L'articolo esamina la disciplina dell'enforcement dei principi IAS/IFRS esercitato dalle autorità di vigilanza nazionali. L'analisi è suddivisa in tre parti.
La prima descrive il quadro normativo e regolamentare di riferimento a livello e europeo e nazionale e sottolinea l'importanza delle Guidelines on enforcement of financial informationemanate dall'ESMA.
La seconda parte esamina i profili problematici della c.d. pre-clearance, ossia della possibilità per le società quotate di richiedere, prima della pubblicazione del bilancio, un parere all'autorità di vigilanza in merito alla correttezza di un determinato trattamento contabile. Si evidenziano i limiti della prassi seguita in materia dalla Consob che non prevede un procedimento formalizzato di pre-clearance.
La terza parte esamina la portata e i limiti della c.d. azione di non conformità prevista dall'art. 154-ter, comma 7, t.u.f., la quale, pur dando luogo a una sanzione di carattere esclusivamente reputazionale, può in concreto condurre ad esiti analoghi a quelli derivanti dalla sentenza di annullamento della delibera di approvazione del bilancio.
The article focuses on the enforcement of the IAS/IFRS by the national enforcer according to the Transparency directive. The article consists of three parts.
The first part illustrates the legal framework at the european and national level and underlines the crucial role played by the ESMA Guidelines on enforcement of financial information.
The second part illustrates the pros and cons of the pre-clearance systems implemented by some national european enforcers and by the SEC. The limits of the pre-clearance system developed by the italian enforcer (Consob) are highlighted.
The third part examines the actions that can be taken at the enforcer's initiative, whenever a material misstatement is detected. In particular the limits of the reputational sanction consisting in the publication of a corrective note are illustrated.
1. L’armonizzazione a livello europeo della disciplina della vigilanza sull’informazione contabile delle società quotate e il persistente difforme livello di efficacia della medesima negli Stati membri. - 2. La necessità di una regolazione del procedimento di pre-clerance da parte delle Autorità di vigilanza nazionali. - 3. (Segue). I limiti della prassi attualmente seguita dalla Consob. - 4. I provvedimenti adottabili dalla Consob a fronte di relazioni finanziarie annuali e infrannuali non correttamente redatte o carenti sul piano informativo: la richiesta di informazioni aggiuntive, l’impugnazione del bilancio d’esercizio, la sanzione reputazionale ex art. 154-ter, comma 7, t.u.f. - 5. L’azione di non conformità ex art. 154-ter, comma 7, t.u.f.: le differenze rispetto al restatement e il rapporto con l’impugnativa del bilancio. - 6. Gli effetti “vincolanti di fatto” del provvedimento ex art. 154-ter, comma 7, t.u.f.. Una valutazione dell’applicazione del medesimo da parte della Consob alla luce delle linee guida dell’ESMA. - NOTE
Il legislatore europeo con l'emanazione del regolamento 1606/2002/CE e l'imposizione dell'obbligo per le società quotate nei mercati regolamentati degli Stati membri di redigere (almeno) il bilancio consolidato secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS ha inteso uniformare l'informazione contabile presentata da tali società e superare così i limiti mostrati dal processo di armonizzazione basato sulla IV e VII direttiva in materia contabile[1], il quale si è rivelato - a causa delle numerose facoltà di scelta concesse ai legislatori nazionali - inidoneo ad assicurare un adeguato livello di comparabilità dei bilanci a livello europeo[2].
Che l'adozione degli IAS/IFRS e la previsione dell'obbligo del loro utilizzo per la redazione (almeno) dei conti consolidati non fossero però di per sé sufficienti ad assicurare l'effettiva uniformazione dell'informazione contabile offerta dalle società quotate nei mercati europei e un miglioramento della qualità della medesima è apparso, da subito, chiaro nel disegno del legislatore europeo, il quale ha ravvisato la necessità di sviluppare contestualmente un sistema uniforme di enforcement[3] degli IAS/IFRS da parte delle autorità di vigilanza competenti[4].
Oltre ad essere funzionale all'intento di favorire la comparabilità dei bilanci delle società quotate di diversa nazionalità, l'esigenza di una più intensa e incisiva attività di vigilanza dell'informazione contabile appare l'inevitabile conseguenza dell'adozione di un set di principi contabili avente le caratteristiche degli IAS/IFRS, i quali - seppur potenzialmente in grado di garantire un'informazione di più elevata qualità rispetto alle legislazioni nazionali basate sulla IV e VII direttiva - presentano un elevato grado di complessità nella loro applicazione e concedono al redattore del bilancio un notevole margine di discrezionalità in relazione all'iscrizione e alla valutazione di talune poste[5].
