Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Antitrust e consumer welfare alla prova della doppia transizione ecologica e digitale (di Mario Siragusa, Professore presso il College of Europe di Bruges)


Il presente contributo intende proporre una riflessione critica in merito al c.d. consumer welfare standard nell’ambito del diritto antitrust, illuminandone i tratti caratteristici e cercando di comprendere, di fronte alle sfide ambientale e digitale, se e quale ruolo sia ancora possibile immaginare per un simile parametro e per la disciplina della concorrenza in generale.

Antitrust and consumer welfare, facing the twin environmental and digital transitions

The purpose of this article is to suggest some reasoned considerations on the antitrust’s so-called consumer welfare standard. Only by looking at its characteristics one can try to understand what role, if any, this standard, and competition law in general, can still play in an era of environmental and digital challenges.

Sommario/Summary:

1. Consumer welfare standard(s), pregi noti e recenti critiche. - 2. Consumer welfare e gli accordi di sostenibilità. - 3. Consumer welfare, efficienza (ed altro ancora?). - 4. Conclusioni. - NOTE


1. Consumer welfare standard(s), pregi noti e recenti critiche.

Un apprezzabile obiettivo dell’introduzione del concetto di consumer welfare è sempre stato quello di cercare di proteggere l’applicazione del diritto della concorrenza da influenze politiche orientate ad altri obiettivi di interesse pubblico, quali la politica industriale, la protezione dell’impiego e altre politiche sociali. La natura economica di tale nozione, del resto, è risultata ulteriormente esaltata dal more economic approach che la Commissione ha professato e attuato a partire dalle prime fasi della stagione della modernizzazione della disciplina della concorrenza. Proprio a questa rinnovata centralità del dato economico è necessario riconoscere un duplice merito: da un lato, il rafforzamento della credibilità di un intervento antitrust attentamente calibrato a difesa solamente di una struttura del mercato connotata da genuine dinamiche concorrenziali; dal­l’altro, il bilanciamento della perdita in termini di certezza del diritto nella transizione dalla applicazione form-based ad una effect-based della disciplina. È a tal proposito chiaro come la maggiore e affinata attenzione al dato quantitativo nell’applicazione del diritto antitrust a singoli casi abbia consentito alle parti private di fondare con maggiore solidità e chiarezza di presupposti eventuali contestazioni e contenziosi contro decisioni delle autorità di concorrenza. Al tempo stesso, la possibilità di prospettare e perseguire un coerente riferimento ad un consumer welfare standard dalle forti credenziali economiche e quantitative ha permesso alle autorità antitrust di porre la propria attività amministrativa al riparo da influenze e pressioni di natura particolare o politica, marcatamente qualitative. Eppure, per quanto abbia sempre fatto parte integrante dell’applicazione delle norme della concorrenza e in ambito europeo abbia eguagliato se non superato nella sostanza l’originario common market imperative come ratio fondamentale della disciplina antitrust, il consumer welfare è senza dubbio oggi soggetto a importanti critiche, volte ad allargare la sfera degli interessi protetti dalle norme della concorrenza a non-market values, quali, ad esempio, la tutela ambientale. Tali contestazioni sono particolarmente (e forse comprensibilmente) vivaci negli Stati Uniti, dove il concetto di consumer welfare – sulla scorta delle suggestioni di autori come [...]


2. Consumer welfare e gli accordi di sostenibilità.

A livello europeo sono proprio gli ambiti del digitale e dello sviluppo sostenibile che mostrano in modo più evidente le ripercussioni della critica al consumer welfare tradizionale e dell’attuale ripensamento del ruolo affidato alla disciplina della concorrenza. Per quanto concerne il primo ambito, è sicuramente da segnalare l’adozione del Digital Markets Act (DMA) [1], in cui è possibile cogliere l’implicita ammissione della Commissione di una non totale adeguatezza del diritto antitrust ad affrontare le sfide del digitale, preferendo così l’opzione per una regolazione ex ante. Al contrario, con riferimento alla sostenibilità, una serie di importanti iniziative della Commissione e delle varie autorità nazionali (Olanda [2], Gre­cia [3], Germania [4]) e una recente modifica legislativa in Austria [5], testimoniano la tendenza a voler far rientrare una simile preoccupazione nell’ambito del diritto della concorrenza, specie per il tramite delle esenzioni ex art. 101, par. 3, T.F.U.E. Il più soddisfacente ed equilibrato tentativo della Commissione in tal senso è senza dubbio rappresentato dalle Linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale, nella parte specificamente dedicata agli accordi di sostenibilità [6]. Vale la pena rammentare che, se i fallimenti del mercato – nello specifico l’esternalità negativa rappresentata dagli effetti ambientalmente nocivi di cui i produttori e consumatori non tengono conto – non sono debitamente affrontati dalle normative settoriali, gli accordi di cooperazione tra imprese possono svolgere un importante compito positivo di supplenza. In generale, tali accordi rilevano ai sensi dell’art. 101 T.F.U.E. nella misura in cui comportano restrizioni della concorrenza per oggetto o per effetto, ma possono essere giustificati ai sensi del paragrafo 3 del medesimo articolo, se rispettano le quattro condizioni ivi previste [7]. Di queste condizioni, la seconda – quella che richiede che ai consumatori sia riservata una congrua parte dei benefici derivanti dall’ac­cordo – si è rilevata molto problematica proprio nel caso degli accordi di sostenibilità. Nello specifico, per il tramite delle citate Linee direttrici la Commissione esige che in tale rilevante categoria di consumatori rientrino «tutti gli utilizzatori diretti [...]


