Perrone, Lo Statement della Business Roundtable sugli scopi della società. Un dialogo a più voci, in questa Rivista, 2019, 589 ss.; si veda anche M. Libertini, Un commento al manifesto sulla responsabilità sociale d’impresa della Business Roundtable, in questa Rivista, 2019, 627 ss. e M. Maugeri, “Pluralismo” e “monismo” nello scopo della s.p.a. (glosse a margine del dialogo a più voci sullo Statement della Business Roundtable), in questa Rivista, 2019, 637.

[17] La Stakeholder Governance, di cui il documento appena richiamato nel testo può essere considerato un manifesto, anche in ragione del fatto che risulta sottoscritto da 181 CEO di società quotate, rappresenta un approccio che intende fortemente distinguersi rispetto alla tradizionale Shareholder Primacy, non solo per la rilevanza che viene attribuita a soggetti diversi dai soci, ma soprattutto in termini di metodo di azione, in quanto i firmatari focalizzano l’at­tenzione sulla promozione dell’azione di lungo termine, a beneficio degli stakeholder. Cfr. A.O. Emmerich, W. Savitt, S.V Niles, K. Iannone Tatum, United States, in The Corporate Governance Review, Tenth Edition, Willem J L Calkoen, Law Business Research, 2020, 367. Benché la contrapposizione fra short-termism e il perseguimento di interessi a lungo termine non rispecchi pienamente l’antitesi fra la Shareholder Primacy e la Stakeholder Governance, nel documento si delinea un netto confronto fra lo short-termism, focalizzato sulla crescita del valore di mercato delle azioni e diretto a favorire i soli soci, e l’azione di lungo termine, in grado di tenere conto, nel più complesso procedimento di decision-making che la caratterizza, anche di interessi più ampi, tra i quali si annoverano certamente le questioni relative alla sostenibilità ambientale e sociale. Questa contrapposizione ricorda, in un contesto diverso, la sollecitazione verso il “pensiero lento”, ossia il sistema di pensiero riflessivo, intenzionale e logico, attivato quando l’individuo pone attenzione, ha a disposizione più elementi di giudizio e tempo sufficiente per operare una scelta complessa; il “pensiero lento”, combinato con quello “veloce”, può rendere quasi automatiche le scelte più semplici e al contempo assicurare le risorse per ponderare le decisioni più complesse, come insegna D. Kahneman, Thinking, Fast and Slow, New York, 2011.

[18] M. Lipton, Forum Response, The American Corporation in crisis. Let’s Rethink It, in Boston Review, 2 ottobre 2019, reperibile in http://bostonreview.net/forum/american-corpora
tion-crisis-lets-rethink-it/martin-lipton-new-paradigm. Lo Statement del 2019, rappresenta, dunque, un forte e definitivo punto di distacco rispetto alla Shareholder Theory che ha come capofila M. Friedman (The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, The New York Times Magazine, 13 settembre 1970, 33). Per una recente critica della Shareholder Primacy rinvio a L. Palladino, Ending Shareholder Primacy in Corporate Governance, Roosevelt Institute Working Paper, Roosevelt Institute, Feb. 2019, in www.roosevelt
institute.org.

[19] Reperibile in https://www.weforum.org/agenda/2019/12/davos-manifesto-2020-the-universal-
purpose-of-a-company-in-the-fourth-industrial-revolution/.

[20] Documento reperibile in www.blackrock.com; anche la Lettera del 2018 si pone sulla medesima linea di pensiero, valorizzando, in particolare, la strategia di lungo periodo come essenziale per affrontare le sfide potenziali; anzi, la dottrina individua come data di inizio del dibattito attuale proprio la lettera del gennaio 2018: E.B. Rock, For Whom in the Corporation Managed in 2020?: The debate over corporate purpose, ECGI Working Papers Series in Law, 515/2020, maggio 2020, 2, reperibile in https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_
id=3589951.

[21] Molti Stati degli U.S.A. hanno approvato Constituency Statutes per mezzo dei quali sono consentiti obblighi fiduciari a favore degli stakeholder; in argomento, rinvio a A. Bisconti, The Double Bottom Line: Can Constituency Statutes Protect Socially Responsible Corporations Stuck in Revlon Land, in Loyola Los Angeles Law Review, 2009, 765 ss.; si veda, altresì, C. Angelici, La società per azioni e gli “altri”, in AA.VV., L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders, in ricordo di P.G. Jaeger, Milano, 2010, 45 ss., e G. Conte, L’impresa responsabile, 2018, 154 ss. Un esempio di constituency statute è rinvenibile nella legge dello Stato della Pennsylvania [15 Pa. Cons. Stat. Section 1715 (2016)], in cui si prevede che, nell’esercizio dei poteri gestori, possono essere presi in considerazione “(t)he effects of any action upon any or all groups affected by such action, including shareholders, employees, suppliers, customers and creditors of the corporation, and upon communities in which offices or other establishments of the corporation are located”. Come si può rilevare, nell’esercizio dei poteri non si esige alcuna primazia degli interessi degli azionisti, ma si attribuisce al consiglio di amministrazione un’ampia discrezionalità nel dare rilevanza agli interessi dei diversi gruppi di stakeholder.

