La disciplina dei limiti al rimborso delle azioni dei soci recedenti in caso di trasformazione di una banca popolare in s.p.a. tenta di realizzare un bilanciamento tra interessi opposti ma egualmente rilevanti sul piano costituzionale: da un lato, quello alla stabilità e alla efficienza dell'impresa bancaria, in quanto condizioni necessarie per assicurare piena tutela al pubblico risparmio; dall'altro, quello del singolo azionista recedente dalla banca a non subire alcuna espropriazione del valore del proprio investimento.
Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di tale bilanciamento, la Corte Costituzionale, con sentenza del 15 maggio 2018, n. 99, si è espressa nel senso della compatibilità della disciplina con la Costituzione e con i principî europei in materia di tutela della proprietà.
Lo scritto analizza i passaggi essenziali della decisione e ne propone una lettura orientata al tentativo di ricostruire i fondamenti generali di un diritto costituzionale delle società bancarie.
Under Italian corporate law, minority shareholders dissenting from the general assembly's resolution to change the legal form of the company have the right to exit and timely obtain the fair value of their shares. Under the influence of the European regulation, the special set of domestic rules relating to the transformation of cooperative banks into joint stock companies authorizes the management board of the bank to impose sharp limitations on the right of dissenting shareholders to obtain the fair value of their shares. In this respect, the law aims at carefully balancing conflicting interests: on the one hand, the public interest in preserving the stability and efficiency of the banking system and, on the other hand, the private interest of bank's dissenting shareholders in being protected from the risk of suffering an expropriation of the value of their investment in the bank to be transformed.
Within this context, the Italian Constitutional Court has recently ruled in favour of the legitimacy of those restrictions, as they would implement European law and could be considered in line with previous findings of the European Court of Justice and the jurisprudence of the European Convention on Human Rights. The Article draws on this ruling to explore the possibility to advance a conceptual framework for a "banking constitutional law" based on the general principles of proportionality and reasonableness of the legislative measures.
KEYWORDS: Conversion - cooperative banks - shareholder’s withdrawal right - appraisal value - right to property
CONTENUTI CORRELATI: diritto di proprietą - trasformazione - banche cooperative - diritto di recesso - valore di liquidazione
Il lavoro è destinato agli Atti del Convegno su "Le metamorfosi del credito cooperativo" organizzato a Napoli il 6 e 7 ottobre 2017 dall'Associazione Gian Franco Campobasso e dall'Associazione Europea per lo Studio del Diritto Bancario e Finanziario
1. Premessa: la sentenza n. 99/2018 della Corte Costituzionale - 2. Fonti europee e potere conformativo del legislatore nazionale - 3. Diritto societario delle banche e princģpi costituzionali - 4. Limiti al rimborso e principio di proporzionalitą - 5. (Segue) - 6. Limiti al rimborso e principio di ragionevolezza - NOTE
Il tema della legittimità costituzionale della disciplina in materia di trasformazione delle banche popolari in s.p.a. si presta, nei suoi aspetti essenziali, ad essere analizzato in una duplice dimensione: da un lato, con riguardo al divieto di conservazione della forma cooperativa per banche aventi attivi superiori alla soglia di otto miliardi (art. 29, comma 2-bis, t.u.b.); dall'altro, con riguardo al potere della banca di limitare o rinviare, in tutto o in parte e senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni del socio recedente, «laddove ciò sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca» (art. 28, comma 2-ter, t.u.b.). Se il primo profilo attiene alle "condizioni d'uso" della forma cooperativa per l'esercizio di una attività bancaria e sollecita, dunque, riflessioni sulla compatibilità di limiti quantitativi alla fruibilità di un determinato modello organizzativo con la libertà di iniziativa economica privata garantita dall'art. 41 Cost.[1], il secondo profilo concerne il diverso problema dei margini entro i quali sia conforme all'art. 42 Cost.[2] una regola che comprima l'interesse del socio dissenziente dall'operazione a conseguire tempestivamente l'integrale rimborso delle proprie azioni in ragione di superiori istanze di salvaguardia della stabilità patrimoniale e finanziaria della banca.
Nel circoscritto spazio riservato a questo intervento ci si dedicherà prevalentemente all'analisi di tale secondo aspetto, anche in considerazione della attualità impressagli dalla sentenza della Corte Costituzionale del 15 maggio 2018, n. 99[3], la quale ha respinto tutte le censure di illegittimità sollevate dal Consiglio di Stato nella propria ordinanza del 15 dicembre 2016, n. 5277[4]: così collocandosi nel solco di una interpretazione, già inaugurata dalla propria decisione del 21 dicembre 2016, n. 287[5], favorevole alla complessiva tenuta costituzionale della disciplina in questione. Si apre, in questo modo, l'occasione per formulare alcune considerazioni sulla portata dei princìpi affermati dalla Corte i quali, è bene ricordarlo, sono destinati a governare l'interpretazione delle norme sui limiti al rimborso non solo relativamente alla trasformazione "forzosa" in s.p.a. delle maggiori banche popolari ma, altresì, in ogni ipotesi di passaggio dalla forma cooperativa a quella azionaria e quindi anche nel caso di trasformazione "volontaria" in s.p.a. di una banca popolare di minori dimensioni o di banche di credito cooperativo (alle quali pure trova applicazione l'art. 28, comma 2-ter, t.u.b.)[6]; e a governarla, si noti, non solo relativamente alla posizione del socio ma anche, e più in generale, a quella dei portatori «degli altri strumenti di capitale emessi» dalla banca (secondo quanto previsto nell'ultimo inciso dello stesso art. 28, comma 2-ter, t.u.b.)[7].
La Corte si preoccupa, anzitutto, di mettere chiarezza nell'inquadramento delle fonti di produzione delle norme sugli elementi computabili nel capitale di qualità primaria delle banche aventi forma di società cooperativa. E ciò fa sia con riguardo al nesso esistente tra diritto europeo e discrezionalità attuativa del legislatore domestico, sia con riguardo alla ricostruzione della scelta operata dall'art. 28, comma 2-ter, t.u.b.di rimettere alla Banca d'Italia il potere di disciplinare le modalità di limitazione del diritto al rimborso dei soci recedenti «anche in deroga a norme di legge»[8].
Come noto, le disposizioni europee - e, segnatamente, gli artt. 28, 29, par. 2, 77 e 78 del Regolamento UE n. 575/2013 ("CRR"), nonché gli artt. 10 e 11 del Regolamento delegato n. 241/2014 ("Regolamento Delegato") - subordinano l'inclusione delle azioni nel CET1 delle banche cooperative al rispetto di precisi requisiti. In particolare, qualora l'ordinamento interno non consenta di rifiutare il rimborso delle azioni (come è a dirsi per il diritto societario italiano), la normativa nazionale deve contemplare la facoltà della banca di «limitare il rimborso» prevedendo «sia il diritto di rinviare il rimborso che il diritto di limitare l'importo rimborsabile, anche per un periodo illimitato». Ad avviso della Corte l'enunciato precettivo appena ricordato si presenta inequivoco e ciò impedisce il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell'art. 267, comma 3, del TFUE (§ 5.2.2.)[9]. Infatti, e contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di Stato nell'ordinanza di rimessione alla Corte della questione di legittimità costituzionale, il legislatore domestico non è libero di operare alcuna scelta in ordine alle modalità della limitazione delineate dall'ordinamento europeo, dovendo piuttosto attribuire alla banca cooperativa «la 'capacità' di adottare sia l'una che l'altra misura come condizione perché le azioni possano essere considerate strumenti del capitale primario di classe 1». Aderendo a questa articolazione dei limiti al rimborso, il legislatore interno si sarebbe inoltre conformato al criterio del "minimo mezzo" rispetto alla diversa e più invasiva misura rappresentata dal rifiuto integrale del rimborso (§§ 5.2.3 e 5.2.5.).
Questa condivisibile conclusione in ordine all'assenza di discrezionalità del legislatore nazionale[10] e prima ancora, quale suo antecedente logico, alla primazia delle norme europee sul diritto interno[11], viene ulteriormente sviluppata dalla Corte con riguardo alla censura sollevata dai giudici amministrativi avverso l'art. 28, comma 2-ter, t.u.b. nella parte in cui devolverebbe alla Banca d'Italia un potere «ad effetto delegificante» in ordine alla disciplina delle modalità tecniche del rimborso[12]. Ad avviso della Corte, per contro, non solo «è la legge stessa che comporta l'introduzione di previsioni statutarie che, anche in deroga alle norme del codice civile, accordino agli organi amministrativi la facoltà di limitare il rimborso delle azioni del socio uscente», lasciando alla Banca d'Italia «soltanto il compito di definire le condizioni tecniche che consentono alla banca di rispettare i coefficienti patrimoniali minimi stabiliti dalla normativa prudenziale europea», ma va considerato anche, e soprattutto, che alla Banca d'Italia non compete «alcuna valutazione politico-discrezionale sugli interessi in gioco» il cui bilanciamento è operato in via definitiva dalla legge: all'Autorità di Vigilanza spetta, pertanto, solo un potere "tecnico" che risulta per di più «già fortemente circoscritto dai citati regolamenti europei» i quali dettano «condizioni stringenti per la computabilità degli strumenti di capitale delle banche nel capitale primario di classe 1» (§§ 6.1. e 6.2.). Ancora una volta, dunque, l'inquadramento della gerarchia delle fonti induce la Corte a risolvere in senso positivo, e in modo convincente, la questione di conformità costituzionale della disciplina esaminata. Se è vero, infatti, che la normativa europea prevede un margine di discrezionalità per le Autorità domestiche[13], deve pure dirsi che questo margine ha riguardato essenzialmente la valutazione circa la necessità o meno del preventivo inserimento di una clausola nello statuto della banca avente a oggetto il potere di limitazione degli organi sociali[14], non invece la natura e la portata di quel potere né la direzione assiologica secondo cui attuare il bilanciamento tra interesse alla stabilità finanziaria della banca e interesse al disinvestimento del socio recedente: un aspetto, quest'ultimo, con riguardo al quale ci si potrebbe forse addirittura interrogare se l'insieme di previsioni contenute nella Circolare n. 285 della Banca d'Italia, nella misura in cui riproducono il dettato del Regolamento Delegato, non siano in realtà prive del valore di «fonti di produzione» normativa svolgendo piuttosto il più contenuto ruolo di «fonti di cognizione» delle regole tecniche europee applicabili al rimborso delle azioni oggetto di recesso[15].