L'introduzione dell'enforcement"pubblico" dell'informazione contabile, quale ulteriore presidio, accanto a quelli rappresentati dall'organo di controllo interno e dal revisore legale, della correttezza della documentazione contabile delle società quotate è stata sollecitata altresì dall'esigenza di ripristinare la fiducia degli investitori nei bilanci degli emittenti, che risultava minata a seguito degli scandali finanziari verificatisi nei mercati statunitensi ed europei nella prima metà degli anni duemila[6].
I riferimenti normativi principali sui quali poggia l'intera costruzione del disegno di uniformazione a livello europeo dell'enforcementdell'informazione contabile sono contenuti nella direttiva 2004/109/CE (c.d. direttivaTransparency), di recente modificata dalla direttiva 2013/50/EU.
L'art. 24, par. 4, lett. g) e h) prevede, in particolare, che l'Autorità di vigilanza indipendente deve disporre dei poteri necessari, tra l'altro, a «rendere pubblico il fatto che un emittente, o un possessore di azioni o di altri strumenti finanziari o una persona fisica o giuridica di cui agli articoli 10 e 13, non ottempera ai suoi obblighi» nonché ad «appurare che le informazioni di cui alla presente direttiva siano stilate conformemente al pertinente quadro di presentazione fissato per le stesse e prendere le misure appropriate nel caso si accertino violazioni». Riguardo a quest'ultimo profilo il par. 1 dello stesso articolo 24 stabilisce altresì - consentendo in tal modo di organizzare la vigilanza sull'informazione contabile secondo un modello "duale" - che gli Stati membri possono designare un'altra autorità competente (diversa dall'Autorità di vigilanza «centrale») la quale non deve essere necessariamente di carattere amministrativo[7].
Completano il quadro delle fonti europee della disciplina dell'enforcementdell'informazione contabile - assumendo un ruolo decisivo ai fini dell'uniformazione della stessa - le Guidelines on enforcement of financial informationemanate dalla European Securities and Markets Authority (ESMA[8]) nel luglio del 2014 ed entrate in vigore 29 dicembre 2014, le quali hanno sostituito gli Standard on financial information elaborati in precedenza dal CESR[9].
L'emanazione da parte dell'ESMA delle linee guida in materia di enforcementè coerente con le previsioni del regolamento comunitario 1095/2010/UE istitutivo della medesima Autorità, il quale prevede espressamente all'art. 1, par. 5, che essa deve operare, tra l'altro, per «migliorare il funzionamento del mercato interno, con particolare riguardo a un livello di regolamentazione e di vigilanza valido, efficace e uniforme» e per «rafforzare il coordinamento internazionale in materia di vigilanza»[10], essendo chiamata a tal fine a «contribuire altresì all'elaborazione di norme e prassi comuni di regolamentazione e vigilanza di elevata qualità»[11]. L'essenziale ruolo di coordinamento svolto dall'ESMA per l'armonizzazione, a livello europeo, dell'enforcement dell'informazione contabile è altresì esplicitato dall'art. 16 del regolamento istitutivo dell'ESMA, ai sensi del quale l'Autorità può emanare orientamenti e formulare raccomandazioni indirizzate alle autorità di vigilanza nazionali o ai partecipanti ai mercati finanziari, i quali sono tenuti a compiere «ogni sforzo per conformarsi agli orientamenti e alle raccomandazioni»[12].
Il quadro normativo e regolamentare testé descritto ha trovato recepimento nella legislazione nazionale mediante l'art. 118-bist.u.f. il quale rimette alla Consob di stabilire, tenuto conto dei principi internazionali in materia di vigilanza sull'informazione societaria (ossia le linee guida dell'ESMA[13]), «le modalità e i termini per il controllo dalla stessa effettuato sulle informazioni comunicate al pubblico ai sensi di legge, comprese le informazioni contenute nei documenti contabili, dagli emittenti quotati e dagli emittenti quotati aventi l'Italia come Stato membro d'origine»[14]. In attuazione di tale previsione normativa, l'art. 89-quater, Reg. emitt. definisce i criteri per l'esame dell'informazione diffusa dagli emittenti e, in particolare, detta i criteri per le verifiche a campione, in conformità a quanto previsto in materia dalle linee guida emanate dall'ESMA (e precedentemente dal CESR).