3. Consumer welfare, efficienza (ed altro ancora?).

Come già esposto, è assolutamente condivisibile l’orientamento del prof. Denozza, che rifiuta di individuare nell’efficienza il criterio cardine per il perseguimento del consumer welfare e del resto, nella pratica, non risulta che, almeno in Europa, si sia dato grande spazio alla teoria della efficienza. Ad una osservazione dei costanti orientamenti della Commissione, infatti, se una pratica è considerata restrittiva della concorrenza, è molto difficile riuscire a giustificarla sulla base dell’efficienza risultante dall’operazione. Persino per le concentrazioni verticali, operazioni in teoria tra le meno problematiche sotto il profilo delle restrizioni della concorrenza e tra le più promettenti per quel che riguarda la prospettiva di un beneficio in termini di efficienze, se la Commissione ritiene di riscontrare una potenzialità e degli incentivi per comportamenti restrittivi della concorrenza [14], è poi estremamente difficile giustificare l’operazione sulla base delle efficienze produttive, con un pesante onere della prova a gravare sulle parti. In generale, infatti, le concentrazioni verticali danno luogo a miglioramenti di efficienza, come del resto la stessa Commissione è pronta a riconoscere nelle pertinenti linee guida [15]: quelli coinvolti sono spesso prodotti o attività complementari, che per i consumatori valgono di più se utilizzati o consumati insieme anziché separatamente [16]; l’integrazione verticale può inoltre incentivare la diminuzione dei prezzi e l’aumento della produzione grazie alla «internalizzazione dei doppi margini» [17], nonché apportare miglioramenti dei servizi o incentivare l’inno­vazione. E ancora – tra le ricadute positive delle concentrazioni verticali – si ricordano la potenziale riduzione dei costi di transazione e il conseguente miglioramento in termini di concezione dei prodotti, con una più proficua organizzazione del processo produttivo e delle modalità di vendita. Per la disciplina europea, comunque, tutto ciò non è abbastanza, dato che si richiede che tali efficienze siano destinate a beneficio dei consumatori, derivino specificamente dalla concentrazione in analisi e infine siano verificabili, con il non indifferente limite per cui, quanto più lontani nel futuro siano gli incrementi di [...]


4. Conclusioni.

In conclusione e per una riflessione di sintesi, può essere stimolante riprendere l’esempio dell’ambito delle piattaforme digitali. Come detto, il legislatore europeo ha approvato il DMA, peraltro in tempi rapidissimi e alimentando aspettative in termini di Brussels effect per la pretesa qualità del modello di regolazione offerto ad esempio per altri ordinamenti nel mondo. Una lettura più consapevole del dibattito sul ruolo del diritto antitrust permette invece di guardare al DMA come una soluzione insoddisfacente, in quanto parziale e sintomo di una scarsa ambizione da parte del decisore europeo. Infatti, di fronte al tumultuoso sviluppo dell’economia digitale secondo dinamiche che riecheggiano le fondamentali soluzioni di continuità proprie delle passate rivoluzioni industriali, è necessario registrare un apparentemente contraddittorio e paradossale arretramento della disciplina della antitrust. In altri termini, è come se in questa occasione sia mancata la volontà politico-istituzionale di ricorrere con determinazione alle ampie potenzialità della disciplina della concorrenza, che eppure sarebbe equipaggiata di tutto lo strumentario utile a porre ordine nelle dinamiche del mercato digitale. Nel momento in cui al diritto antitrust si chiede insistentemente di accogliere e farsi carico di funzioni ed interessi a questo estranei e che meglio sarebbero soddisfatti da interventi del regolatore, il paradosso sta proprio nel fatto che per uno degli ambiti realmente gestibili dalla disciplina della concorrenza, a livello europeo sia preferito il dedicarsi a non indispensabili nuovi inquadramenti normativi. E se è vero che “[i]l coraggio, uno non se lo può dare” [20], è altrettanto vero che l’opzione di irreggimentare per via regolatoria l’innovazione è storicamente destinata a infrangersi quale vana illusione; un’illusione per di più oggi pericolosamente miope, dato che è nella sola innovazione che è possibile riporre le speranze per un superamento del problematico assetto degli attuali mercati digitali.


NOTE
Fascicolo 3 - 2023