Il richiamo alla matrice europea dell'art. 28, comma 2-ter, t.u.b. non è tuttavia da solo sufficiente a sciogliere il nodo principale della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato e cioè l'interrogativo se la conformazione dei limiti al rimborso determini una "espropriazione" di valori di pertinenza del socio recedente secondo modalità contrarie al sistema di princìpi che, in ambito europeo e domestico, tutelano la proprietà organizzata in forma azionaria.
È ben vero che la rilevanza degli interessi incisi dall'esercizio dell'attività bancaria si riflette sul potere conformativo del legislatore dilatandone l'ampiezza sino a ricomprendere non solo, come accade per il diritto azionario comune, il piano dell'organizzazione(ossia le regole che disciplinano il funzionamento e le competenze degli organi sociali), ma anche quello dell'impresae della sua «sana e prudente gestione» (ossia le regole concernenti il governo prudenziale del rischio e la prevenzione/risoluzione delle situazioni di crisi della banca). Ed è altrettanto vero che l'innesto di questa accentuata prospettiva di rilevanza dell'impresa è alla base della maggiore autonomia di cui l'organo amministrativo di una banca fruisce nella selezione degli obiettivi da perseguire[16] nonché dell'affievolirsi della posizione di potere dei soci, i quali vengono riguardati principalmente alla stregua di (una particolare classe di) finanziatori dell'impresa[17].
Ampiezza di potere conformativo non equivale, tuttavia, ad assenza di limiti. Già sul piano del diritto costituzionale delle società "ordinarie", e proprio con riguardo alla vicenda del recesso, ci si potrebbe interrogare sulla libertà del legislatore di individuare i criteri di determinazione del valore di rimborso delle azioni e sulla rilevanza da assegnare al prezzo di borsa al fine di assicurare la congruitàdi quel rimborso ed evitare effetti in senso lato espropriativi della partecipazione[18]. Ma anche in ambito bancario si impone al legislatore tanto l'osservanza del postulato fondamentale di eguaglianza quanto il rispetto del nucleo essenziale della proprietà azionaria[19].
Sotto il primo profilo, deve rilevarsi come, pur tenendo conto delle perplessità che possono avanzarsi rispetto al tentativo di invocare una applicazione diretta dell'art. 3 Cost. ai rapporti tra soci[20], la massima costituzionale di eguaglianza esprima comunque una esigenza intrinseca di ragionevolezza la quale esclude che il legislatore, nel bilanciare i diversi interessi privati coinvolti da una determinata disciplina, possa unilateralmente avvantaggiarne alcuni a scapito di altri, risultando piuttosto tenuto a osservare un dovere di equidistanza rispetto alle posizioni giuridiche coinvolte[21].
Il secondo profilo, a sua volta concernente la tutela dell'istituto della proprietà, invita a ricordare come, malgrado le difficoltà ricostruttive a cui si espone l'identificazione del modello teorico di socio da assumere a riferimento soggettivo della protezione accordata dalla Costituzione all'investimento azionario[22] - difficoltà che si acuiscono ove si tratti di precisare la natura della odierna "proprietà" cooperativa in ragione della varietà di forme partecipative nelle quali essa può venire in rilievo[23] e del peculiare atteggiamento che assume la situazione di potere del socio cooperatore rispetto a quella dell'azionista[24] - vi sia ormai un consenso generalizzato sulla possibilità di ricondurre la partecipazione sociale nel novero dei «beni» protetti dalla garanzia costituzionale della proprietà, secondo un indirizzo del resto da tempo praticato dalle Corti Europee[25] nonché, e in particolar modo, sulla necessità di rintracciare il nucleo minimo di quella tutela nel diritto del socio di non vedersi privato del valore del proprio investimento[26].
Se è concepibile infatti che il legislatore, in considerazione di un superiore scopo generale, possa sopprimere (o consentire agli organi sociali di sopprimere) singoli diritti amministrativi e finanche legittimare la ablazione della qualità di socio[27], ciò che si sottrae all'esercizio del potere regolativo pubblico o privato è l'esito di una "espropriazione" della sostanza economica della partecipazione[28], indipendentemente dalla natura del fine perseguito e quindi anche ove esso si identifichi con l'interesse generale alla stabilità bancaria. Ne deriva che, ove fosse (stata) accertata dalla Corte l'idoneità della disciplina dei limiti al rimborso a comprimere in modo intollerabile il diritto di proprietà del socio recedente, nella conformazione che gli viene impressa dall'ordinamento italiano ed europeo, l'unica via percorribile sarebbe (stata) quella di fulminare con lo stigma della incostituzionalità la norma dell'art. 28, comma 2-ter, t.u.b. o comunque quella di sottoporre alla Corte di Giustizia la questione di compatibilità con la Carta dei diritti fondamentali sia dell'art. 29 del CRR, sia dell'art. 10 del Regolamento Delegato[29]. Ed è appena il caso di sottolineare come sulla esigenza di vagliare la compatibilità dei limiti al rimborso con i princìpi fondanti della Carta Costituzionale e delle Carte europee non influisca in alcun modo la circostanza che il sacrificio della posizione di interesse del socio recedente sia in concreto conseguenza di una delibera del consiglio di amministrazione della banca anziché di una pronuncia dell'assemblea dei soci: ciò in quanto, come è ovvio, nella prospettiva dell'azionista pretermesso è del tutto indifferente l'identità del soggetto titolare del potere di pregiudicare la sua posizione partecipativa[30].
Orbene, la Corte esclude, nel caso di specie, la sussistenza di una fattispecie "espropriativa". Ad avviso dei giudici costituzionali, infatti, la disciplina dei limiti al rimborso, qualora letta sistematicamente e cioè alla stregua dei criteri indicati dall'art. 10, par. 3, del Regolamento Delegato (e ripresi dalla Banca d'Italia nella Parte Terza, Cap. 4, Sez. III.1, della Circolare n. 285/2013), consentirebbe di sacrificare la posizione del socio recedente solo «nella misura e nello stretto tempo in cui ciò sia necessario per soddisfare le esigenze prudenziali», imponendo al tempo stesso «agli amministratori il dovere di verificare periodicamente la situazione prudenziale della banca e la permanenza delle condizioni che hanno imposto l'adozione delle misure limitative del rimborso e di provvedere ove esse siano venute meno»[31].
Se si ha presente lo schema "tripartito" che deve orientare il sindacato di costituzionalità delle norme di diritto societario - e cioè l'esigenza di accertare che il sacrificio della posizione di interesse del socio sia proporzionato al fine generale perseguito dal legislatore, che non comporti comunque l'ablazione del valore della partecipazione e che sia assistito da adeguati rimedi per il caso di abuso[32] - risulterà evidente come la Corte assolva con le superiori affermazioni al proprio onere di motivazione. E, in vero, da un lato nessuna definitiva perdita patrimoniale può dirsi inflitta dalla disciplina in esame al socio recedente poiché, nel caso di rinvio del rimborso, «il credito del recedente si deve considerare esigibile» una volta venute meno le ragioni del differimento, laddove il ricorso alla limitazione quantitativa dell'importo rimborsabile «deve condurre alla conservazione dei titoli non rimborsati in capo al recedente, che si vedrà in questo modo reintegrato nel suo status e nel valore patrimoniale della partecipazione»[33]. Dall'altro, l'ipotesi di un esercizio arbitrario del potere di limitazione o di rinvio da parte degli organi sociali può essere adeguatamente fronteggiata dal socio sollecitandone il «sindacato in sede giudiziaria» a tutela della propria posizione (§ 5.4.).