Nonostante la descritta armonizzazione deli criteri ai quali le autorità di vigilanza nazionali devono conformarsi nella loro azione di enforcementdella disciplina dell'informazione contabile delle società quotate, come dimostrato da alcune analisi empiriche[15], il grado di efficacia dell'enforcement non è coincidente nei diversi Stati membri.
Tale difformità è da imputare principalmente al non uniforme utilizzo degli strumenti dienforcementprevisti dalla normativa comunitaria e dalle Linee guida dell'ESMA. Assumendo quali termini di paragone gli ordinamenti tedesco e inglese (due dei Paesi nei quali - secondo le evidenze empiriche richiamate - l'enforcementè maggiormente efficace), le differenze più significative tra la prassi seguita daglienforcernazionali paiono riguardare l'adozione di misure volte alla prevenzione degli errori nonché le modalità con le quali sono impiegati i provvedimenti ai quali glienforcerpossono fare ricorso in caso di accertamento di errori o di carenze dell'informazione contabile.
In particolare, tra le misure preventive appare particolarmente controversa (come dimostra il suo non uniforme accoglimento da parte degli Stati membri) la c.d.pre-clearance, mentre in relazione alle c.d.enforcement action, adottabili dalle autorità di vigilanza in caso di accertamento di "irregolarità" nelle relazioni finanziarie (annuali e infrannuali) pubblicate dalla società, il profilo maggiormente innovativo e (anche per tale ragione) più problematico è certamente rappresentato dalla c.d. procedimento di non conformità attivabile dalla Consob ai sensi dell'art. 154-ter, comma 7, t.u.f.. Su questi aspetti sembra pertanto opportuno concentrare l'attenzione nel prosieguo.
Muovendo dal primo dei due profili poc'anzi segnalati, è necessario, in primo luogo, precisare che la c.d. pre-clearancecostituisce strumento di prevenzione degli errori nella redazione dell'informazione contabile utilizzato dagli enforcerdi numerosi Stati membri[16] (oltre che negli Stati Uniti[17]), in forza del quale è prevista la possibilità per le società di richiedere all'enforcer, prima della pubblicazione dei conti annuali o infrannuali, un'opinione o un parere su un determinato trattamento contabile che gli amministratori intendono adottare. Si tratta, dunque, nella sostanza, di una sorta di autorizzazione preventiva all'applicazione del trattamento contabile proposto dalla società e implica (in modo più o meno esplicito[18]) che l'enforcer non formulerà rilievi riguardo a tale profilo, in occasione di eventuali accertamenti aventi ad oggetto il bilancio della società[19].
Ancorchè la pre-clearancecontribuisca a rafforzare il carattere preventivo dell'enforcement[20] e sia per tale ragione espressamente consentita dalleESMA Guidelines on enforcement of financial information(par. 43 ss.), significativi dubbi sono stati sollevati dalla dottrina circa l'opportunità di tale prassi, notando che questo strumento dienforcement non si adatta al quadro normativo europeo in materia di informazione contabile delle società quotate.
Anzitutto, si obietta che l'attività di pre-clearancedel soggetto incaricato della funzione di vigilanza sull'informazione contabile può risolversi in una interpretazione dei principi IAS/IFRS e violare così la ripartizione di competenze in materia, secondo la quale l'unico soggetto autorizzato a emanare interpretazioni degli IAS/IFRS è l'International Financial Intepretation Committee(IFRIC)[21].
La pre-clearanceè considerata, inoltre, non compatibile con il vigente assetto dei ruoli e delle responsabilità dei soggetti coinvolti nella procedura di formazione del bilancio. Fermo restando che, anche in presenza di un parere favorevole dell'enforcer, gli amministratori sono pienamente responsabili del contenuto del bilancio e che l'organo di controllo e il revisore (secondo i rispettivi ruoli) sono comunque tenuti a esprimere il loro giudizio sui conti annuali, si obietta che la preventiva approvazione di un determinato trattamento contabile da parte dell'enforcerincide, di fatto, sulla posizione degli amministratori, i quali, pur non essendo vincolati a tale condotta, difficilmente si distaccano dal trattamento contabile "approvato" dall'enforcer, l'applicazione del quale dovrebbe ragionevolmente porre il bilancio al riparo da eventuali "contestazioni". Si teme, inoltre, che la pre-clearancepossa alterare il rapporto e la dialettica tra l'organo amministrativo e la società di revisione (e l'organo di controllo), in quanto è evidente che quest'ultima difficilmente potrà contraddire la soluzione indicata dall'enforcer a fronte della richiesta di pre-clearance avanzata dalla società[22].