[22] Come osserva E.B. Rock (nt. 20), 4, negli Stati Uniti si registra una pletora di iniziative destinate ad essere attuate dal settore privato, come ad esempio i “Commonsense Corporate Governance Principles”, reperibili in https://www.governanceprinciples.org, e l’“Investor Stewardship Group”, i cui principi di riferimento sono reperibili in https://isgframework.org.

[23] L’Accountable Capitalism Act impone agli amministratori il dovere di creare “a general public benefit”, con riferimento agli stakeholder, inclusi gli azionisti, i dipendenti, l’ambiente, tutelando così gli interessi dell’impresa nel lungo periodo. È interessante rilevare che, fra le altre disposizioni, l’Accountable Capitalism Act contiene anche una sezione dedicata alle politiche di remunerazione e volta a disincentivare i pagamenti in azioni per i top manager, limitando la possibilità di rivendere a breve termine i titoli ricevuti in forma di bonus o stipendio.

[24] Nell’ambito delle iniziative più radicali può essere collocata quella del senatore indipendente Bernie Sanders, il quale propone che le grandi imprese siano obbligate a trasferire almeno il 2% all’anno delle loro azioni, fino all’ammontare del 20%, in un “Democratic Employee Ownership Fund”, con in più il diritto dei dipendenti di eleggere il 45% degli amministratori; si veda https://berniesanders.com/issues/corporate-accountability-and-democracy/.

[25] Questa soluzione normativa risulta ispirarsi ai principi della Enlightened shareholder value (ESV) che prevede la promozione del benessere degli azionisti nell’ambito di un orientamento verso il lungo periodo, favorendo la crescita sostenibile e compatibile con una responsabile attenzione verso un’ampia serie di interessi rilevanti degli stakeholder: R. Williams, Enlightened Shareholder Value in UK Company Act, in UNSW Law Journal, 2012, 360; D.K. Millon, Enlightened Shareholder Value, Social Responsibility, and the Redefinition of Corporate Purpose without Law, in AA.VV., Corporate Governance after Financial Crisis, Edward Elgar Publishing, 2012, 68 ss.

[26] In argomento, rinvio a S. Schiller, L’évolution du rôle des sociétés depuis la loi PACTE, in questa Rivista, 2019, 517 ss.

[27] Si veda supra, nt. 11.

[28] Anche nel Codice di Corporate Governance Belga del 2020, al principle n. 7 (si veda supra, nt. 11), si prevede che il consiglio deve assicurarsi che la politica di remunerazione sia coerente con il quadro di remunerazione generale della società.

[29] Nei lavori preparatori (Loi n. 2019-486 del 22 maggio 2019, “relative à la croissance et la transformation des entreprises”, Exposé des motifs, reperibile in http://www.legifrance.
gouv.fr/) si precisa che l’intento della legge è volto non a fornire una definizione rigida, bensì a consacrare la nozione di interesse sociale. Si osserva, altresì, che il riconoscimento della rilevanza delle questioni sociali e ambientali rappresenta un aspetto fondamentale della gestione delle società, in quanto ciascun amministratore si deve porre di fronte alle richiamate questioni e considerarle con attenzione nell’interesse della società, nel momento in cui si accinge ad assumere decisioni gestionali. La mancata definizione dei contenuti riferibili alle questioni sociali e ambientali è oggetto di critiche da parte della dottrina francese, la quale osserva che, nonostante il tentativo ambizioso di concretizzare nella legge i principi della CSR, le nuove norme possono non disporre della necessaria efficacia: M. Morales, La loi PACTE et la prise en compte des considérations sociales et environnementales en droit des sociétés: une réforme en trompe l’œil?, in Revue juridique de l’envinronnement, 2019, 339 ss.

[30] Exposé des motifs, (n. 29).

[31] Così N. Senard, J-D. Notat, Rapport “L’entreprise, objet d’intérêt collectif”, rapporto ai Ministri de la Transition écologique et solidaire, de la Justice, de l’Économie et des Finances, du Travail, del 9 marzo 2018, reperibile in https://www.economie.gouv.fr/mission-entreprise-et-interet-general-rapport-jean-dominique-senard-nicole-notat, in cui si prende atto del fatto che le imprese già attribuiscono rilevanza alle questioni sociali e ambientali e si suggerisce di non limitare lo sguardo alla sola “raison d’avoir”, ma di formulare una “raison d’être” che possa chiarire l’“intérêt propre de la société et de l’entreprise, ainsi que la prise en considération de ses enjeux sociaux et environnementaux”. Si nota che nel Rapport appena citato si raccomanda di affidare la formulazione della “raison d’être” ai consigli di amministrazione, mediante una modifica dell’art. L.225-35 Code de commerce, così affidando all’organo amministrativo l’individuazione dell’ordine di priorità degli interessi da perseguire.

[32] “Cette notion de raison d’être vise à rapprocher les chefs d’entreprise et les entreprises avec leur environnement de long terme”: Notion de «raison d’être» des entreprises inscrite dans le projet de loi Pacte, reperibile in https://www.senat.fr/questions/base/2018/qSEQ181
107560.html; si veda: I. Urbain-Parleani, L’article 1835 et la raison d’être, in questa Rivista, 2019, 533 ss. anche per le critiche, anche severe, su questo nuovo concetto, accusato in sostanza di essere eccessivamente evanescente.

[33] È, comunque, consentita una limitata remunerazione del capitale investito, come prevede l’art. 3, comma 3, d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112.