Se le argomentazioni appena ricordate appaiono del tutto convincenti, qualche perplessità, e proprio nella prospettiva di assicurare una compensazione piena del socio che si sia visto opporre i limiti al rimborso, desta il passaggio della sentenza n. 99/2018 in cui la Corte esclude la necessità, sottolineata invece dal Consiglio di Stato, di prevedere interessi corrispettivi/compensativi nell'ipotesi di rinvio del rimborso. Non convince, in particolar modo, l'eccezione secondo cui una siffatta previsione imporrebbe di considerare le azioni oggetto di recesso «come strumenti di debito anziché di capitale» ai sensi dell'art. 28, par. 1, lett. c), punto i), del CRR (§ 5.2.3.). Di là dalla considerazione che l'obbligo di corresponsione degli interessi verrebbe colpito dal "rinvio" alla stessa stregua dell'obbligo di rimborso del valore di liquidazione delle azioni (sicché la sua esistenza non sarebbe in grado di impedire la classificazione delle azioni nel capitale di classe 1 per la stessa ragione per la quale non la impedisce l'obbligo di rimborso nascente dal recesso), gli è che la previsione di interessi, neutralizzando la perdita di valore che altrimenti il socio subirebbe in conseguenza del trascorrere del tempo[34], serve in realtà a preservare l'equilibrio di interessi in gioco in modo coerente con il principio di proporzionalità[35]: ciò soprattutto nell'ipotesi in cui il rinvio sia stato inizialmente disposto «per un periodo illimitato» di tempo ai sensi dell'art. 10, par. 2, del Regolamento Delegato (quando cioè ancora più intensamente si lascia avvertire il bisogno di proporzionalità) e tanto più ove si ritenga che il soggetto che ha esercitato il diritto di recesso sia ormai privo della legittimazione all'esercizio dei diritti sociali inerenti alla partecipazione durante la pendenza del periodo di rinvio[36]. Appare, dunque, preferibile ritenere che la banca, una volta che la sua «complessiva situazione finanziaria, di liquidità e di solvibilità» sia "capiente" ai fini del rimborso, abbia l'obbligo di reintegrare il socio nella medesima condizione economica nella quale egli si sarebbe trovato ove avesse conseguito tempestivamente il pagamento del valore di liquidazione delle azioni: una conclusione, questa, la quale, oltre ad essere coerente con la disciplina generale del recesso da una banca cooperativa[37], mostra di trovare significativa conferma anche sul piano del diritto comparato e proprio con riguardo a situazioni nelle quali la pretesa del socio recedente al conseguimento del valore (residuo) delle azioni viene "rinviata" nell'interesse a una efficiente riorganizzazione dell'impresa[38].
Al fine di corroborare l'assunto dell'insussistenza di una vicenda espropriativa la Corte non si arresta, tuttavia, alle precedenti statuizioni ma aggiunge l'argomento secondo cui la disciplina dei limiti al rimborso sarebbe proporzionata «al perseguimento dei superiori interessi pubblici alla stabilità del sistema bancario e finanziario» in quanto bilancerebbe «in maniera non irragionevole le esigenze dell'interesse generale della comunità e la tutela dei diritti fondamentali della persona» in modo conforme all'ordinamento europeo. A tale proposito, i giudici costituzionali menzionano sia le pronunce della Corte EDU che hanno considerato compatibili con la tutela convenzionale della proprietà azionaria misure di nazionalizzazione di una banca in crisi anche in assenza di un indennizzo per gli azionisti, sia la giurisprudenza della Corte di Giustizia la quale ha ritenuto conformi all'art. 17 della Carta di Nizza misure che impongano sacrifici agli azionisti (e ai creditori subordinati) di una banca, senza arrecare loro tuttavia «un pregiudizio maggiore di quello che essi subirebbero in caso di procedura di fallimento conseguente alla mancata adozione delle misure stesse» (§§ 5.5. e 5.6.). La Corte sembra, in questo modo, evocare un parallelismo funzionale tra la norma dell'art. 28, comma 2-ter, t.u.b. e la disciplina in materia di risoluzioni bancarie; sensazione, questa, ulteriormente alimentata dal passaggio nel quale la Corte osserva che, in assenza di limiti al rimborso e nell'eventualità in cui il capitale di vigilanza diventasse insufficiente, si aprirebbe lo scenario della possibile soggezione della banca alle misure di risoluzione previste dalla direttiva n. 2014/59/UE (c.d. "BRRD"), con il conseguente rischio per i soci recedenti di un sacrificio «uguale se non probabilmente più grave» (§ 5.4.).
Sul punto si deve tuttavia ancora una volta sottolineare come la norma dell'art. 28, comma 2-ter, t.u.b. non integri (né giustifichi) alcuna misura espropriativa rilevante ai sensi del terzo comma dell'art. 42 Cost. A raggiungere questa conclusione basterebbe già la considerazione più sopra svolta secondo cui l'azionista che abbia esercitato il diritto di recesso e si sia visto opporre i limiti al rimborso non vede per ciò stesso eliso il proprio investimento. Indipendentemente dalle modalità di contabilizzazione in bilancio delle azioni oggetto di recesso, infatti, quel che è certo è che il relativo valore non viene definitivamente acquisito al patrimonio sociale[39], restando di pertinenza esclusiva del socio sia nell'ipotesi in cui la banca si avvalga della facoltà del rinvio, sia nell'ipotesi in cui essa opti invece per la limitazione quantitativa del rimborso con restituzione delle azioni al recedente. Non ricorrono, dunque, gli aspetti tipici del procedimento ablatorio reale: né l'effetto "privativo", «caratterizzato dalla estinzione di una posizione di diritto soggettivo»[40], né quello "appropriativo", «che è l'effetto costitutivo di nuovi diritti reali totali o parziali di cui divengono titolari l'amministrazione o terzi da questa indicati»[41]. Vi è anzi da osservare che, nell'ipotesi in cui la banca prescelga la via della limitazione quantitativa con reintegrazione delle azioni nella disponibilità del recedente, quest'ultimo continuerebbe a disporre di un bene agevolmente scambiabile sul mercato regolamentato ove la banca fosse quotata[42] e comunque a beneficiare dei vantaggi di un tipo societario (s.p.a.) caratterizzato dal principio della libera trasferibilità della partecipazione: un vantaggio, quest'ultimo, il quale, consentendo al socio di monetizzare le azioni della società risultante dalla trasformazione reinvestendo il ricavato in quote di altre banche cooperative, a ben vedere induce altresì a escludere che la sopraggiunta introduzione di limiti al rimborso leda in modo sproporzionato l'affidamento originariamente riposto dai soci della banca cooperativa sulla possibilità di disinvestire in caso di cambiamento del tipo[43].
Ma anche a ritenere che l'effetto privativo dell'espropriazione possa consistere non solo nella sottrazione di un bene patrimoniale alla sfera del suo titolare bensì anche nell'imposizione di diminuzioni alla sua libera fruizione[44], e ad ammettere altresì che, nel caso di specie, vi sia pure un risultato "appropriativo" in favore della banca[45], resterebbe comunque decisiva la considerazione secondo cui l'espropriazione presuppone che la perdita del diritto in capo al titolare sia effetto immediato di un atto autoritativo[46]. Nel caso di specie, per contro, non solo manca qualsiasi esercizio di potere d'imperio di fonte statale e/o amministrativa[47], ma l'applicazione dei limiti al rimborso trova pur sempre fondamento in un atto di autonomia privata e cioè nella deliberazione con la quale l'organo gestorio della banca valuta il rimborso pregiudizievole per il capitale primario dell'ente, oltre che, e prima ancora, nella stessa dichiarazione di recesso e quindi in una libera manifestazione di volontà espressa dal socio nella consapevolezza di poter subire una compressione della propria aspettativa di rimborso[48].
Né può al riguardo obiettarsi che la prospettiva di subire il rinvio finisca con il disincentivare l'esercizio del recesso al punto tale da svuotarne il contenuto e da tradursi in una sostanziale "ablazione" dello stesso. Anche a voler condividere questa preoccupazione e a trascurare altresì il non indifferente problema applicativo che ne discenderebbe per la necessità di individuare il criterio in base al quale stabilire quando un diritto amministrativo o patrimoniale del socio, pur formalmente intatto, risulti invece sostanzialmente "svuotato" dalla legge, resterebbe comunque ferma la constatazione secondo cui quello svuotamento sarebbe conseguenza di una deliberazione dell'organo amministrativo della banca e non di un atto normativo o di un provvedimento dell'Autorità di Vigilanza volto a funzionalizzare il bene alla realizzazione di un interesse pubblico[49].
Ben diversa si presenta, dunque, la situazione in esame rispetto a quanto avviene nella disciplina in materia di risoluzione delle banche in crisi (c.d. "bail-in") ove la menomazione della sfera giuridica individuale (inflitta sotto forma di "condivisione" delle perdite imposta ad azionisti e creditori subordinati) deriva da una situazione di dissestoattuale o potenziale[50] e costituisce in ogni caso esito di un provvedimento amministrativo[51]: il che spiega, allora, sia l'esigenza di vagliarne la legittimità costituzionale alla luce dei criteri enunciati dall'art. 42, comma 3, Cost. per le vicende propriamente espropriative (riserva di legge, sussistenza di preminenti motivi di interesse generale, corresponsione di un indennizzo), sia, ed è ciò che più rileva in questa sede, la sorte riservata al diritto di recesso, il quale non viene semplicemente "limitato" nell'effetto del rimborso (come è a dirsi per il caso di trasformazione delle banche cooperative in s.p.a.) ma più radicalmente escluso[52].