I fondati timori posti in luce dalle argomentazioni testè esposte sembra, tuttavia, abbiano trovato soddisfacente risposta nelleGuidelines on enforcement of financial informationdell'ESMA, che dettano alcune regole in materia dipre-clearance, volte a evitarne potenziali effetti distorsivi.
L'ESMA ha chiarito - superando così le principali perplessità della dottrina e della prassi - che la procedura di pre-clearancedeve essere formalizzata e che la decisione dell'Autorità, seppur resa prima della pubblicazione del bilancio, deve conservare il carattere di una valutazione ex post, al pari di qualsiasi altro accertamento condotto nell'esercizio dell'attività di enforcement[23].
A tal fine si prevede[24] che lapre-clearance può essere concessa dall'enforcer soltanto dopo che la società e il revisore abbiano espresso la propria posizione sul trattamento contabile sottoposto al vaglio dell'autorità di vigilanza, sì da prevenire il rischio che gli amministratori possano utilizzare strumentalmente lapre-clearance per "difendere" una determinata scelta da eventuali rilievi da parte del revisore e che l'intervento dell'enforcer possa incidere sulla dialettica tra quest'ultimo e gli amministratori.
Per evitare che la pre-clearancepossa assumere portata generale in merito alla problematica contabile cui essa si riferisce e possa così costituire un'interpretazione dei principi IAS/IFRS da parte dell'Autorità di vigilanza, in violazione della separazione di ruoli che assegna competenza esclusiva in materia all'IFRIC, l'ESMA richiede che nella richiesta di pre-clearancesiano illustrati dettagliatamente tutti gli specifici fatti e circostanze che caratterizzano la fattispecie sottoposta all'attenzione dell'enforcer, sicchè la valenza del "parere" rilasciato all'esito della procedura deve considerarsi limitata esclusivamente allo specifico caso[25].
Riguardo a quest'ultimo profilo i principi dettati dall'ESMA non paiono però pienamente esaustivi e risultano perciò particolarmente opportune le previsioni (aggiuntive) in merito contenute nella procedura di pre-clearance adottata dal DPR nel 2009, la quale - allo scopo di evitare che i pareri resi possano assumere portata generale - prevede che la richiesta e gli esiti della stessa devono restare riservati, essendo consentito al DPR soltanto di inviare (senza indicazione delle società coinvolte) i quesiti ritenuti maggiormente problematici o di interesse generale all'European Enforcement Coordination Sessions per la loro discussione con i rappresentanti degli enforcer degli altri Stati membri. Ancor più rilevante al fine di escludere che il parere o l'opinione rilasciati dal DPR possano assumere portata interpretativa generale degli IAS/IFRS, è l'ulteriore previsione contenuta nella procedura adottata dal DPR secondo cui la pre-clearance non vincola il DPR in occasione di successive verifiche, fermo restando che - come previsto dalle guidelines dell'ESMA[26]- l'enforcer non può modificare la sua opinione dopo la pubblicazione del bilancio cui si riferisce lapre-clearance, a meno che nel frattempo non siano mutate le condizioni sulla base delle quali essa era stata formulata.
Alla luce delle considerazioni svolte nel precedente paragrafo e, soprattutto, di quanto previsto dalle linee guida dell'ESMA, è possibile svolgere alcune considerazioni sulla prassi seguita in materia dalla Consob.
Anzitutto, è da notare che presenta analogie con la pre-clearance(pur non potendo considerarsi del tutto equivalente) la possibilità concessa agli emittenti di sottoporre quesiti in materia contabile alla Consob, in merito a problematiche particolarmente complesse o innovative ovvero a profili non compiutamente o chiaramente disciplinati. Benché, infatti, la risposta ai quesiti non implichi di per sé l'impegno dell'enforcera non contestare il trattamento contabile "approvato" mediante la risposta fornita, il recepimento da parte della società della soluzione suggerita dalla Consob esclude, di regola, che questa successivamente contesterà il bilancio della società in relazione al profilo oggetto del quesito[27], assumendo perciò la risposta a quest'ultimo una valenza di fatto coincidente con quella dellapre-clearance.
