Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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Gestione collettiva e separazione patrimoniale del repertorio dei diritti d'autore e connessi (di Davide Sarti)


La disciplina della gestione collettiva dei diritti d'autore e connessi si caratterizza per la formazione e lo sfruttamento di un patrimonio comune costituito dall'insieme dei diritti sulle opere conferite all'amministrazione accentrata: patrimonio comunemente etichettato con il termine "repertorio". I contratti di licenza conclusi dallecollectinghanno dunque ad oggetto il repertorio unitariamente considerato, non le singole opere che lo compongono. La direttiva 2014/26/UE sulla gestione collettiva chiaramente impone in proposito una separazione contabile degliassetsrelativi al repertorio, comprensivi delleroyaltiesricavate dal suo sfruttamento e del loro investimento; e ad un tempo impone per gli Organismi di Gestione Collettiva (OGC) l'assoggettamento di questiassetsa regole digovernanceeccentriche rispetto ai princìpi generali digovernancesocietaria. Un sistema del genere presuppone che alla separazione contabile corrisponda una separazione reale del patrimonio costituito dagliassetsdel repertorio: secondo un fenomeno che per certi aspetti ricorda la gestione dei fondi comuni di investimento e dei fondi pensione, ma che ad un tempo si caratterizza per il potere del patrimonio gestito di nominare gli organi del gestore. Un fenomeno analogo di separazione reale del repertorio non trova un fondamento normativo altrettanto sicuro nelle poche norme della direttiva dedicate agli Enti di Gestione Indipendente (EGI). Una analoga soluzione per gli EGI sembra tuttavia meglio rispondere all'interesse alla realizzazione di unlevel playing fieldcomune dell'attività di negoziazione evitando discriminazioni concorrenziali.

Collective management and asset segregation of copyright and related rights repertoire

Essential character of collective management of copyrights and related rights is the exploitation of a common set of rights including all the individual member rights: the so-called "repertoire". Therefore, licensing agreements between collective organizations and users pertain to the repertoire as a whole, not to the single works. In this regard, the Directive 2014/26/UE on collective management clearly imposes to keep separate account of revenues arising from the exploitation of the repertoire and from their investment. At the same time, these assets are subject to governance rules of Collective Management Organizations (CMO) harmonized by the Directive, which are eccentric in respect to the general principles of Italian corporate governance. The system of directive is based on the assumption that the accounting of asset separation pertains to an asset segregation, similar to the segregation of investment and mutual funds, but with the peculiar power of the members of the managed assets (repertoire) to appoint the board of the managing organization (CMO). Such a solution of segregation does not find a certain legal base in the Directive when the collective management is organized in form of Independent Management Entity (IME). Adopting an identical solution for CMO and IME in terms of asset segregation, however, seems preferable to achieve a common level playing field of competition.

KEYWORDS: collective management organizations - copyright - asset segregation

Sommario/Summary:

1. La formazione di un patrimonio comune (repertorio) come specificità del fenomeno della gestione colletti-va - 2. La necessaria separazione contabile degli assets relativi al repertorio - 3. Il problema della separazione 'reale' degli assets relativi al repertorio. Le difficoltà di applicazione di un criterio di separazione puramente contabile - 4. In particolare: i profili di tensione fra le regole societarie e le regole di governance del repertorio degli OGC - 5. La separazione reale dei patrimoni come soluzione di armonizzazione delle regole applicabili al reper-torio degli OGC e rispettivamente alle società - 6. La peculiarità dei meccanismi di nomina degli amministratori dell'OGC - 7. Problemi di estensione di un analogo principio di separazione reale al repertorio gestito dagli EGI - NOTE