[34] L’esclusione di cui si discorre nel testo riduce a pochi casi il predetto coinvolgimento diretto degli stakeholder, dato che la quasi totalità delle imprese sociali è costituita in forma cooperativa.

[35] Legge di Stabilità 2016 (l. 28 dicembre 2015, n. 208), commi da 376 a 384.

[36] Per l’analisi del significato, non privo di ambiguità, del previsto “bilanciamento” tra i diversi interessi al fine di raggiungere lo scopo sociale, che si declina nello scopo di lucro e al contempo nel beneficio comune, rinvio a F. Denozza, A. Stabilini, La società benefit nell’era dell’investor capitalism, in questa Rivista, 2017, 2, 8 ss.

[37] L’introduzione nel nostro ordinamento della società benefit non solo consente di accogliere le istanze legate alla Corporate Social Responsibility, ma impone anche dei notevoli assestamenti di sistema; tra le numerose questioni sollevate dall’introduzione della società benefit si pone quella relativa alla possibilità, per le società non benefit, di operare secondo quanto previsto dal comma 377 della Legge di Stabilità 2016, vale a dire di compiere atti o attività che non si pongano come strumentali, neppure indirettamente, rispetto allo scopo di lucro; cfr. F. Denozza, A. Stabilini, (nt. 36), 10 ss.; C. Angelici, Società benefit, in questa Rivista, 2017, 2, 5 ss.; G. Marasà, Scopo di lucro e scopo di beneficio comune nelle società benefit, in questa Rivista, 2017, 2, 4 ss. e 8; si veda anche S. Rossi, L’impegno multistakeholder delle società benefit, in questa Rivista, 2017, 2, 6 ss. la quale osserva che rimangono esenti dall’obbligo di assumere la forma della società benefit quelle imprese nelle quali gli impegni di responsabilità sociale non appartengono stabilmente al programma imprenditoriale concordato dai soci nello statuto della società e in cui le iniziative di Corporate Social Responsibility, adottate dagli amministratori, risultino compatibili con obiettivi di massimizzazione del profitto senza che sia necessario ricorrere a nessuna operazione di bilanciamento; cfr. M. Stella Richter jr., Società benefit e società non benefit, in questa Rivista, 2017, 2 ss., per la piena ammissibilità, per le società “non benefit”, di una gestione socialmente responsabile che “funzioni anche dal punto di vista economico”. Queste ultime, infatti, possono in ogni caso porre in essere, a favore degli stakeholder, quelle azioni che risultino compatibili con lo scopo di lucro della società; cfr., altresì, U. Tombari, “Poteri” e “interessi” nella grande impresa azionaria, Milano, 2019, 74 ss., il quale osserva che nella società benefit l’organo amministrativo dispone del potere-dovere di “contemperare” lo scopo lucrativo e il beneficio comune, mentre nelle società non benefit il beneficio comune può essere perseguito solo in via residuale e strumentale rispetto allo scopo di lucro.

[38] Si veda il III Considerando della direttiva 2014/95/UE: “Nelle risoluzioni del 6 febbraio 2013 sulla «Responsabilità sociale delle imprese: comportamento commerciale trasparente e responsabile e crescita sostenibile» e sulla «Responsabilità sociale delle imprese: promuovere gli interessi della società e un cammino verso una ripresa sostenibile e inclusiva» il Parlamento europeo ha riconosciuto l’importanza della comunicazione, da parte delle imprese, di informazioni sulla sostenibilità, riguardanti ad esempio i fattori sociali e ambientali, al fine di individuare i rischi per la sostenibilità e accrescere la fiducia degli investitori e dei consumatori”. In argomento, rinvio a S. Fortunato, L’informazione non-finanziaria nell’impresa socialmente responsabile, in Giur. comm., 2019, I, 415 ss.

[39] Come osserva U. Tombari, (nt. 37), 74 ss., la disciplina si fonda sul riconoscimento della facoltà degli amministratori di realizzare politiche a favore di uno o più stakeholder, senza entrare nel tema dei “limiti” entro i quali questa facoltà possa essere esercitata.

[40] S. Bruno, Dichiarazione “non finanziaria” e obblighi degli amministratori, in Riv. soc., 2018, 974 ss., ove si osserva che “la logica sottointesa è che la trasparenza inneschi un incentivo per le società a tenere conto di queste tematiche nella gestione nella misura in cui ciò sarà apprezzato o viceversa non premiato dal mercato, e cioè dagli investitori attuali e potenziali”.

[41] La redazione e la pubblicazione della relazione in conformità alla legge è sottoposta alla vigilanza dell’organo di controllo (art. 3, comma 7, d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254), mentre il soggetto incaricato di effettuale la revisione legale del bilancio verifica “l’avvenuta predisposizione” da parte degli amministratori della dichiarazione di carattere non finanziario, riferendone in sezione separata della relazione del revisore (art. 4 Reg. Consob, del. 20267, 18 gennaio 2018). È, inoltre, previsto un apparato sanzionatorio (art. 8 d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254): S. Fortunato, L’informazione non-finanziaria nell’impresa socialmente responsabile, in AA.VV., La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. Castellaneta e F. Vessia, Napoli, 2019, 115 ss.

[42] Cfr. S. Bruno, (nt. 40), 974 ss., ove si osserva che il consiglio di amministrazione potrebbe anche decidere, autonomamente, di presentare la dichiarazione non finanziaria, ovunque contenuta, in assemblea e chiederne il voto non vincolante, anche per perseguire finalità reputazionali.