Nonostante ciò, la compatibilità della prassi della sottoposizione dei quesiti alla Consob con il quadro normativo europeo in materia contabile appare dubbia soprattutto nella misura in cui essa può implicare un'attività interpretativa dei principi IAS/IFRS da parte dell'Autorità di vigilanza e condurre ad una sovrapposizione di ruoli con l'IFRIC (che costituisce l'unico organismo titolato ad elaborare interpretazioni dei principi IAS/IFRS). Tale rischio è reso peraltro più concreto dalla scelta della Consob di rendere pubbliche (mediante la pubblicazione sul proprio sito internet) le risposte ai quesiti.
In questo modo le prese di posizione dell'Autorità di vigilanza assumono portata generale essendo rese note a tutti gli emittenti e possono perciò essere annoverate tra le "fonti" del diritto contabile[28], in contrasto con la rigida ripartizione di ruoli tra lostandard setter(IASB e IFRIC) e glienforcer nazionali delineatasi a seguito dell'introduzione degli IAS/IFRS. Proprio a tale ordine di ragioni, del resto, sembra debba essere ricondotta la progressiva "rarefazione" dei quesiti sottoposti alla Consob, contandosi, negli ultimi quattro anni, appena quattro casi, tutti concernenti profili non regolati dai principi contabili IAS/IFRS.
A fronte della significativa restrizione della possibilità per gli emittenti di sottoporre quesiti alla Consob in materia contabile, sono - a quanto consta - diffusi colloqui informali tra le società e l'Autorità di vigilanza volti a ottenere, prima della pubblicazione del bilancio, un parere (che spesso, nella sostanza, assume il valore di una vera e propria "approvazione") circa la correttezza di una determinata scelta contabile.
Ancorché questa prassi possa condurre, di fatto, a esiti coincidenti con quelli dellapre-clearancee possa essere (a quanto consta, anche ad avviso della stessa Consob) a questa assimilata, profonde sono le differenze tra i due approcci e rilevanti sono gli inconvenienti ai quali ilmodus operandiseguito dalla Consob può dare luogo, presentando esso evidenti limiti - soprattutto se posto a confronto con le esperienze di altri Stati membri - nonché sensibili difformità dalle indicazioni contenute nelleGuidelines on enforcement of financial informationdell'ESMA.
In primo luogo, la Consob non ha formalizzato una procedura dipre-cleranncee non risulta pertanto stabilito con sufficiente chiarezza che il parere dell'Autorità di vigilanza, seppur reso prima della pubblicazione del bilancio, resta pur sempre un giudizioex post, esprimibile soltanto dopo che gli amministratori e i revisori abbiano reso note le loro rispettive posizioni in merito al profilo oggetto dellapre-clearance. Una chiara affermazione di tale principio risulta essenziale per assicurare che l'Autorità di vigilanza, anche là dove esprima il proprio parere in via anticipata rispetto alla pubblicazione dell'informazione contabile, svolga esclusivamente una funzione di controllo e non sia coinvolta in alcun modo nel procedimento di formazione delle relazioni finanziarie annuali e infrannuali, risultando altrimenti compromessa la terzietà che deve caratterizzare l'azione di vigilanza della Consob.
L'attuale condizione di opacità regolatoria in cui si svolgono i dialoghi in materia contabile tra gli emittenti e la Consob prima della pubblicazione dei bilanci annuali e infrannuali contribuisce, inoltre, a creare incertezza circa l'effettiva portata delle opinioni rese dalla Consob, non essendo in alcuna sede chiarito (e potendo perciò generarsi a riguardo diversità interpretative tra gli emittenti) se questa debba ritenersi limitata al profilo e allo specifico bilancio cui si richiede la pre-clearanceovvero possa (anche, di fatto) assumere rilievo in relazione ai bilanci successivi o a problematiche analoghe, nonché, soprattutto, se la Consob possa (o debba) formalmente esprimere un parere o assumere una decisione all'esito dei colloqui e se l'eventuale presa di posizione della Consob abbia o meno valenza analoga a quella di un'opinione resa nell'ambito di una procedura di pre-clearance[29].