1. La formazione di un patrimonio comune (repertorio) come specificità del fenomeno della gestione colletti-va

La disciplina della gestione collettiva dei diritti d'autore e connessi uniformata dalla direttiva 2014/26/UE (direttiva collecting, attuata in Italia dal d.lgs. 35/2017) [1] individua due categorie di gestori: ed in particolare gli "organismi di gestione collettiva" (da cui l'acronimo OGC) e rispettivamente le "entità di gestione indipendente" (da cui l'acronimo EGI, che declinerò al maschile sostituendo il termine entità con quello più comune di enti). In particolare gli OGC sono caratterizzati dal controllo dei "propri membri" (art. 3, lett. a.i, direttiva collecting) o comunque dall'assenza di finalità lucrative (art. 3, lett. a.ii, direttiva collecting). Il modello OGC è alla base della formazione delle collecting storiche: e così ad esempio si pensi in Italia alla SIAE, che non ha scopo lucrativo, ed è disciplinata quale "ente pubblico economico a base associativa" (art. 1 l. 2/2008) in modo da dare penetranti poteri di controllo ai suoi membri. Gli EGI sono invece caratterizzati dall'assenza del controllo da parte dei titolari dei diritti, e ad un tempo dal perseguimento di fini di lucro (art. 3, lett. b, della direttiva). Gli EGI sono dunque tipicamente società capitalistiche orientate a remunerare l'investimento dei soci, tendenzialmente diversi dai titolari dei diritti intermediati. Per parte mia ritengo che la specificità della disciplina di OGC ed EGI (inestensibile ad altre figure di gestori, quali gli editori o i produttori) introdotta a livello europeo per l'attività di collecting vada ricercata nel riconoscimento (e nell'opponibilità ai terzi) di un patrimonio comune costituito dall'insieme dei diritti gestiti accentratamente: patrimonio che nella terminologia corrente e nel linguaggio del legislatore prende il nome di "repertorio" [2]. Tanto mi pare suggerito anzitutto dalla storia delle tecniche di negoziazione delle collecting. Caratteristica di questa negoziazione è infatti data dalla concessione di licenze riferite ai diritti sull'intero repertorio (cc.dd. blanket licences), non alle singole opere che lo compongono. In questa prospettiva si spiega fra l'altro l'estensione della licenza alle opere che entrano a fare parte del repertorio in epoca successiva alla conclusione del contratto. Sul piano del diritto positivo, la conclusione è ora confermata dalla lettera delle norme della direttiva che definiscono OGC ed EGI quali [...]


2. La necessaria separazione contabile degli assets relativi al repertorio

La formazione di un patrimonio comune comprendente il repertorio pone un interrogativo relativamente ai rapporti fra il titolo di partecipazione al repertorio e rispettivamente alla collecting che lo gestisce. Al riguardo la direttiva precisa in varie sedi che il "conferimento" dei diritti a repertorio non è titolo di acquisto della qualità di membro dell'organizzazione della collecting gestrice. Così ad esempio l'art. 3, lett. d, fa dipendere la qualità di membro non solo dalla titolarità dei diritti amministrati accentratamente, ma anche dalla ammissione in tale qualità da parte dell'OGC (con ciò evidenziando che la titolarità del diritto a repertorio è requisito necessario, ma non sufficiente all'acquisto della qualità di membro); mentre l'art. 7 è appositamente dedicato ai "diritti dei titolari dei diritti che non sono membri dell'organismo di gestione collettiva", e ad essi estende alcune norme (essenzialmente, sulle pretese di informazione e reclamo) previste a tutela dei membri. L'inidoneità dell'iscrizione dei diritti a repertorio a costituire titolo di partecipazione alla collecting è poi ancora più evidente quando il gestore assume la natura di EGI. L'EGI è infatti costituito con la partecipazione di soggetti (tipicamente, soci capitalisti) diversi dai titolari dei diritti gestiti accentratamente: titolari che per definizione di ipotesi non controllano il gestore. Già si è visto che il repertorio gestito dall'EGI forma pur sempre un patrimonio comune: e qui perciò istituzionalmente il titolo di partecipazione al patrimonio comune dei diritti (repertorio) non può essere né presupposto né titolo di partecipazione al capitale dell'EGI. La non coincidenza del titolo di partecipazione al repertorio e rispettivamente all'organizzazione della collecting implica necessariamente un obbligo di separazione quanto meno contabile degli assets gestiti e rispettivamente di quelli propri dell'organizzazione del gestore. In tal senso si esprime testualmente (pur con qualche improprietà) l'art. 11.3 della direttiva, che impone agli OGC di tenere separati "dal punto di vista contabile […] i proventi dei diritti e le entrate derivanti dall'investimento dei proventi dei diritti; e […] le eventuali attività proprie ed i proventi derivanti da tali attività, dalle spese di gestione o da [...]