[43] Come osserva F. Denozza, Scopo della società e interesse degli stakeholders: dalla “considerazione” all’“empowerment”, in AA.VV., La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. Castellaneta e F. Vessia, Napoli, 2019, 77, la regolazione sulla non-financial disclosure è rivolta ad indurre i gestori a considerare questi aspetti e non intende incidere direttamente sul loro comportamento.

[44] S. Fortunato, (nt. 41), 122, nt. 11.

[45] Questa situazione ha indotto una parte della dottrina a prospettare l’inclusione degli interessi degli stakeholder nel processo decisorio per il tramite della partecipazione all’organo amministrativo di componenti indipendenti, quali portatori di interessi esterni rispetto a quelli dei soci, oppure per il tramite del ricorso alla Mitbestimmung, quale strumento ben conosciuto in altri ordinamenti, in grado di includere i rappresentanti dei lavoratori negli organi sociali e, in una prospettiva più attuale, persino di orientare le decisioni, allineandole alle esigenze di perseguire l’obiettivo di tenere in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance (Environmental, Social, and Governance, o ESG): P. Marchetti, M. Ventoruzzo, La via legislativa alla sostenibilità. Riparliamo di cogestione?, in Corriere della Sera, 2 dicembre 2019, L’Economia, 14. Sui possibili meccanismi di coinvolgimento degli stakeholder, tra i quali, ad esempio, la possibilità di essere periodicamente sentiti dal consiglio di amministrazione o il diritto di essere consultati in caso di decisioni che li coinvolgano, rinvio a F. Denozza, A. Stabilini, Principals vs Principals: The Twilight of the “Agency Theory”, in The Italian Law Journal, 2017, 531 s.

[46] Come già rilevato (nt. 34), si ricorda che anche nelle imprese sociali, in cui il coinvolgimento nell’organizzazione interna è previsto tra i principi, l’art. 11, ultimo comma, d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, esclude dall’obbligo proprio la maggior parte degli enti che possano assumere la qualifica di impresa sociale.

[47] Si pensi all’obbligo di rendicontazione non finanziaria (d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254) e alle norme in tema di impresa sociale che impongono, come si rilevava, modalità di gestione responsabile e trasparente (art. 1, primo comma, d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112).

[48] La disciplina dedicata alla Relazione sulla politica di remunerazione e sui compensi corrisposti si inserisce in un più ampio complesso informativo, di cui fa parte anche la “Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari”, prevista dall’art. 123-bis t.u.f., che deve contenere informazioni dettagliate riguardanti anche “gli accordi tra la società e gli amministratori, i componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza, che prevedono indennità in caso di dimissioni o licenziamento senza giusta causa o se il loro rapporto di lavoro cessa a seguito di un’offerta pubblica di acquisto” (art. 123-bis, primo comma, lett. i), t.u.f.).

[49] La Relazione deve essere depositata presso la sede della società almeno ventuno giorni prima dell’assemblea annuale e, sempre entro lo stesso termine, deve essere pubblicata sul sito internet della società o con altre modalità stabilite dalla Consob con regolamento (art. 123-ter, primo comma, t.u.f.). Si veda, altresì, l’art. 84-quater regolamento Consob 11971/1999 (Regolamento Emittenti), il quale a sua volta rinvia agli artt. 65-quinquies, 65-sexies e 65-septies del medesimo Regolamento.

[50] Un’analitica elencazione delle informazioni da inserire nella “Dichiarazione relativa alle retribuzioni” è prevista anche nelle Raccomandazioni 2009/385/CE (al par. 5) e 2004/913/CE (al par. 3, specialmente 3.3). Sui flussi informativi riguardanti la remunerazione degli amministratori, rinvio a M. Del Linz, sub art. 123-ter. Relazione sulla remunerazione, in F. Vella (a cura di), Commentario al Testo Unico sull’Intermediazione Finanziaria, II, Torino, 2012, 1310; A. Beghetto, La remunerazione degli amministratori nelle società quotate, in Nuove leggi civ. comm., 2012, 77 ss.

[51] Mentre la prima sezione dà conto di un ben circostanziato sforzo programmatico che, come dichiara espressamente la legge, “contribuisce alla strategia aziendale” (art. 123-ter, terzo comma-bis, t.u.f.) ed esprime un forward-looking say on pay, la seconda sezione si compone degli elementi che consentono di dare compiutamente conto dei compensi corrisposti (backward-looking), nominativamente per i componenti degli organi di amministrazione e controllo e i direttori generali. Sulla duplicità di contenuti, rappresentata, nel diritto inglese, dalla directors’ remuneration policy e dall’annual report in remuneration, rinvio a C. Gerner, Beuerle, T. Kirchmaier, Say on Pay: do shareholder care?, LSE discusson papers, 2016, reperibile in www.lse.ac.uk.

[52] La completezza delle informazioni sulle remunerazioni oggetto di informazione al pubblico esige l’esposizione dei profili strategici, in tema di remunerazione, che attengono alla promozione della sostenibilità della società, cui si aggiunge l’illustrazione del “modo” con cui si contribuisce alla sostenibilità. Questi intensi obblighi di trasparenza, dunque, non si esauriscono nel richiedere alla società una mera enunciazione di principio, ma si estendono al processo di realizzazione, comportando uno sforzo di concretezza che dovrebbe consentire di dissuadere dalla tentazione di ricorrere a formulazioni generiche e prive di concreti riscontri.