Al fine di mitigare gli inconvenienti testé indicati, è da ritenere pertanto necessaria - sul modello di quanto avviene, ad esempio, negli Stati Uniti e in Germania[30] - l'adozione da parte della Consob di formali indicazioni (da rendere note attraverso il proprio sito internet) in materia dipre-clearance sì da eliminare i profili di ambiguità poc'anzi indicati e regolare le modalità mediante le quali possono essere sottoposte le richieste all'Autorità di vigilanza.
Ciò contribuirebbe a fornire maggiore certezza agli emittenti circa la portata e i limiti dellapre-clearance e a garantire una più netta separazione di ruoli. Una formale regolazione dellapre-clearancepotrebbe, peraltro, risultare opportuna anche nella prospettiva dell'Autorità di vigilanza, in specie al fine di escludere che essa possa incorrere in responsabilità a causa dei pareri resi, sembrando a tal fine opportuna l'introduzione di una previsione analoga a quella contenuta nella procedura adottata dal DPR, ai sensi della quale la società che richiede lapre-clearance si impegna a tenere indenne il DPR da eventuali richieste di risarcimento da parte di terzi che possano ritenersi danneggiati a causa dal parere da esso espresso all'esito dellapre-clearance.
Esaminate le problematiche poste dallapre-clearance, l'attenzione deve ora essere rivolta ai provvedimenti adottabiliex postdaglienforcerin caso di accertamento di errori o carenze delle relazioni finanziarie annuali e infrannuali pubblicate dagli emittenti.
Tale profilo è disciplinato dall'art. 24 della direttiva Transparencyai sensi del quale alle autorità di vigilanza è attribuito il potere, tra l'altro, di i) esigere la trasmissione di informazioni e documenti dagli emittenti e dai loro revisori, ii) imporre all'emittente di rendere pubbliche le informazioni di cui al punto precedente con i mezzi ed entro i termini che l'autorità ritiene necessari[31], iii) rendere pubblico il fatto che un emittente non ottempera ai suoi obblighi, iv) appurare che le informazioni richieste dalla direttiva siano stilate conformemente al pertinente quadro di presentazione fissato per le stesse e prendere le misure appropriate nel caso si accertino violazioni[32].
Queste previsioni hanno trovato recepimento nell'ordinamento nazionale che attribuisce alla Consob un ampio ventaglio di poteri. Ai sensi dell'art. 114, comma 5, t.u.f., essa può richiedere agli emittenti (nonchè agli altri soggetti ivi indicati) di rendere pubblici, con le modalità da essa stabilite, notizie e documenti necessari per l'informazione del pubblico. In base all'art. 115, comma 1, la Consob dispone altresì di incisivi poteri per assumere le informazioni considerate rilevanti, potendo i) richiedere agli emittenti quotati (e agli altri soggetti ivi previsti) la comunicazione di notizie e documenti; ii) assumere notizie, anche mediante la loro audizione, dai componenti degli organi sociali, dai direttori generali, dai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e dagli altri dirigenti, dai revisori legali e dalle società di revisione legale; iii) eseguire ispezioni al fine di controllare i documenti aziendali e di acquisirne copia[33].
A fianco di tali poteri esercitabili nell'azione di vigilanza sull'informazione societaria in generale, con specifico riferimento all'informazione contabile alla Consob sono attribuiti due ulteriori poteri di carattere reattivo: ai sensi dell'art. 154-ter, comma 7, t.u.f.[34] l'Autorità di vigilanza, là dove accerti la non conformità delle relazioni finanziarie annuali e infrannuali alle norme che ne disciplinano la redazione, può chiedere all'emittente di rendere pubblica tale circostanza e di provvedere alla pubblicazione delle informazioni supplementari necessarie a ripristinare la correttezza dell'informazione offerta al mercato. Lo stesso art. 154-ter, comma 7, t.u.f. fa salvo il potere della Consob - previsto dall'art. 157, comma 2, t.u.f. - di impugnare il bilancio d'esercizio e di richiedere al giudice l'accertamento di conformità del bilancio consolidato alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione[35]. Ai sensi dell'art. 193 t.u.f., infine, nei confronti delle società che non comunicano alla Consob le informazioni richieste o non procedono ad effettuare le comunicazioni suddette è applicabile una sanzione amministrativa pecuniaria di importo variabile da cinquemila a cinquecentomila euro[36].