Non resta, dunque, che ricordare quanto già in altra sede osservato[53] e cioè che la disciplina sui limiti al rimborso appartiene al novero di quei complessi normativi che, in esecuzione del "mandato" assegnato al legislatore ordinario dal secondo comma dell'art. 42 Cost., valgono a conformare il contenuto e i limiti della proprietà privata «allo scopo di assicurarne la funzione sociale»[54]. Tale disciplina interviene, infatti, a governare rapporti tra privati e, più in particolare, a risolvere il conflitto, che tipicamente si pone in qualsiasi vicenda di recesso, tra l'interesse dei finanziatori (a vario titolo) di un'impresa organizzata in forma societaria alla conservazione dell'equilibrio finanziario di quest'ultima e l'interesse dei soci uscenti a conseguire tempestivamente il valore della propria partecipazione sottraendosi alle conseguenze economiche e giuridiche di una decisione che non hanno condiviso. Si tratta di un conflitto che, già sul piano del diritto comune delle società, il legislatore sarebbe libero di risolvere in favore dell'interesse alla stabilità patrimoniale dell'impresa[55]; sicché non appare manifestamente privo di fondamento costituzionale il sacrificio dei soci recedenti in un settore, come quello bancario, strutturalmente caratterizzato dalla preminenza delle ragioni dell'impresa su quelle dei suoi "proprietari", e con riguardo a un tipo, quello della cooperativa, strutturalmente caratterizzato dalla variabilità del capitale e quindi da un più accentuato rischio di deflussi finanziari indotti dalla vigenza della regola della "porta aperta"[56].
La scelta di allocare la disciplina in esame sul piano sistematico delle norme che conformano la proprietà bancaria organizzata in forma cooperativa e non invece su quello delle misure "espropriative" sollecita, infine, un'ultima e assai sintetica osservazione: il richiamo, cioè, all'esigenza che il legislatore ordinario, nel plasmare quella disciplina, si attenga a un principio di ragionevolezza nel bilanciamento degli interessi incisi. Tale principio impone, come già sottolineato in precedenza, un dovere di equidistanza del legislatore rispetto alle posizioni giuridiche private coinvolte[57] e induce allora a ritenere che il sacrificio imposto ai soci recedenti non deve eccedere il fine di salvaguardare l'obiettivo di stabilità della banca né, in particolar modo, tradursi in un arricchimento indebito degli altri soci. Con riferimento al caso di specie, questo vuol dire che l'eventuale decisione dell'organo amministrativo di rinviare il rimborso delle azioni dei soci recedenti[58] comporterà non solo l'obbligo degli amministratori di motivare tale scelta e di monitorare periodicamente nel tempo la persistenza delle ragioni che l'avevano legittimata ma anche quello dell'organo assembleare di accumulare porzioni di utili futuri in misura sufficiente a soddisfare tempestivamente l'aspettativa di rimborso dei soci recedenti[59]. Una diversa interpretazione[60] potrebbe esporre, infatti, l'art. 28, comma 2-ter, t.u.b.a una censura di complessiva irragionevolezza per violazione del principio costituzionale di eguaglianza ove pretendesse, da un lato, di giustificare la compressione dell'interesse dell'azionista recedente al rimborso tempestivo del proprio investimento con il superiore obiettivo della liquidità e della stabilità patrimoniale della banca ma, dall'altro, non garantisse a tale obiettivo eguale forza vincolante con riguardo all'interesse dei soci rimanenti alla remunerazione periodica del proprio investimento.
Postilla. La sentenza della Corte Costituzionale non ha posto la parola fine al confronto tra organi giurisdizionali in ordine alla legittimità della riforma delle banche popolari. Con ordinanza del 26 ottobre 2018, consultabile sul sito www.giustizia-amministrativa.it e pubblicata quando il presente lavoro andava ormai in stampa, il Consiglio di Stato, VI Sez., ha infatti deliberato di sollevare in via pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art. 267 TFUE, cinque quesiti relativi alla compatibilità con la disciplina europea «di una normativa nazionale, come quella prevista dall'art. 1 del d.l. n. 3/2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 33/2015» relativamente a diversi profili e segnatamente:(aa)con riguardo alla previsione di una soglia massima di attivo e al conseguente obbligo della banca popolare di trasformarsi in società per azioni in caso di suo superamento, in ragione del potenziale contrasto di tale previsione con le regole europee in materia di aiuti di Stato o di libera circolazione dei capitali;(bb)con riguardo alle modalità di limitazione del rimborso declinate nella Circolare della Banca d'Italia n. 285/2013, la cui formulazione letterale, secondo i giudici amministrativi, si discosterebbe dal testo dell'art. 10, par. 2, del Regolamento Delegato, in quanto quest'ultimo, a differenza della Circolare, non contemplerebbe né la facoltà di rinviare il rimborso «per un periodo illimitato» di tempo né quella di limitarlo «in tutto» (cioè integralmente)(cc)infine, con riguardo alla compatibilità della stessa disciplina sui limiti al rimborso prevista dal Regolamento Delegato con gli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (cfr. il § 20 dell'ordinanza).
Ai fini che qui rilevano ci si potrebbe chiedere se la lettura data dai giudici amministrativi all'art. 10, par. 2, del Regolamento Delegato, nella misura in cui collega alla sola ipotesi di limitazione, e non anche al rinvio, l'inciso «per un periodo illimitato» (§ 19.4 dell'ordinanza di rinvio), non comporti, come sua inevitabile e logica conseguenza, la necessità di riferire alla sola limitazione del rimborso, e non anche al rinvio, il successivo inciso (non separato dal primo da alcuna virgola) «in conformità al paragrafo 3» (recante i criteri in base ai quali gli amministratori devono valutare la situazione prudenziale della banca per decidere sulla entità del limite da applicare): con un esito interpretativo, allora, discutibile. E ci si potrebbe altresì chiedere se, nel valutare la aderenza della Circolare al dettato del Regolamento Delegato, non fossero valorizzabili ulteriori indici testuali e sistematici. Così, ad es., l'art. 10, par. 3, che impone alla banca di determinare «l'entità dei limitial rimborso sulla base della sua situazione prudenzialein qualsiasi momento»: il riferimento generico alla «entità» e al plurale «limiti» potrebbe dirsi ricomprendere, infatti, anche l'ipotesi di unalimitazione integraledel rimborso, mentre poi l'inciso «in qualsiasi momento» parrebbe compatibile con l'ipotesi di unrinvioper un periodo illimitato(donde l'obbligo degli amministratori della banca di monitorarne periodicamente la situazione prudenziale, secondo l'interpretazione proposta dalla Corte Costituzionale: v. la precedente nt. 31). Così, ancora, l'art. 11, par. 3, del Regolamento Delegato il quale impone alla banca di specificare i motivi per i quali «un rimborso è stato rifiutato o rinviato in tutto o in parte»: il che, ove si sia disposti a leggere il termine "rifiuto" come sinonimo di "limitazione" (v. la precedente nt. 33), potrebbe pure intendersi come conferma del fatto che non solo il rinvio ma anche la limitazione possa essere integrale. E vi è infine da chiedersi, su un piano ancor più generale, quale possa essere la ricaduta applicativa dell'eventuale statuizione di un "eccesso" di potere della Banca d'Italia nel disciplinare le modalità del rimborso (in ragione della previsione della limitazione "integrale" e/o del rinvio per un periodo "illimitato"), posto che i giudici delle leggi, con la sentenza n. 99/2018, hanno già dichiarato la conformità alla Costituzione di quelle modalità, e appunto in forza di una interpretazione costituzionalmente orientata della lettera della Circolare [sulla necessità del giudice di privilegiare in ogni caso una "verfassungskonforme Auslegung" v. K. Larenz-M. Wolf,Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts, (nt. 20), 106].
La Corte di Giustizia viene ora chiamata a "chiudere" il dibattito pronunciandosi in via pregiudiziale sia sulla esatta interpretazione della fonte sovranazionale sia sulla sua coerenza con lo statuto normativo europeo in materia di proprietà. La speranza è che si scriva in questo modo il capitolo conclusivo di una storia travagliata, nell'interesse generale alla certezza del diritto.
** Marco Maugeri - Professore ordinario di Diritto commerciale, Università Europea di Roma; email: marco.maugeri@unier.it
1) Libertà di iniziativa economica intesa come «libera scelta di forme» da parte dei privati: v. G. Oppo, Princìpi, nel Trattato di diritto commerciale, fondato da V. Buonocore e diretto da R. Costi, I.1, Torino, Giappichelli, 2001, 8 ss.
2) Ove interpretato, come è necessario fare, alla stregua «di sommo statuto generale dei diritti privati a contenuto patrimoniale»: così F. d'Alessandro, Interesse pubblico alla conservazione dell'impresa e diritti privati sul patrimonio dell'imprenditore, in Scritti di Floriano d'Alessandro, II, Milano, Giuffrè, 1997, 863.
3) Il testo della sentenza, pubblicato nella G.U. del 23 maggio 2018, n. 21, è consultabile in www.cortecostituzionale.it.
4) Si è tentato un esame della ordinanza del Consiglio di Stato in M. Maugeri, Ancora su possibilità e limiti costituzionali di una disciplina del recesso nelle banche popolari (osservazioni a Consiglio di Stato, 15 dicembre 2016), in Riv. soc., 2017, I, 230 ss. Cfr. anche S. Amorosino, Incostituzionalità della riforma delle banche popolari per decreto legge e con l'attribuzione a Banca d'Italia di poteri regolamentari e derogatori "in bianco", in Dir. banca merc. fin., 2017, I, 385 ss.; M. Lamandini, La riforma delle banche popolari al vaglio della Corte costituzionale, in Società, 2/2017, 156 ss.; G. Romano, Trasformazione di banca popolare, recesso e limiti al rimborso delle azioni: il d.l. n. 3/2015 di fronte alla giustizia civile, amministrativa e costituzionale, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, II, 190 ss.
