Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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'Pluralismo' e 'monismo' nello scopo della s.p.a. (glosse a margine del dialogo a più voci sullo Statement della Business Roundtable) (di Marco Maugeri, Professore ordinario di diritto commerciale, Università Europea di Roma)


1. Il dibattito sulla natura degli interessi che gli amministratori di una s.p.a. sono tenuti (o comunque legittimati) a perseguire presenta una sua assoluta specificità sul piano culturale perché da sempre condizionato da «valori» individuali[1]. Questa specificità potrebbe spiegare il senso di una presa di posizione come il recenteStatement della Business Roundtable, al quale si può certamente attribuire una valenza strumentale (quella cioè di mettersi al riparo dal controllo esigente dei principali azionisti istituzionali) [2]. Neppure si può escludere a priori però che esso sia il frutto del condizionamento culturale riconducibile allo «spirito del tempo» (Zeitgeist) e ai grandi temi che lo caratterizzano (contrasto del cambiamento climatico e delle emissioni, riduzione delle stridenti diseguaglianze sociali, sicurezza dei prodotti, qualità del luogo di lavoro): un condizionamento tale da influenzare anche il ceto professionale dei manager quando si tratta di individuare gli obiettivi il cui perseguimento è legittimo aspettarsi dalle imprese di grandi dimensioni (proprio come influenza ciascuno di noi). Questo aspetto emerge, del resto, anche in recenti studi i quali evidenziano la dipendenza delle scelte strategiche degli amministratori delegati dall’esperienza personale e dal contesto culturale nel quale si inseriscono quelle scelte [3]. Direi anzi che lo Statement dimostra al tempo stesso la debolezza e la forza degli ordinamenti economici fondati sui principî dello Stato liberale secolarizzato: il quale, da un lato, si regge su presupposti che non riesce a garantire (e cioè sulla condivisione di regole etiche di base che non può imporre ai propri consociati, in quanto Stato liberale, né può attingere al­l’esterno, ad es. alla religione, in quanto Stato secolarizzato) [4]; dall’altro consente l’espres­sione associativa e spontanea di quelle regole da parte dei privati (sotto forma, appunto, di statement, codici di autodisciplina, codici etici, etc.). Il problema allora non è solo quello della sincerità o dell’opportunismo di simili dichiarazioni quanto l’eventualità che il potere economico tenti di (o si candidi a) riempire lo spazio lasciato vuoto dalla debolezza delle istituzioni democratiche [5]: uno scenario nel quale quel potere economico tende a trasformarsi in una istanza di carattere politico o comunque investita di un ruolo “normativo” suppletivo pur in mancanza di ogni legittimazione rappresentativa al riguardo.

2. [continua..]