La diversa natura degli strumenti a disposizione della Consob e soprattutto la difformità dei relativi effetti, fanno sì che - pur in assenza di una espressa prescrizione normativa in tal senso - l'impiego dei poteri a essa attribuiti deve essere calibrato dall'Autorità di vigilanza sulla base della tipologia e della "gravità" delle violazioni riscontrate. Dall'osservazione della prassi nonchè dalle evidenze numeriche raccolte dalla stessa Consob e pubblicate nella Relazione annuale, risulta evidente che le azioni di cui agli artt. 154-ter, comma 7, e 157, comma 2, t.u.f. sono avviate in un numero ridotto di casi a fronte di irregolarità ritenute particolarmente gravi e perciò suscettibili di compromettere in modo rilevante l'attendibilità dell'informazione contabile diffusa dall'emittente[37]. Più frequente[38] è, invece, la richiesta agli emittenti, ai sensi dell'art. 114, comma 5, t.u.f., di integrazione delle informazioni fornite nelle relazioni finanziarie, là dove si accerti una carenza informativa (non irrilevante) delle medesime[39], pur in assenza di violazioni delle norme che ne disciplinano la redazione[40].
Ricostruito, in sintesi, il quadro dei rimedi attivabili dalla Consob a fronte di irregolarità dell'informazione contabile pubblicata dagli emittenti, sembra opportuno - come anticipato - nel prosieguo prendere in esame il c.d. procedimento di non conformità di cui all'art. 154-ter, comma 7, t.u.f., la quale assume particolare rilievo sul piano applicativo (avendo ormai di fatto soppiantato, per quanto concerne il bilancio d'esercizio, il ricorso al potere di impugnazioneexart. 157, comma 2, t.u.f.) e presenta non trascurabili problematiche di ordine interpretativo, che ne rendono alquanto difficoltoso il corretto inquadramento tra gli strumenti dienforcementa disposizione della Consob.
Per ovviare a tali difficoltà interpretative e indirizzare, da subito, l'indagine verso gli esiti che paiono preferibili (in quanto conformi sia alle indicazioni dell'ESMA sia a quelle desumibili da altri ordinamenti europei), è necessario chiarire, in via preliminare, che la "particolarità" del provvedimento di cui all'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. è da rinvenire nel fatto che esso è diretto a ripristinare prontamente (in tempi più rapidi rispetto all'impugnazione del bilancio[41]) la correttezza dell'informazione contabile diffusa al mercato e, al contempo, ha natura di sanzione reputazionale (e ne costituisce forse il più significativo esempio nell'ambito del diritto societario italiano[42]), basando la sua valenza deterrente sugli effetti negativi - di tipo non soltanto strettamente reputazionale ma anche economico - che il c.d. name and shame mechanism può produrre[43].
L'efficacia di un siffatto meccanismo sanzionatorio presuppone che la diffusione della notizia dell'errore o della carenza riscontrati dall'enforcer nell'informazione contabile della società determini una reazione negativa degli investitori che, di conseguenza, penalizzano il titolo determinando una flessione delle quotazioni[44]. L'effetto deterrente della sanzione reputazionale può inoltre essere reso più incisivo dal fatto che la discesa dei corsi azionari può determinare conseguenze negative direttamente a carico degli amministratori, i quali - secondo quanto osservato per lo più nel contesto statunitense[45] - possono registrare una diminuzione di valore delle azioni o delle stock option in loro possesso ovvero essere addirittura rimossi dalla carica là dove subiscano un grave danno alla loro reputazione (là dove l'errore sia conseguenza di una loro condotta fraudolenta o di grave negligenza) ovvero i soci ritengano comunque opportuno nominare nuovi amministratori per cercare di ristabilire la fiducia degli investitori nei conti della società e di risollevare così il corso delle quotazioni[46].
Benchè simili considerazioni, elaborate principalmente nel contesto statunitense, non possano essere automaticamente trasposte in ambito nazionale ed europeo a causa delle diversità caratterizzanti tali contesti (si pensi, in particolare, al difforme grado di concentrazione dell'azionariato[47]), le sanzioni di natura reputazionale sembrano comunque avere una certa efficacia anche in Europa (ancorchè più ridotta rispetto a quella registrata negli Stati Uniti). Di ciò si trae conferma dall'esperienza tedesca in relazione alla quale alcune analisi empiriche[48] hanno riscontrato che la pubblicazione su ordine dalla BaFin della notizia degli errori da essa accertati nei bilanci e nelle relazioni infrannuali ha una non trascurabile incidenza sulle quotazioni del titolo e sui volumi scambiati.