5) Con tale decisione, come noto, la Consulta ha reputato non manifestamente irragionevole il divieto di cui all'art. 29, comma 2-bis, t.u.b. sulla base della considerazione secondo cui rientra nel potere del legislatore stabilire le condizioni di utilizzo di un determinato istituto privatistico come la forma giuridica societaria. Si era, in vero, dubitato della compatibilità di tale disposizione con il principio di proporzionalità, sia perché la norma, attribuendo rilievo alla sola consistenza dell'attivo, colpisce anche banche pienamente in linea con i requisiti prudenziali, sia perché lo scopo di una apertura al mercato dei capitali avrebbe potuto essere realizzato con mezzi meno invasivi (ad es., consentendo l'emissione di azioni con voto ponderale: v. M. Lamandini,Azioni e diritto di voto nella riforma delle banche popolari, inRiv. dir. soc., 2016, II, 253 ss.). Ma la conclusione della Corte appare difficilmente contestabile in quanto l'essenza della proprietà azionaria - e il principale tratto distintivo rispetto alla proprietà fondiaria - risiede proprio nella sua strutturale accessibilità al potere conformativo del legislatore (M. Maugeri,Banche popolari, diritto di recesso e tutela costituzionale della proprietà azionaria, inRiv. soc., 2016, I, 1005 ss.), fermo il limite, beninteso e proprio in forza della garanzia costituzionale della proprietà privata e della libertà d'impresa, di nonsnaturarel'istituto societario: come accadrebbe, ad es., se si trattasse di disciplina volta a traslare il potere di nomina e di revoca (della maggioranza) degli amministratori al di fuori dell'organo rappresentativo della collettività dei soci per assegnarlo a gruppi o entità "terze" (ad es., a rappresentanze sindacali, ai creditori o, secondo un modello fondazionale, allo Stato): v. E. Schmidt-Aßmann,Der Schutz des Aktieneigentums durch Art. 14 GG, inFestschrift für P.Badura, Tübingen, 2004, 1020.
A non diversa conclusione deve giungersi, del resto, ove si abbia riguardo all'ordinamento europeo. È certamente plausibile affermare che una norma come quella cristallizzata nell'art. 29, comma 2-bis, t.u.b. eriga un limite sia alla libertà di associazione riconosciuta e protetta dall'art. 11 della CEDU (norma interpretata dalla Corte EDU secondo uno schema argomentativo non dissimile da quello seguito in materia di proprietà privata, cioè rifuggendo da qualsiasi inquadramento dogmatico e privilegiando un'impostazione sostanzialistica che induce a ricomprendere nel concetto di «associazione» anche le iniziative collettive perseguenti uno scopo prevalentemente economico), sia alla libertà d'impresa riconosciuta e protetta dall'art. 16 della Carta di Nizza, almeno ove intesa come libertà di scelta della forma organizzativa (v. J. Kühling, in Frankfurter Kommentar zu EUV, GRC und AEUV, Tübingen, 2017, Art. 16, Rn. 9). Ma non bisogna dimenticare che i giudici europei lasciano ampio spazio alla discrezionalità del legislatore nazionale nella scelta dei vincoli cui subordinare la selezione dei singoli modelli societari/associativi e nell'apprezzamento dell'interesse generale al quale ancorare quei limiti, sanzionando tale apprezzamento solo quando il bilanciamento tra interesse generale e interesse dei privati sia formulato in assenza manifesta di una base di ragionevolezza (c.d. "Evidenzprinzip"): v. B. Daiber, in Europäische Menschenrechtskonvention, a cura di J. Meyer-Ladewig, Baden-Baden, 2017, sub Art. 11, Rn. 15 ss.; J. Kühling (in questa nt.), Rn. 14; C. Grabenwarter-K. Pabel, Europäische Menschenrechtskonvention. Ein Studienbuch6, München, 2016, 442 ss.; W.A. Schabas, The European Convention on Human Rights, Oxford, Oxford University Press, 2015, 492 ss.; F. Arndt-A. Engels, in Konvention zum Schutz der Menschenrechte und Grundfreiheiten2, a cura di U. Karpenstein e F.C. Mayer, München, 2015, sub Art. 11, Rn. 21 ss. Anche nella cornice appena delineata, dunque, non sembra agevole censurare sul piano della ragionevolezza costituzionale la riforma interna attuata con il d.l. n. 3/2015, almeno se si muove dall'assunto di fondo secondo cui tale riforma avrebbe inteso promuovere il passaggio delle maggiori banche popolari al modello azionario in quanto connotato, rispetto al tipo cooperativo, da una maggiore contendibilità e facilità di accesso al mercato mobiliare e quindi più idoneo a garantire un più intenso controllo da parte dei soci sull'operato degli amministratori, come pure più immediate possibilità di raccolta di nuovo capitale di rischio in ipotesi di carenza di mezzi propri.
6) Ciò a differenza della disposizione dell'art. 29, comma 2-bis, t.u.b. la quale si applica alle sole banche popolari, con la conseguenza che, in linea di principio, potrebbero aversi banche di credito cooperativo con attivo superiore a otto miliardi: in senso critico sul punto v. M. Bodellini, Attività bancaria e impresa cooperativa, Bari, Cacucci Editore, 2017, 82.
7) E v. infatti G. Martina, Le azioni di finanziamento delle banche di credito cooperativo tra profili di governance e risvolti patrimoniali, Milano, Giuffrè, 2017, 144.
8) Cfr. il Cap. 4, Parte Terza della Circolare Banca d'Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 (24° aggiornamento).
9) La strada del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia costituisce, infatti, un "obbligo" per gli organi giurisdizionali di ultima istanza solo quando la questione interpretativa non sia di soluzione evidente: v., sul punto, E. Malfatti, I "livelli" di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea3, con la collaborazione di F. Biondi Dal Monte e N. Pignatelli, Torino, Giappichelli, 2018, 266; sugli effetti della eventuale pronuncia della Corte cfr. D. Gallo, L'efficacia diretta del diritto dell'Unione Europea negli ordinamenti nazionali, Milano, Giuffrè, 2018, 65 ss.
10) In favore della quale ci si era espressi in M. Maugeri, Ancora su possibilità e limiti costituzionali, (nt. 4), 248, testo e nt. 57.
11) M. Lamandini, La riforma, (nt. 4), 161. Sul rapporto tra le fonti dell'ordinamento europeo e quelle dell'ordinamento statale v. F. Politi, Diritto costituzionale dell'Unione Europea, Torino, Giappichelli, 2018, 78 ss.
12) Considerazioni critiche sulla "delega" operata dalla legge e conseguentemente anche sulla lettura che le viene data dalla Corte si leggono in S. Amorosino, Corte costituzionale e rimborso dei soci recedenti delle banche popolari: determinante regolatoria europea e interrogativi irrisolti, in Riv. dir. banc., 2018, V, in www.dirittobancario.it, 6 ss. Per un diverso ordine di rilievi v. F. Brizzi, Il recesso del socio di banca cooperativa tra fonti normative nazionali ed europee: una questione aperta, in RDS, 2017, II, 517 ss.
13) Si esprime nel senso che la normativa europea avrebbe lasciato "libertà di scelta" alla Banca d'Italia nell'attuazione delle previsioni del CRR e del Regolamento Delegato in materia di limiti al rimborso (ma senza chiarire gli aspetti della disciplina europea in relazione ai quali può estrinsecarsi tale libertà di scelta delle Autorità nazionali), E. De Chiara, Rinvio e limitazione del rimborso in caso di recesso e poteri normativi della Banca d'Italia, in Società, 2018, VII, 842 ss. Per il rilievo generale in ordine alla tendenza del legislatore comunitario a costruire in modo "pregnante" gli interventi regolamentari dell'Autorità di Vigilanza in ambito bancario, consentendo anche deroghe al diritto societario comune ove ciò sia necessario per assicurare un quadro normativo omogeneo a livello europeo, v. A. Mirone, Regole di governo societario e assetti statutari delle banche tra diritto speciale e diritto generale, in Rivista ODC, 2/2017, 12 ss.
14) L'esigenza di una preventiva modificazione dello statuto della banca al fine di fondare il potere dell'organo amministrativo di limitare il rimborso delle azioni del socio recedente si trova, in realtà, affermata non nell'art. 28, comma 2-ter, t.u.b. bensì nella Circolare n. 285 della Banca d'Italia (cfr. la Sez. III, Cap. 4, Parte Terza) e costituisce attuazione di quanto previsto dall'art. 11, par. 2, del Regolamento Delegato a mente del quale le Autorità nazionali competenti sono chiamate a valutare «la base sulla quale è limitato il rimborso ai sensi delle disposizioni contrattuali e di legge che regolano lo strumento» e «impongono agli enti di modificare le corrispondenti disposizioni contrattuali se non sono convinte che la base sulla quale è limitato il rimborso sia appropriata». Sul punto v. L. Carotenuto, Il diritto al rimborso del socio recedente di banca popolare in seguito alla riforma del t.u.b., in RDS, 2018, I, 69 ss. il quale, dopo avere correttamente osservato che il potere di limitazione della banca discende dalla (e quindi presuppone una) modificazione dello statuto in forza di quanto stabilito dalla Circolare n. 285, giunge poi alla conclusione che la disciplina in esame non sarebbe affetta da illegittimità costituzionale in quanto il socio dissenziente dalla delibera di modificazione dello statuto «avrebbe diritto di recedere ex art. 2437, lett. f), c.c.» e quindi di «disinvestire senza alcuna lesione» visto che la banca non potrebbe (ancora) opporgli alcun limite al rimborso: il che però, al di là della singolare circostanza che una simile interpretazione frustrerebbe lo scopo dell'intera disciplina (giacché i soci, anziché attendere la delibera di trasformazione o altra causa di scioglimento individuale del rapporto sociale esponendosi alla limitazione del rimborso, eserciterebbero il recesso già al momento della modifica statutaria senza incorrere in alcuna limitazione e anche ove il capitale primario della banca si riducesse al di sotto delle soglie prescritte), non sembra esatto già sul piano del diritto azionario comune in quanto l'introduzione della clausola statutaria in questione incide sul profilo dei tempi e dei modi di liquidazione delle azioni ma non comporta alcuna «modificazione dei criteri di determinazione del valore dell'azione» i quali restano integralmente governati dall'art. 2437-ter (o tutt'al più dall'art. 2535) c.c.