3. Il problema della separazione 'reale' degli assets relativi al repertorio. Le difficoltà di applicazione di un criterio di separazione puramente contabile

Il principio di separazione contabile del repertorio e dei risultati della sua gestione porta ora ad interrogarsi se questa separazione assuma in realtà rilievo "reale": e perciò efficacia non solo nei rapporti interni fra titolari dei diritti a repertorio e gestore, ma anche nei rapporti con i terzi, in primis con i creditori. Nella prospettiva di una separazione puramente contabile, i diritti a repertorio ed i risultati della relativa gestione sarebbero da considerare acquisiti al patrimonio e "confusi" con le attività proprie del gestore. Il riconoscimento di una separazione a rilievo reale implicherebbe invece che il repertorio ed i risultati della gestione costituirebbero un patrimonio comune dei titolari dei diritti intermediati, non confondendosi con le attività proprie del gestore. In questa seconda prospettiva la gestione collettiva configurerebbe quindi un'ipotesi di gestione di un patrimonio altrui: ove fra l'altro il gestore contrarrebbe obbligazioni distinte per conto proprio e per conto del repertorio, con conseguente distinta responsabilità dei due patrimoni. Ora certo la direttiva non contiene norme che espressamente riconoscano rilievo reale alla separazione contabile prevista dall'art. 11.3. Né la direttiva né la legge nazionale di attuazione prevedono fra l'altro particolari meccanismi di pubblicità della separazione patrimoniale, o della destinazione dell'atto a produrre effetti sull'uno od altro patrimonio: diversamente da quanto prevedono ad esempio gli artt. 2447-quater e 2447-decies, co. 3, lett. a, c.c. Tanto meno la direttiva o la disciplina nazionale di attuazione contengono norme espresse che riconoscano una responsabilità separata del patrimonio gestito, analoghe all'art. 36, co. 4, TUFIN in materia di fondi comuni di investimento, o all'art. 6, co. 9 d.lgs. 252/2005 in materia di fondi pensione [10]. Ugualmente ritengo che l'impianto sistematico della direttiva presupponga il riconoscimento di questa separazione con carattere reale [11]. La conclusione qui suggerita mi sembra trovare argomenti sicuri quando la gestione avviene da parte di un OGC: nel qual caso negare una separazione patrimoniale con effetto reale equivarrebbe a mio avviso a contraddire gli obiettivi "politici" perseguiti dal legislatore della direttiva, e comunque porrebbe problemi di coordinamento con i princìpi generali del diritto societario. La medesima conclusione è [...]


4. In particolare: i profili di tensione fra le regole societarie e le regole di governance del repertorio degli OGC

Il principio di separazione reale del patrimonio dell'OGC da quello del gestore consente del resto di superare diversi problemi di coordinamento fra le regole generali del diritto societario e le regole digovernancee di distribuzione del risultato del repertorio gestito. Così ad esempio, secondo l'art. 6.3 della direttiva, "gli statuti degli organismi di gestione collettiva prevedono adeguati ed efficaci meccanismi di partecipazione dei propri membri ai processi decisionali". Già si è visto che la qualità di membro non è collegata alla sottoscrizione di quote di capitale sociale, ma alla titolarità dei diritti intermediati. In questo sistema è dunque logico correlare il diritto di voto all'interesse che ciascun membro ha non in quanto capitalista, ma in quanto titolare dei diritti d'autore o connessi [13]. Il riferimento alla necessità di prevedere adeguati meccanismi di partecipazione va dunque inteso in senso non capitalistico, ma nel senso di permettere all'OGC di mantenere una certa proporzionalità fra voto e valore economico dei diritti del membro all'interno del repertorio. In questa prospettiva non sembra rispettare l'art. 6 un meccanismo che consenta ad esempio ad un membro sottoscrittore del 50% del capitale sociale di disporre della metà dei voti, quand'anche egli risulti titolare di diritti di modesta importanza economica (si pensi a diritti su un limitato numero di opere magari scarsamente utilizzate dai licenziatari). L'adattabilità di questi criteri di attribuzione del voto ai meccanismi di funzionamento delle società capitalistiche appare allora assai dubbia. Per gli OGC costituiti in forma di s.p.a. non varrebbe il tentativo di introdurre fantasiose clausole statutarie contenenti limitazioni ai diritti di voto di categorie di azioni o di azioni a voto plurimo. Queste clausole si baserebbero infatti pur sempre sul possesso azionario, mentre all'opposto la governancedegli OGC prevede meccanismi di ponderazione del voto del tutto indipendenti dal possesso di azioni, e tanto meno suscettibili di circolazione unitamente al titolo azionario: meccanismi basati sull'iscrizione dell'opera a repertorio e sull'importanza dei relativi diritti [14]. Margini maggiori di adattabilità alla governancedegli OGC sembrerebbe avere invece la disciplina della s.r.l., dove come noto il principio di ponderazione della partecipazione alla quota di capitale [...]