[53] Il rispetto delle regole di trasparenza è affidato, nel sistema contenuto nell’art. 123-ter t.u.f., alla verifica da parte del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale del bilancio circa l’avvenuta predisposizione da parte degli amministratori della seconda sezione della Relazione (art. 123-ter, ottavo comma-bis, t.u.f.); il revisore, a sua volta, nel caso in cui ometta la predetta verifica, è esposto ad una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 193, primo comma-sexies, t.u.f.).

[54] Ciò può portare a reazioni che si avvalgono di strumenti estranei rispetto alle regole societarie, quali possibili campagne di boicottaggio o semplicemente a forme di orientamento della pubblica opinione contro determinate scelte della società. Si rileva che, giusta la previsione appena richiamata, contenuta nell’art. 123-ter, terzo comma, lett. b), t.u.f., la sola descrizione della politica in materia di remunerazione adottata non consente di ritenere adempiuti i doveri di informazione, in quanto l’obbligo di illustrare “le procedure utilizzate per l’adozione e l’attuazione della politica” espande sensibilmente siffatti doveri che, quindi includono, da una parte, la descrizione del processo interno che ha portato verso determinate scelte e, dal­l’altra, l’indicazione delle concrete modalità tramite le quali queste scelte programmatiche sono portate ad esecuzione. L’illustrazione della politica e delle richiamate procedure deve avvenire in modo “chiaro e comprensibile” (art. 123-ter, terzo comma, t.u.f.): questa precisazione, introdotta dall’art. 3 d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49, in attuazione di quanto previsto nell’art. 9-bis SHRD, si rende opportuna in vista delle ampie finalità del documento, che non è destinato alla mera consultazione interna, ma risulta rivolto, come si diceva, agli azionisti e al pubblico degli investitori.

[55] Va, comunque, rilevato che gli azionisti sono unicamente chiamati ad approvare o a respingere la politica di remunerazione approvata dagli amministratori e non possono deliberare su politiche di remunerazione alternative (in ipotesi, per iniziativa di un socio in sede assembleare), né votare separatamente su alcune parti e non altre. In diversi contesti il ruolo dei soci si differenzia, come accade nel caso della società benefit, in cui il socio partecipa alla decisione in merito all’integrazione dell’oggetto sociale con le finalità specifiche di beneficio comune che sono state individuate e che si intendono perseguire nell’attività d’impresa: D. Siclari, Trasformazione in società benefit e diritto di recesso, in Riv. trim. dir. economia, 2019, 80 ss. La centralità dei soci nelle società benefit è chiaramente confermata dal fatto che ai soci non soltanto spetta la decisione di dare vita ad una società benefit, ma anche la scelta delle “finalità di beneficio comune”: F. Denozza, A. Stabilini, Due visioni della responsabilità sociale d’impresa, con una applicazione alla società benefit, intervento al convegno Orizzonti del Diritto Commerciale, 2017, “Il diritto commerciale verso il 2020: i grandi dibattiti in corso, i grandi cantieri aperti”, reperibile in https://air.unimi.it/. Nella disciplina dedicata alla rendicontazione non finanziaria, invece, i soci non sono chiamati a contribuire al merito di quanto indicato nel documento, potendosi prospettare solo un’influenza indiretta degli stessi sulle scelte esposte nel rendiconto. Infatti, la rendicontazione non finanziaria non è sottoposta al voto dei soci; costoro, tuttavia, potrebbero far valere il proprio dissenso sul contenuto della rendicontazione non finanziaria, ad esempio, in occasione della delibera di nomina degli amministratori.

[56] L’espressa limitazione del voto alla sola prima sezione, nella formulazione previgente dell’art. 123-ter t.u.f., non escludeva la possibilità che i soci, in concreto, usassero il proprio voto al fine di dimostrare la propria generica insoddisfazione rispetto all’entità e struttura dei compensi attribuiti a tutti o ad alcuni amministratori, come risultanti dalla seconda sezione della Relazione: cfr. M. Belcredi et al., Proxy advisors and shareholder engagement. Evidence from Italian say on pay, Quaderni di finanza Consob, 2015, 19.

[57] In entrambe le formulazioni dell’art. 123-ter t.u.f., e più intensamente dopo le modificazioni introdotte dal d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49, si ravvisa l’intendimento di coinvolgere l’as­semblea sulle questioni relative alle remunerazioni alla stregua di quanto indicato nella Raccomandazione 2004/913/CE che, nell’Ottavo Considerando, lega espressamente il voto assembleare sulla politica delle remunerazioni all’esigenza di “rafforzare l’obbligo di rendere conto agli azionisti”. Si veda, altresì, il Decimo Considerando della Raccomandazione 2009/385/CE: “Per ribadire la responsabilità delle società, gli azionisti dovrebbero essere incoraggiati a partecipare alle assemblee generali e ad usare nel modo opportuno i loro diritti di voto. In particolare, gli azionisti istituzionali dovrebbero assumere un ruolo di primo piano nel­l’assegnare al consiglio di amministrazione maggiori responsabilità con riguardo alle remunerazioni”.