15) Per un cenno v. M. Maugeri, Ancora su possibilità e limiti costituzionali, (nt. 4), 249 ss. Sulla fondamentale distinzione tra fonti «di produzione» normativa, intese come «fatti (ed atti), cioè, abilitati dall'ordinamento a creare diritto oggettivo» e fonti «di cognizione» normativa, le quali «non pongono norme, ma si limitano ad agevolare la conoscenza di norme già poste da altre (e 'vere') fonti», e sottolineando altresì la fenomenologia «tutt'altro che unitaria» di queste ultime, V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale6, II.1, Padova, Cedam, 1993, 4 e 6.
16) G. Guizzi, Appunti in tema di interesse sociale e governance nelle società bancarie, in Riv. dir. comm., 2017, I, 241 ss., spec. 248 ss. Questa maggiore autonomia comporta al tempo stesso, deve dirsi, un duplice effetto sul piano della responsabilità degli amministratori: da un lato, una riduzione del perimetro di estensione della responsabilità sul piano societario (come conseguenza del dilatarsi dello spettro degli interessi legittimamente perseguibili: v. A. Mirone, Regole di governo societario e assetti statutari delle banche, (nt. 13), 33; dall'altro, una estensione di quel perimetro sul piano amministrativo e penale come conseguenza dei più stringenti obblighi di gestione/misurazione/controllo dei rischi che tipicamente presiedono all'esercizio dell'attività bancaria: v., sul punto, K. Langenbucher, Bausteine eines Bankgesellschaftsrechts, in ZHR 176 (2012), 663 ss.; nonché, discutendo proposte di ulteriore inasprimento della responsabilità degli amministratori e, prima ancora, di modifica delle regole sulla composizione del consiglio di amministrazione al fine di consentire che siano rappresentati gli interessi dei creditori di lungo termine della banca (e, segnatamente, degli obbligazionisti), P. Davies-K.J. Hopt, Non-Shareholder Voice in Bank Governance: Board Composition, Performance and Liability, ECGI, Law Working Paper N° 413, Agosto 2018.
17) G. Ferri jr, La posizione dei soci di società bancaria, in Dir. banca merc. fin., 2016, I, 813 ss. sottolineando come, nella materia bancaria, un ruolo «ricostruttivamente centrale» spetti al significato della società come «forma di organizzazione dell'impresa», non invece a quello di «strumento di investimento».
18) Si tratta di problema la cui soluzione dipende da molteplici variabili: e così, solo per citarne alcune, dalla circostanza che l'uscita del socio sia "volontaria" (recesso) o "forzata" (esclusione o squeeze-out); dallo scopo del procedimento di liquidazione delle azioni (che è diverso a seconda che si tenda alla determinazione del valore di "scambio" della partecipazione del socio uscente oppure, e ove mai configurabile, del suo valore "reale"); e ancora dalla idoneità delle quotazioni a riflettere adeguatamente il valore di scambio e/o reale della partecipazione. Sulla rilevanza per il diritto costituzionale di questi temi v. H. Bergbach, Anteilseigentum. Betrachtungen zur Stellung von Gesellschaftern, insbesondere Aktionären, unter der Eigentumsgarantie des Grundgesetzes, Jena, 2010, 527 ss.; per una analisi dei riflessi societari del problema cfr. M. Maugeri, Partecipazione sociale, quotazione di borsa e valutazione delle azioni, in Riv. dir. comm., 2014, I, 93 ss.
19) La centralità della tutela costituzionale offerta dalla Eigentumsgarantie e dal Gleichheitsgrundsatz alla minoranza azionaria veniva sottolineata già da B. von Falkenhausen, Verfassungsrechtliche Grenzen der Mehrheitsherrschaft nach dem Recht der Kapitalgesellschaften, Karlsruhe, 1967, 118 ss.
20) V. le pagine sempre attuali di G. Oppo, Eguaglianza e contratto nelle società per azioni, in Riv. dir. civ., 1974, I, 632 ss., specie a 637 (rilevando come nel diritto societario il problema della tutela del singolo socio non discenda da «discriminazioni» vietate ai sensi dell'art. 3 Cost. quanto piuttosto da disparità di trattamento ispirate all'interesse esclusivo della maggioranza o di altri soci). In generale, sul problema della "unmittelbare und mittelbare Drittwirkung" delle libertà costituzionali nei rapporti di diritto privato, v. K. Larenz-M.Wolf, Allgemeiner Teil des Bürgerlichen Rechts8, München, 1997, 107 ss.; e di recente S.V. Knebel, Die Drittwirkung der Grundrechte und - freiheiten gegenüber Privaten, Baden-Baden, 2018, 33 ss. e 69 ss.
21) E v. E. Schmidt-Aßmann, Der Schutz des Aktieneigentums, (nt. 5), 1014: «Gebot der Äquidistanz».
22) È chiaro, infatti, che, per poter attendibilmente stabilire quale disciplina della partecipazione azionaria sia conforme alla tutela costituzionale della proprietà, è necessario avere identificato prima, e quindi "trascendendo" quella disciplina, il modello teorico di partecipazione reputato compatibile con le indicazioni provenienti dalla legge fondamentale dello Stato (v. P.O. Mülbert, Grundsatz- und Praxisprobleme der Einwirkungen des Art. 14 GG auf das Aktienrecht, in Festschrift für Hopt, I, Berlin-New York, 2010, 1049). Al riguardo sono pensabili diversi paradigmi: v., ad es., E. Schmidt-Aßmann, Der Schutz des Aktieneigentums, (nt. 5), 1018 ss. il quale distingue in proposito il modello dell'azionista "proprietario" ("individualrechtlicher Ansatz"), quello dell'azionista "socio" ("verbandsrechtlicher Ansatz") e quello dell'azionista "investitore" ("kapitalmarktrechtlicher Ansatz").
23) V., per tutti, G. Bonfante, La società cooperativa, nel Trattato di diritto commerciale, V, Padova, Cedam, 2014, 185 ss.; G.C.M. Rivolta, Diritto delle società. Profili generali, nel Trattato di diritto commerciale, fondato da V. Buonocore e diretto da R. Costi, Torino, Giappichelli, 2015, 161 ss. Non minore può dirsi la frammentazione delle posizioni partecipative in una banca cooperativa, atteso che l'art. 2526 c.c. ha fatto ingresso ormai nello statuto normativo sia delle popolari (non figurando tra le norme dichiarate inapplicabili dall'art. 150-bis, comma 2, t.u.b.), sia delle banche di credito cooperativo (non figurando tra le norme dichiarate inapplicabili dall'art. 150-bis, comma 1, t.u.b., ma alle condizioni previste dall'art. 150-ter t.u.b.). Per il rilievo secondo cui nelle cooperative quotate la figura soggettiva di riferimento delle norme del t.u.f. sarebbe quella dell'investitore istituzionale e non quella del socio minimo A. Cetra, La tutela delle minoranze e dei soci nell'impresa cooperativa, La tutela del socio e delle minoranze. Studi in onore di Alberto Mazzoni, a cura di F. Barachini, Torino, Giappichelli, 2018, 276.
24) L'esistenza del voto capitario, infatti, da un lato preclude la possibilità che in una società cooperativa si instauri una dialettica tra maggioranza e minoranza negli stessi termini in cui essa è predicabile nella s.p.a. [v. B. Großfeld, Genossenschaft und Eigentum, Tübingen, 1975, 43 il quale nega che si possa finanche discorrere di una "minoranza" all'interno delle cooperative («Einen dem Minderheitsaktionär vergleichbaren "Minderheitsgenossen" gibt es nicht»); su tali temi v. ora, diffusamente, A. Cetra, La tutela delle minoranze, (nt. 23), 247 ss.] ma, dall'altro e correlativamente, quel principio sembra assicurare al singolo socio una posizione "dispositiva" sull'impresa di intensità maggiore rispetto a quella predicabile nel caso dell'azionista minimo di una s.p.a. [e v. nuovamente B. Großfeld Genossenschaft und Eigentum, (nt. 24), 43 («Dispositionsfreiheit über das Unternehmen im ganzen haben nur die Genossen und sonst niemand»)]. E questo secondo profilo pare trovare eco nel passaggio dell'ordinanza del Consiglio di Stato del 15 dicembre 2016 di rimessione della questione di costituzionalità alla Corte, ove i giudici amministrativi esprimono il convincimento che la trasformazione in s.p.a. e la conseguente perdita del voto capitario modifichi «sensibilmente in senso riduttivo i diritti 'amministrativi' del socio» (§ 33).