5. La separazione reale dei patrimoni come soluzione di armonizzazione delle regole applicabili al reper-torio degli OGC e rispettivamente alle società

La separazione con efficacia reale del patrimonio gestito rispetto a quello del gestore consente di risolvere o quanto meno di "sdrammatizzare" tutti i problemi precedentemente evidenziati. Questa separazione consente anzitutto di applicare le norme uniformate dalla direttiva sugli OGC soltanto al patrimonio gestito: e dunque ai diritti sulle opere a repertorio, alle royalties incassate, ai proventi finanziari del loro investimento ed ai beni strumentali alla prestazione di servizi sociali o culturali. In questa prospettiva il patrimonio gestito è da intendere costituito in capo ad un'organizzazione associativa di diritto speciale uniformato dalla direttiva. Ritengo d'altro canto che le considerazioni esposte in miei precedenti lavori valgano a ricondurre questa organizzazione alla categoria delle non profit [17]; e che le non profit trovino nelle norme sulle associazioni del libro I (cui si ispiravano le collecting storiche) il proprio modello generale di disciplina, applicabile per gli aspetti non uniformati dalla direttiva, qualora il repertorio ricada nell'applicazione del diritto italiano secondo i princìpi generali del diritto internazionale privato [18]. Il patrimonio dei mezzi propri del gestore è invece originariamente costituito dai conferimenti dei soci e segue le vicende dell'investimento delle risorse acquisite a titolo di capitale di rischio e di debito, incrementandosi inoltre dei guadagni realizzati attraverso la prestazione del servizio in favore del patrimonio gestito. Il patrimonio del gestore ricade nella titolarità ed è assoggettato alle regole dell'organizzazione adottata: che può rientrare negli schemi delle società lucrative del libro V, delle organizzazioni mutualistiche (comprensive di cooperative, consorzi e società consortili, quando i titolari dei diritti gestiti assumano la qualità di imprenditori) [19], e così pure delle associazioni e fondazioni del libro I. Le regole del gestore non incidono tuttavia su quelle armonizzate dalla direttiva con riferimento al patrimonio gestito: e perciò ad esempio a) non legittimano il calcolo delle risorse del patrimonio gestito ai fini dell'accantonamento a riserva obbligatoria; b) non toccano la disciplina sull'attribuzione dei diritti di voto degli OGC contenuta nella direttiva, che è applicabile limitatamente alle vicende del patrimonio gestito, non a quelle dei mezzi propri del gestore; [...]