[58] Per individuare il contenuto della prima sezione della Relazione occorre rifarsi all’art. 123-ter, terzo comma, t.u.f., e allo Schema 7-bis dell’Allegato 3A al Regolamento Emittenti, il quale impone di indicare, tra l’altro, se sia stato attivato un comitato remunerazioni composto da amministratori indipendenti, quale sia stato il grado di coinvolgimento degli organi delegati nella formulazione delle proposte di remunerazione concernenti l’alta dirigenza, l’adesione o meno alle indicazioni provenienti dal Codice di Autodisciplina delle società quotate, se sia stato interpellato un esperto esterno, in base a quali criteri sia stato suddiviso il compenso tra la parte fissa e la parte variabile e in che modo si sia tenuto conto dell’esigenza di allineare gli incentivi del management con il perseguimento degli interessi di lungo periodo della società (si veda il principio 6.P.2 del Codice di Autodisciplina).

[59] La legge, dunque, affida alla società, in sede di formulazione della politica di remunerazione che verrà approvata dai soci, la predeterminazione delle attività necessarie per l’ac­cer­ta­mento e la verifica delle circostanze eccezionali, indicando quali profili della politica stessa siano passibili di deroga temporanea e quali, invece, debbano rimanere invariati. La definizione di “circostanze eccezionali” risulta, invece, fornita direttamente dallo stesso terzo comma-bis dell’art. 123-ter t.u.f., nei medesimi termini utilizzati dall’appena evocato art. 9-bis, quarto comma, SHRD: si tratta delle situazioni in cui la deroga risulti “necessaria ai fini del perseguimento degli interessi di lungo termine e della sostenibilità della società nel suo complesso o per assicurarne la capacità di stare sul mercato”. Pur nell’indiscutibile ampiezza della previsione, spicca il riferimento alla “necessità”, che dovrebbe limitare sensibilmente la possibilità di invocare le circostanze eccezionali e che, comunque, impone agli amministratori un impegnativo onere di motivazione. Si ricorda che il previgente art. 123-ter t.u.f. non attribuiva effetti vincolanti alla delibera sulla prima sezione della Relazione; ciononostante, secondo la dottrina formatasi prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49, in presenza di un voto contrario alla politica di remunerazione proposta, gli amministratori potevano mantenere inalterata la politica medesima solo motivando analiticamente la decisione: cfr. M. Rabitti, P. Spatola, sub art. 123-ter, in M. Fratini, G. Gasparri (a cura di), Il testo unico della finanza, Torino, 2012, 1715; P. Abbadessa, Assemblea e operazioni con parti correlate (prime riflessioni), in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, diretto da P. Benazzo, M. Cera, S. Patriarca, Studi in onore di G. Zanarone, Torino, 2011, 581, v. 589 s., e A.M. Bentivegna, La relazione sulle remunerazioni degli amministratori di società quotate ed il nuovo art. 123-ter t.u.f, in Riv. dir. impresa, 2011, 298 s.

[60] L’art. 9-ter SHRD consente la previsione di un’eccezione a favore delle piccole e medie imprese, come definite nell’art. 3, par. 2 e par. 3, della direttiva 2013/34/UE; questa facoltà, in un primo tempo prevista nello schema di decreto legislativo di recepimento della SHRD II, non è stata inclusa nella versione definitiva del d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49: cfr. P. Valensise, Il recepimento della SHRD2 sull’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti. Un preliminare orientamento sullo stato dell’arte, in Diritto Bancario, 2019.

[61] Cfr., in relazione alla precedente formulazione dell’art. 123-ter t.u.f., A.M. Bentivegna, (nt. 59), 296 s. e C. Angelici, La società per azioni, I, Principi e problemi, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 2012, 326.

[62] L’obbligo di porre a disposizione del pubblico l’esito della votazione, e quindi le percentuali di voti favorevoli e contrari, fa sì che il meccanismo del say on pay metta il mercato nelle condizioni di poter meglio valutare quali effettivamente siano i rapporti tra i manager e gli azionisti e lo stato del vincolo fiduciario che lega i primi ai secondi: cfr. M. Rabitti, P. Spatola, (nt. 59), 1715. Pertanto, le informazioni relative all’esito della votazione consentono al pubblico di valutare questo esito, nell’ambito delle diverse circostanze che concorrono alla decisione di investire nella società e gli azionisti, per contro, possono decidere di disinvestire. Come si legge nel Documento di consultazione Consob del 10 ottobre 2011, n. 7: “La disclosure delle remunerazioni degli amministratori svolge due importanti funzioni. Da una parte, permette agli investitori di accedere a informazioni sul sistema di incentivi vigente in ogni impresa, favorendo una più accurata valutazione della società e l’esercizio su base informata dei diritti degli azionisti (…). Dall’altra, la trasparenza sulle remunerazioni può essere un valido meccanismo attraverso cui responsabilizzare gli organo competenti a definire i compensi”.

[63] In argomento, rinvio a T. Barko, M. Cremers, L. Renneboog, Shareholder Engagement on Environmental, Social, and Governance Performance, Working Paper n. 509/2017, www.ecgi.org/wp. A tale proposito si veda il XIV Considerando della SHRD II, in cui il maggiore coinvolgimento degli azionisti nel governo societario delle società è individuato come “una delle leve che possono contribuire a migliorare i risultati finanziari e non finanziari delle società, anche per quanto riguarda i fattori ambientali, sociali e di governo, in particolare ai sensi dei principi di investimento responsabile sostenuti dalle Nazioni Unite”. Per la rilevanza delle istanze di CSR nel voto sulla remunerazione degli amministratori, rinvio a C.P. Cullinan, L. Mahoney, B. Roush, Are CSR activities associated with shareholder voting in director elections and say on pay votes?, in Journal of contemporary Accounting and Economics, 2017, 225-243.