25) Cfr., con riguardo all'art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, i riferimenti in K. Kaiser, in Konvention zum Schutz der Menschenrechte und Grundfreiheiten2, a cura di U. Karpenstein e F.C. Mayer, München, 2015, sub Art. 1 ZP, Rn. 21; C. Grabenwarter-K. Pabel, Europäische Menschenrechtskonvention, (nt. 5), 598 ss., Rn. 3 e 6 (sottolineando come la protezione convenzionale della proprietà si estenda ai «diritti con valore patrimoniale» e quindi anche alle partecipazioni sociali).
26) V. ancora G. Ferri jr, La posizione dei soci di società bancaria, (nt. 17), 814 e 821; M. Maugeri, Banche popolari, (nt. 5), 1016 ss. E già, con sorprendente modernità, O. Von Gierke, Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, Berlin-Hildesheim, 1887, 289 definendo la quota del socio di cooperativa (Geschäftsanteil) alla stregua di un «Förderungsrecht» e aggiungendo che «[A]ls Förderungsrecht gehört er [der Geschäftsanteil] zum Vermögen des Einzelnen».
27) Come avviene nell'ipotesi di squeeze-out: cfr. l'art. 111 t.u.f. e, con ben maggiore ampiezza (perché configurabile anche in società "chiuse"), il § 327a della legge azionaria tedesca.
28) Può dirsi pertanto che nella materia del diritto societario, anche ove esso prenda una colorazione "bancaria", la garanzia costituzionale della proprietà azionaria si traduce in un Vermögensschutz (tutela patrimoniale della partecipazione) anziché in un Bestandsschutz (tutela della conservazione della partecipazione). In questo senso si orienta la giurisprudenza tedesca del Bundesverfassungsgericht e la dottrina del tutto prevalente (discorrendo al riguardo di un «dulde und liquidiere» del socio di minoranza): v. i riferimenti in B. Schoppe, Aktieneigentum. Verfassungsrechtliche Strukturen und gesellschaftsrechtliche Ausprägungen der Aktie als Gegenstand des Art. 14 GG, Köln, 2011, 188 ss.; L. Klöhn, Das System der aktien- und umwandlungsrechtlichen Abfindungsansprüche, Tübingen, 2009, 85 ss.
29) M. Lamandini, La riforma, (nt. 4), 161.
30) Potendo trattarsi dell'assemblea, del consiglio di amministrazione o anche di singoli azionisti o terzi: v. P.O. Mülbert, Einwirkungen des Art. 14 GG auf das Aktienrecht, (nt. 22), 1057 ss.
31) Così il § 5.4. della sentenza n. 99/2018. In questo senso, se si vuole, v. già M. Maugeri, Banche popolari, (nt. 5), 1021 ss. Manca, dunque, un connotato ricorrente delle misure espropriative per pubblico interesse, ossia la circostanza che la limitazione imposta al privato sia a tempo indeterminato (per la considerazione secondo cui «l'obbligo di corrispondere un indennizzo consegue non alla mera esistenza di prescrizioni limitative, bensì alla mancata individuazione di limiti di durata» v. G. Rolla, La tutela costituzionale dei diritti6, Milano, 2018, 198).
32) Cfr., anche per una ampia analisi dell'orientamento adottato sul punto dal Bundesverfassungsgericht, H. Bergbach, Anteilseigentum, (nt. 18), 518 ss.
33) La Corte distingue, dunque, chiaramente la facoltà di rinvio da quella di limitazione, secondo quanto si osservava in altra sede [cfr. M. Maugeri, Banche popolari, (nt. 5), 1016 ss.; in senso diverso si esprime G. Romano, Recesso e limiti al rimborso delle azioni nelle banche (in specie cooperative) tra diritto societario, regole europee di capital maintenance e "principio" del bail-in, in Riv. soc., 2017, I, 60 ss., testo e nt. 251, nonché 96 ss.]. In favore di questa conclusione depone il dato letterale dell'art. 10, par. 2, del Regolamento Delegato, secondo cui la capacità dell'ente di limitare il rimborso «riguarda sia il diritto di rinviare il rimborso che il diritto di limitare l'importo rimborsabile». Si può aggiungere, inoltre, il considerando n. 10 del Regolamento secondo cui «è essenziale che le disposizioni che regolano gli strumenti conferiscano all'ente la capacità di rinviare il loro rimborso e limitare l'importo da rimborsare», e che, «data l'importanza della capacità di limitare o rinviare il rimborso», gli enti bancari dovrebbero documentare ogni decisione volta a limitare il rimborso. Anche l'art. 11, par. 3, del Regolamento Delegato sembra confermare l'esattezza di tale conclusione nella misura in cui richiama «i criteri fissati nel paragrafo 3» dell'articolo 10 del Regolamento Delegato che, a loro volta, disciplinano i limiti al rimborso di strumenti di capitale emessi da banche cooperative «ai fini dell'articolo 29, paragrafo 2, lettera b), e dell'articolo 78, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 575/2013». Queste ultime disposizioni (e cioè sia l'articolo 29, paragrafo 2, lettera b), sia l'articolo 78, paragrafo 3, del CRR), come più in generale l'intero Regolamento Delegato (e v. l'art. 1, lett. d) hanno ad oggetto esclusivamente il caso in cui il diritto nazionale non consenta all'ente emittente di rifiutare il rimborso (l'ipotesi in cui il diritto nazionale consente tale rifiuto è infatti disciplinata dall'art. 29, par. 1, lett. a, del CRR): ne consegue che l'eventualità di un "rifiuto" del rimborso alla quale si riferisce l'art. 11, par. 3, del Regolamento Delegato non sembra potersi interpretarsi come sinonimo di diniego del rimborso (visto che, come detto, l'art. 11, par. 3, del Regolamento Delegato si applica solo alle ipotesi in cui l'ordinamento interno vieti all'ente di rifiutare il rimborso) bensì soltanto come espressione di un potere di limitazione quantitativa, allora distinto da quello di rinvio.
34) L'esigenza segnalata nel testo di una reintegrazione piena del socio quale manifestazione del principio di proporzionalità consente dunque di prescindere dal problema della natura di tali interessi e in particolar modo dall'inquadramento della loro funzione in chiave "remuneratoria" (come corrispettivo del godimento da parte della banca delle somme di pertinenza del recedente) o "indennitaria" (come compensazione del sacrificio sofferto dal socio che consegue in ritardo l'equivalente pecuniario delle azioni). Su questi delicati temi v., per tutti, R. Nicolò, Istituzioni di diritto privato, Milano, Giuffrè, 1962, 117 ss.; M. Libertini, voce «Interessi», in Enc. dir., XXII, Milano, Giuffrè, 1972, 97 ss.; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato13, Napoli, ESI, 2007, 605; A. Torrente-P. Schlesinger, Manuale di diritto privato23, a cura di F. Anelli e C. Granelli, Milano, Giuffrè, 2017, 406. Ciò di cui si può semmai discutere, ove si prediliga le tesi della natura compensativa degli interessi in questione, è se spetti al socio l'onere di allegare e dimostrare il pregiudizio subito: il che può anche ammettersi purché si parta dal presupposto che al socio spetti in sede di rimborso una somma rivalutata, gravando allora effettivamente sul creditore della prestazione l'onere di provare «anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) è inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo»: così Cass., 12 febbraio 2008, n. 3268, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 1018, con nota di F. Del Grosso, La funzione degli interessi compensativi: il risarcimento del lucro cessante nei debiti di valore.
35) V., sottolineando come solo un indennizzo finanziario pieno ("vollumfänglicher finanzieller Wertausgleich") soddisfi le esigenze inerenti al principio costituzionale di proporzionalità, B. Schoppe, Aktieneigentum, (nt. 28), 142.
36) Il che dipenderà dalla tesi che si sia disposti a seguire in ordine alla più generale questione relativa all'inquadramento della posizione del recedente durante il procedimento di liquidazione delle azioni: v., sul punto, M. Rossi, Recesso dalla spa e riduzione del capitale sociale, in Giur. comm., 2015, I, 919 ss.
37) Si intende fare riferimento alla disposizione dell'art. 2535, comma 3, c.c. che ammette la legittimità di una clausola dello statuto di cooperativa in forza della quale, in caso di recesso del socio, per la parte di azioni o quote eventualmente assegnategli ai sensi degli artt. 2545-quinquies e 2545-sexies c.c., «la liquidazione o il rimborso, unitamente agli interessi legali, possa essere corrisposto in più rate entro un termine massimo di cinque anni» (enfasi aggiunta). Si noti che tale disposizione non figura tra quelle dichiarate inapplicabili alle banche popolari e alle banche di credito cooperativo dai primi due commi dell'art. 150-bis t.u.b.: con la conseguenza che, in mancanza di (o qualora siano successivamente venute meno le) ragioni per un differimento del rimborso, «continuerebbe a trovare applicazione la norma codicistica»: così G. Martina, Le azioni di finanziamento delle banche di credito cooperativo, (nt. 7), 143; per un richiamo all'art. 2535, comma 3, c.c. v. anche E. De Chiara, Rinvio e limitazione del rimborso in caso di recesso, (nt. 13), 844.