6. La peculiarità dei meccanismi di nomina degli amministratori dell'OGC

Vero è che nemmeno la soluzione qui suggerita vale completamente ad eliminare i profili di tensione fra la disciplina degli OGC e quella societaria, e specialmente del diritto delle società di capitali. I fenomeni tradizionali di gestione di patrimoni separati, inclusi i fondi comuni di investimento e i fondi pensione, si caratterizzano infatti per l'attribuzione del potere gestorio ad organi nominati secondo le regole di governance proprie della società gestrice: ed in particolare quindi agli amministratori di quest'ultima, eletti dalla relativa assemblea, secondo le regole generali delle società di capitali (eventualmente integrate dalla disciplina settoriale degli operatori finanziari e pensionistici). La disciplina uniformata degli OGC è invece chiara nell'attribuire il potere di nomina dell'organo amministrativo (salva l'ipotesi di opzione per il modello di gestione dualistico) [20] all'assemblea generale dei membri. Ora già si è visto che la qualità di membro ha titolo nella partecipazione al repertorio gestito, non al capitale del gestore: con l'ulteriore corollario che dalla medesima partecipazione al repertorio deriva il potere di concorrere alla nomina dell'organo amministrativo. In questa prospettiva allora il potere di nomina dell'organo amministrativo segue le regole dell'organizzazione associativa cui è imputabile il repertorio gestito, non quelle della struttura di governance del gestore. La conclusione appena tratta contrasta tuttavia non solo con l'assetto dei fondi comuni di investimento e dei fondi pensione, ma più in generale con il principio di governance societaria secondo cui la nomina dell'organo amministrativo non può essere eterodeterminata [21]. Vero è che i "membri" titolari dei diritti a repertorio sono contemporaneamente anche soci della società gestrice, e che in quanto tali partecipano alla nomina del relativo organo amministrativo. La soluzione qui proposta di separazione "reale" del patrimonio gestito rispetto a quello del gestore si regge tuttavia sulla separazione dei titoli di partecipazione ai due patrimoni (iscrizione dell'opera a repertorio con accettazione in qualità di membro e rispettivamente, per i gestori costituiti in forma societaria, partecipazione al capitale). La distinzione determina d'altro canto conseguenze fondamentali dal punto di vista pratico: perché ai corrispondenti diversi [...]


7. Problemi di estensione di un analogo principio di separazione reale al repertorio gestito dagli EGI

Le norme sin qui valorizzate (in primis, relativamente allagovernance) in funzione della ricostruzione della separazione "reale" del patrimonio gestito dagli OGC non si applicano agli EGI. Occorre dunque chiedersi se anche questi ultimi possano essere qualificati come gestori di un patrimonio separato. Qui la risposta appare meno sicura, anche perché la gestione degli EGI non pone alcuni dei problemi precedentemente segnalati con riferimento agli OGC, in particolare per quanto riguarda la determinazione del risultato della gestione destinato ai titolari dei diritti a repertorio. Il titolare dei diritti sulle opere a repertorio non può essere membro dell'EGI gestore, e non è assoggettato alle sue regole organizzative. In questa prospettiva il risultato netto della gestione del repertorio (e cioè la differenza fraroyaltiespercepite e remunerazione dovuta all'EGI) non costituisce un utile dell'attività comune dei membri titolari dei diritti, ma è un debito assunto dall'EGIpro quotanei confronti di ciascun titolare: non concorre perciò a formare l'utile di impresa dell'EGI e non è assoggettato alle norme sulla formazione delle riserve da utili accantonati (in primis, alle norme sulla riserva obbligatoria). Qui allora apparentemente nessuna norma della direttiva impedisce di considerare il repertorio come appartenente all'EGI e non separato dai suoi ulterioriassets. In questa situazione occorrerebbe peraltro chiedersi se e quale giustificazione potrebbe trovare l'applicazione agli EGI di princìpi diversi rispetto agli OGC. In assenza di separazione patrimoniale, i titolari dei diritti vanterebbero nei confronti dell'EGI un credito per la corresponsione delle royalties, che concorrerebbe con i crediti vantati dai terzi. I titolari dei diritti verrebbero corrispondentemente assoggettati al rischio di insolvenza dell'EGI e di conseguente riduzione dei compensi effettivamente percepiti. Ora questo trattamento della posizione debitoria degli EGI potrebbe a prima vista sembrare "politicamente" giustificato da esigenze di tutela dei creditori terzi. Esso tuttavia ad un tempo pregiudicherebbe gli interessi dei titolari dei diritti: con soluzione antitetica a quella accolta in caso di adesione a un OGC. Potrebbe anzi sembrare paradossale che i titolari dei diritti gestiti accentratamente non subiscano [24] il rischio di insolvenza dell'OGC, assoggettato al loro controllo; e subiscano invece il [...]


NOTE