[64] Cfr. A.O. Emmerich, W. Savitt, S.V Niles, K. Iannone Tatum, (nt. 17), 367.

[65] In questo contesto, dunque, i soci manifestano interesse verso la massimizzazione dell’ef­fi­cienza dell’impresa e possono indurre la società a perseguire determinati scopi, come la qualità della governance: cfr. S. Alvaro, M. Maugeri, G. Strampelli, Investitori istituzionali, governo societario e codici di stewardship. Problemi e prospettive, Quaderni Consob, 19, gennaio 2019, 6 ss. In più, specialmente dopo la crisi, gli investitori istituzionali sono interessati a usare la propria influenza per minimizzare i rischi che possano derivare da specifici assetti di corporate governance: T. Barko, M. Cremers, L. Renneboog (nt. 63).

[66] Il ruolo degli investitori istituzionali è stato favorito, negli Stati Uniti, dall’approvazione della legge federale in materia fiscale e del lavoro, l’Employee Retirement Income Security Act del 1974. Essi hanno acquisito grande rilevanza tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso: si pensi ai “Big Three” (BlackRock, Vanguard e State Street), che sono diventati i più grandi investitori nel mercato dei capitali; cfr. M. Kahan, E. Rock, Let Shareholders Be Shareholder, ECGI Working Paper Series in Law, Working Paper n. 467/2019, luglio 2019, in https://papers.
ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3295098.

[67] Si vedano a questo proposito i Considerando XV e XVI della SHRD II, in cui si evidenziano i due capi della questione, vale a dire l’emersione di un ruolo “di rilievo nel governo societario” (XV Considerando) e la correlativa necessità di essere trasparenti in merito alla politica di impegno (XVI e XVII Considerando).

[68] Si veda, a questo proposito, l’art. 125-quater, secondo comma, t.u.f. L’azionista, inoltre, potrebbe anche manifestare il proprio dissenso mediante quello che icasticamente viene definito “voting with your feet”, vale a dire la cessione delle partecipazioni: N. Ringe, Shareholder activism. A rainassance, in W.G. Gordon, N. Ringe, The Oxford handbook of Corporate Governance, Oxford University Press, 2018, 387 ss.

[69] XXII Considerando SHRD II.

[70] Al di fuori di questo schema, l’inosservanza degli obblighi appena richiamati potrebbe essere rilevata dall’organo di controllo, nell’ambito delle proprie generali competenze in merito al rispetto della legge. Si può, tuttavia, osservare che manca una specifica previsione in merito ad un possibile intervento dell’organo di controllo, come invece avviene per la rendicontazione non finanziaria. In questo caso, infatti, (si veda supra, nt. 41) l’art. 3, settimo comma, d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254, senza introdurre specifiche innovazioni rispetto all’ambito delle competenze dei sindaci, dispone che “l’organo di controllo, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite dall’ordinamento, vigila sull’osservanza delle disposizioni stabilite nel presente decreto e ne riferisce nella relazione all’assemblea”.

[71] Come si osserva nel Final Report della Commissione Hayne, “Culture, governance and remuneration march together. Improvements in one area will reinforce improvements in others; inaction in one area will undermine progress in others”: The Hon. Justice Kenneth Hayne, Royal Commission into Misconduct in the Banking, Superannuation and Financial Services Industry, Final Report, febbraio 2019, reperibile in www.royalcommission.gov.au, 412.

[72] L’assegnazione agli amministratori di una grande discrezionalità, che consente agli stessi di introdurre, nel loro agire, valori e finalità che potrebbero non essere condivisi con i soci, almeno in quanto non riconducibili allo scopo della massimizzazione del profitto, è oggetto di critica da parte della dottrina risalente: J.R. Macey, An Economic Analysis of the Various Rationales for Making Shareholders the Exclusive Beneficiaries of Corporate Fiduciary Duties, (1991), Yale Law School, Faculty Scholarship Series, Paper 1713, reperibile in http://digital
commons.law.yale.edu/fss_papers/1713.

[73] Cfr. L. Stout, The Shareholder Value Myth, in European Financial Review, aprile - maggio 2013, reperibile in https://ssrn.com/abstract=2277141 e cfr. M. Lipton, (nt. 18). Ciò significa che la decisione di investire molte risorse in ricerca e sviluppo, anche al costo di sfavorire il prezzo a breve delle azioni, è completamente protetto dalla Business Judgment Rule, anche se l’investimento non porta i risultati sperati: cfr. E.B. Rock, (nt. 20), 15.

[74] In questa prospettiva si pone la critica di V. Calandra Buonaura, Responsabilità sociale dell’impresa e doveri degli amministratori, in Giur. comm., 2011, I, 546 s. La dottrina ha osservato che le prassi socialmente responsabili inevitabilmente comportano dei costi e, dunque, quando non rispondano a norme giuridiche di condotta assistite da sanzione, devono corrispondere a risultati positivi o, almeno, neutri, sul piano produttivo: M. Libertini, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria delle responsabilità sociale d’impresa, in Riv. soc., 2009, 23; cfr. G. Conte, (nt. 21), 295 e C. Angelici, Note minime sull’“interesse sociale”, in Banca, Borsa, tit. cred., 2014, I, 263.