38) Si intende fare riferimento al § 225a, Abs. 5, della legge concorsuale tedesca (Insolvenzordnung) secondo cui, ove il concordato di una società insolvente contempli operazioni societarie idonee a legittimare il diritto di recesso del socio, il piano concordatario può differire il rimborso delle azioni sino a un massimo di tre anni «al fine di non gravare in modo inadeguato sulla situazione finanziaria del debitore» ma, ed è questo il punto, a condizione che gli importi non rimborsati maturino interessi («Nicht ausgezahlte Abfindungsguthaben sind zu verzinsen»): su tale previsione, e sottolineando appunto come gli interessi siano il necessario contrappeso al potere della procedura concorsuale di rinviare il rimborso delle azioni al socio recedente nell'ottica di assicurarne la conformità al principio costituzionale di tutela della proprietà, cfr., per tutti, H. Eidenmüller, in Münchener Kommentar zur Insolvenzordnung3, München, 2014 § 225a, Rn. 121.
39) E v. G. Romano, Recesso e limiti al rimborso delle azioni nelle banche, (nt. 33), 79 ss.
40) S. Rodotà, in Commentario della Cost., a cura di G. Branca, sub art. 42, Bologna-Roma, Zanichelli, 1982, 183.
41) M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1981, 325.
42) Per la rilevanza di questo aspetto v. anche B. Inzitari, La misura precauzionale della limitazione del rimborso della quota nella trasformazione delle Banche popolari, in Riv. dir. comm., 2018, I, 401.
43) A quanto osservato nel testo si può aggiungere:(i)da un lato, che la tutela dell'affidamento potrebbe in ogni caso predicarsi solo per coloro che abbiano sottoscritto/acquistato le azioni della bancaprimadella entrata in vigore della nuova disciplina (se non addirittura prima che fosse sufficientemente nota al mercato l'intenzione del Governo di mettere mano a tale riforma);(ii)dall'altro, che l'affidamento del privato in ordine alla persistenza nel tempo di una certa disciplina (e dei diritti da essa garantiti) non puòin via generaleconsiderarsi meritevole di maggior tutela rispetto all'interesse pubblico protetto dalla disciplina di nuova introduzione (per questo secondo rilievo v. anche B. Schoppe,Aktieneigentum, (nt. 28), 146, nt. 755).
Va da sé che il principio di libera trasferibilità della partecipazione a una s.p.a. e la sua natura di investimento finanziario che non comporta la soggezione del titolare a obblighi di prestazione personale o patrimoniale consente altresì di escludere che l'assegnazione "coatta" di azioni della società risultante dalla trasformazione leda la libertà "negativa" di associazione del socio (il diritto, cioè, di non vedersi costretto ad aderire a una forma associativa diversa da quella originariamente programmata): e v., per questa conclusione, già la sentenza del Bundesverfassungsgericht, 20 luglio 1954, in BVerfGE, 4, 7 ss., 26 (c.d. "Investitionshilfe").
44) M.S. Giannini, Istituzioni, (nt. 41), 325 ss.; E. Casetta-G. Garrone, voce «Espropriazione per pubblico interesse», in Enc. giur. Treccani, XIV, Roma, 1989, 3 ss.; e F. d'Alessandro, Interesse pubblico alla conservazione dell'impresa, (nt. 2), 868 per la riconduzione entro la nozione di «intervento d'imperio a contenuto ablatorio» di un credito non solo dei provvedimenti che cancellino un credito ma anche di quelli «che in vario modo ne limitassero il contenuto o l'oggetto, ad esempio riducendone l'importo, abbattendo il tasso di interesse, prorogando il termine e così via».
45) Come sembra ritenere il Consiglio di Stato nell'ordinanza del 15 dicembre 2016, § 36 ove si legge che, in esito all'applicazione dei limiti al rimborso, la banca potrebbe continuare ad operare solo grazie alla «possibilità di utilizzare una quota di capitale altrui, perché conferita da ex soci, e quindi da soggetti ormai estranei alla società» (enfasi aggiunta).
46) Cfr. G. Landi, voce «Espropriazione per p.u. (princìpi)», in Enc. dir., XV, Milano, Giuffrè, 1966, 809.
47) A meno di voler rintracciare quell'atto nella stessa norma dell'art. 28, comma 2-ter, t.u.b. e nella disciplina attuativa emanata dalla Banca d'Italia. Ma si tratterebbe di una lettura priva di giustificazione perché equivarrebbe a qualificare come vicende espropriative tutte le norme del diritto societario (e non solo: v. l'art. 111 t.u.f.) che intestano alla maggioranza assembleare, agli amministratori o a singoli soci il potere di imporre decisioni con effetto vincolante per la minoranza dissenziente. E v. infatti, puntualmente, E. Schmidt-Aßmann, Der Schutz des Aktieneigentums, (nt. 5), 1023.
48) M. Maugeri, Banche popolari, (nt. 5), 1015; Id., Ancora su possibilità e limiti costituzionali, (nt. 4), 240 ss.; in senso analogo B. Inzitari, La misura precauzionale della limitazione del rimborso, (nt. 42), 401.
49) V. nuovamente E. Schmidt-Aßmann, Der Schutz des Aktieneigentums, (nt. 5), 1023: «se l'espropriazione consiste nella ablazione di concrete posizioni giuridiche, non ogni ablazione è una espropriazione».
50) Cfr. l'art. 17, comma 1, lett. a), del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, recante attuazione della direttiva n. 2014/59/UE ("BRRD").
51) Cfr., in luogo di molti, M. Perrino, Il diritto societario della crisi delle imprese bancarie nella prospettiva europea: un quadro d'insieme, in L'unione bancaria europea, a cura di M. Chiti e V. Santoro, Pisa, Pacini, 2016, 355 ss.; M. Speranzin, voce «Bail-in (e condivisione degli oneri)», in Dig. disc. priv. Sez. comm. (Aggiorn.). Torino, Utet, 2017, 28 ss., spec. 33 ss.; E. Rulli, Contributo allo studio della disciplina della risoluzione bancaria, Torino, Giappichelli, 2017, specie 61 ss.
52) Cfr. gli artt. 16, comma 2, lett. a), e 48, comma 2, del d.lgs. n. 180/2015. E v. M. Perrino, Il diritto societario della crisi delle imprese bancarie, (nt. 51), 364 ss.
53) Cfr. M. Maugeri, Banche popolari, (nt. 5), 1008 ss. e 1017 ss.
54) V., sulla «dimensione relazionale» della proprietà e sulla esigenza di stabilire conseguentemente «fino a che punto l'effetto conformativo possa ragionevolmente spingersi» allo scopo di assicurarne la funzione sociale senza intaccarne il "nucleo essenziale", M. Imbrenda, Espropriazione e conformazione degli statuti proprietari, in Rass. dir. civ., 2017, IV, 1323 ss.
55) Come accadeva nel diritto italiano delle società di capitali prima della riforma del 2003 (ove il disfavore per il recesso si manifestava sia sul piano del ridotto numero di cause di recesso consentite dalla legge, sia nella previsione di criteri di liquidazione delle azioni penalizzanti per il socio recedente). E v., con specifico riguardo alla vicenda della trasformazione, G.C.M. Rivolta, Diritto delle società, (nt. 23), 121: «ben può infatti concepirsi un cambiamento del tipo non soggetto alla disciplina (per così dire) normale della trasformazione e pertanto non conferente, a soci non sottoposti a modifiche incisive del loro regime partecipativo, il diritto di recesso».
56) E v. infatti, notando che nelle società cooperative «l'istituto del recesso non è mai stato particolarmente agevolato dal legislatore nel timore che la concessione di un'eccessiva libertà di scelta a favore del socio potesse favorire l'abbandono della società nei momenti di difficoltà esponendo così la cooperativa al rischio di continue crisi finanziarie legate all'andamento del mercato», G. Bonfante, La società cooperativa, (nt. 23), 234 ss. Non si può neppure trascurare di considerare che il principio di variabilità del capitale (e la soggezione alla minaccia del recesso da parte dei soci) svolge nel contempo un ruolo di "pressione" sugli amministratori rendendoli particolarmente sensibili alle esigenze manifestate dalla compagine sociale: per questo rilievo v. B. Großfeld, Genossenschaft und Eigentum, (nt. 24), 25.
57) Cfr. il precedente par. 3.
58) L'esigenza indicata nel testo si pone essenzialmente con riguardo al caso del rinvio del rimborso, perché ove la banca optasse per la limitazione e assumendo la restituzione delle azioni al socio recedente, quest'ultimo parteciperebbe alla distribuzione dei dividendi al pari di ogni altro socio, sicché non sembra porsi in tale ipotesi una esigenza di parità di trattamento sul piano finanziario degli interessi in gioco.
59) E v. L. Salamone, La specialità del diritto societario come fattore di limitazione di diritti individuali del socio nelle cooperative bancarie, in Dir. banca merc. fin., 2016, I, 826 e 829.
60) Come quella cui aderisce la Banca d'Italia, nel Resoconto della consultazione sulle disposizioni di vigilanza per le banche popolari, 2015, 8 ss. ove si nega che la posizione patrimoniale dei soci della società risultante dalla trasformazione (ad es., in ordine alla distribuzione dei dividendi) sia "subordinata" rispetto ai soci receduti dalla banca popolare.