[75] M. Blair, L. Stout, A Team Production Theory of Corporate Law, in Virginia Law Review, 85, 1999, 248.

[76] Si pensi all’ottemperanza agli impegni sanciti in programmi o codici di condotta precedentemente approvati, impegni a favore dei quali gli investitori si siano anche espressi nei confronti del pubblico; si pensi, altresì, a quegli investitori che vogliano evitare di essere collegati ad attività che potrebbero manifestarsi come disastrose dal punto di vista sociale o ambientale. La rilevanza degli interessi di cui sono portatori gli investitori istituzionali è sancita dalla legge, con l’imposizione di obblighi di trasparenza in capo agli investitori istituzionali medesimi in ordine alla rilevanza attribuita ai temi ambientali e sociali nel monitoraggio delle società partecipate (cfr. l’art. 3-octies, par. 1, lett. a), SHRD II).

[77] Cfr. F. Denozza, (nt. 43), 69, il quale rinvia alle considerazioni di J.M. Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, 1936, circa la necessità, per gli operatori del mercato di indovinare come agirà la maggioranza.

[78] Le scelte in merito alla tutela degli interessi esterni sono affidate all’impresa e, quindi in concreto agli amministratori, i quali sono incentivati ad essere “socialmente responsabili” grazie, in particolare, alle regole di trasparenza relative alle politiche adottate e alla loro concreta attuazione, con le conseguenti ricadute, in termini di costi e benefici, in termini reputazionali; cfr. C. Angelici, (nt. 8), 38.

[79] Si realizza in questo modo una situazione in cui l’ampiezza dei poteri degli amministratori risulta indirettamente limitata. Si può, a questo proposito, ritenere che in sostanza si tratti di una forma di “autolimitazione”, posto che, anche in presenza di un procedimento che consenta una rilevazione corretta e ordinata degli interessi da perseguire, la politica di remunerazione alla cui base si pone questa forma di indiretta autolimitazione è posta in essere dall’organo amministrativo e solo successivamente approvata dai soci. Più correttamente, quindi, potrebbe parlarsi di “autoindirizzo” degli amministratori, che provvedono a predeterminare, con le procedure interne cui si accennava, le scelte di carattere gestorio.

[80] Come si osservava, in questo contesto gli stakeholder rimangono sempre spettatori passivi, destinatari delle informazioni loro destinate grazie alla pubblicità di cui è oggetto la politica di remunerazione. In ordine alla mancanza di poteri degli stakeholder adeguati ad un’efficiente autotutela, rinvio a F. Denozza, (nt. 43), 73. Il rapporto che intercorre fra gli esecutivi e gli investitori istituzionali può essere visto sotto diverse luci, posto che le istanze degli investitori istituzionali possono entrare nell’agire degli amministratori, fino al punto da condizionare la remunerazione di questi ultimi sulla base di risultati di carattere non finanziario e riconducibili al perseguimento di interessi di terzi, interessi fatti propri dagli investitori, oppure all’opposto la presenza di costoro potrebbe anche indurre gli amministratori, come osserva la dottrina, a dichiarare la volontà di perseguire gli interessi degli stakeholder allo scopo di allentare il controllo degli investitori istituzionali; cfr. F. Denozza, (nt. 43), 76. In entrambe le ipotesi, dunque, l’ago della bilancia è rappresentato proprio dagli investitori istituzionali; sulla centralità, per il sistema in generale, delle strategie degli investitori istituzionali, confermata dalla SHRD II, si veda, altresì, F. Denozza, Lo scopo della società: dall’organizzazione al mercato, in questa Rivista, 2019, 620.

[81] L’analisi delle ricadute organizzative che risultano dalla rilevanza accordata ai temi riferibili alla sostenibilità può avvalersi del dato comparatistico che, ad esempio, con riferimento al Code de gouvernement d’entreprise des sociétés cotées (come modificato nel gennaio 2020, pubblicato per le quotate francesi dall’Association Française des Entreprises Privées, AFEP, e dal Mouvement des Entreprises de France, MEDEF, si veda nt. 11) affida al consiglio di amministrazione il compito di reperire informazioni circa l’evoluzione dei mercati e del contesto concorrenziale, comprese le questioni relative alla “responsabilité sociale et environnementale” (“Les missions du conseil d’administration”, punto 1.4). Parimenti, il nuovo Corporate Governance Code inglese (revisionato nel giugno 2018) prevede che “The board should understand the views of the company’s other key stakeholders and describe in the annual report how their interests and the matters set out in section 172 of the Companies Act 2006 have been considered in board discussions and decision-making”.

[82] La presenza di politiche di remunerazione volte a premiare le decisioni “sostenibili” consente di far emergere, al livello di organizzazione interna, le esigenze delle categorie di stakeholder considerate rilevanti. Ciò implica, come si diceva, la presenza di forme di verifica che consentano di accertare l’allineamento degli interessi della società con gli interessi degli stakeholder presi in considerazione; queste forme di verifica, a loro volta, possono essere concretamente efficaci quando la politica di remunerazione includa la previsione di periodi di differimento circa la remunerazione degli amministratori, o l’introduzione di clausole di claw-back relative alla remunerazione variabile.