Tanto chiarito, va osservato che la riconduzione della natura e della portata sanzionatoria della misura exart. 154-ter, comma 7, c.c. sul piano reputazionale trova riscontro anche in prospettiva giuridica se si considera che la norma in esame è frutto del recepimento dell'art. 24, par. 4, lett. g) della direttiva Transparency, ai sensi della quale l'enforcerha, tra gli altri, il potere di rendere pubblico il fatto che un emittente non ottempera ai suoi obblighi. Come risulta dal complesso delle previsioni dell'art. 24, tale previsione - unitamente a quella della lett. b), in forza della quale l'enforcerpuò richiedere all'emittente la pubblicazione immediata di informazioni e documenti - è diretta a rendere tempestivamente noto al mercato il fatto che l'informazione contabile diffusa dalla società non è conforme alle norme di legge e a far sì che al mercato sia offerta in tempi rapidi un'informazione corretta, sulla base della quale gli investitori possano assumere le proprie decisioni di investimento, prevalendo tale interesse su quello della società a non subire le negative conseguenze derivanti dalla diffusione della notizia dell'errore[49].
Benchè il potere dell'enforcerdi rendere noto al mercato che un emittente non adempie correttamente i propri obblighi informativi e, segnatamente, che le relazioni finanziarie annuali e infrannuali pubblicate non sono conformi alle norme che ne disciplinano la redazione sia previsto dal legislatore europeo, l'armonizzazione in relazione a tale profilo non appare ancora compiuta poichè gli Stati membri hanno accolto "approcci" parzialmente difformi.
Ciò emerge con particolare evidenza dalla comparazione della legislazione nazionale con quella tedesca. Mentre il legislatore italiano sembra essersi limitato, lasciando così spazio ad ambiguità interpretative e a possibili difficoltà applicative, ad introdurre la previsione dell'art. 154-ter, comma 7, c.c. senza un adeguato coordinamento con gli altri poteri attribuiti alla Consob (in particolare, con quello di impugnazione del bilancio d'esercizio) e quest'ultima non ha preso posizione in materia, in Germania il legislatore e la BaFin hanno mostrato piena consapevolezza della natura reputazionale dell'obbligo di comunicazione al mercato della notizia della "non conformità" dell'informazione contabile alle norme che ne disciplinano la redazione ed è stato, di conseguenza, delineato (anche in forza degli orientamenti in tal senso espressi dalla giurisprudenza) un sistema normativo e regolamentare coerente con la natura di tale strumento dienforcemente funzionale a favorirne la valenza deterrente.
Se ne trae conferma, anzitutto, dalle previsioni dei §§ 37t e 37u WpHG in forza delle quali alla società è consentito presentare reclamo contro l'ordine di pubblicazione dell'errore dettato dalla BaFin ai sensi del § 37q WpHG sia presentando un'opposizione alla stessa BaFin (la quale è però in tal modo è chiamata a decidere sulla correttezza e fondatezza del provvedimento da essa stessa emanato) nonchè avanzando ricorso davanti alla Corte di Appello di Francoforte (competente territorialmente in quanto ivi ha sede la Borsa). Nessuna delle due "opposizioni" ha però - sempre ai sensi dei §§ 37t e 37u del WpHG - di per sè effetto sospensivo dell'ordine della BaFin di dare notizia al pubblico della "erroneità" dei bilanci, giacchè l'interesse del mercato a ricevere tempestiva notizia della "non conformità" dell'informazione contabile diffusa dalla società è considerato prevalente (coerentemente con le finalità della norma[50]) su quello della società alla riservatezza e ad evitare le negative conseguenze reputazionali conseguenti alla pubblicazione dell'errore[51]. La società è pertanto tenuta - a meno che essa non presenti un ricorso d'urgenza all'autorità giudiziaria competente[52] - a pubblicare la notizia dell'errore accertato dal DPR o dalla BaFin prima che la correttezza del loro operato e l'esistenza dell'errore o della carenza accertati siano stati confermati dall'autorità giudiziaria[53].
La preminenza assegnata dal legislatore all'interesse degli investitori ad essere tempestivamente informati della "non conformità" dell'informazione contabile diffusa dall'emittente risulta anche dall'interpretazione assolutamente prevalente della disposizione del § 37q, Abs. 2, WpHG ai sensi della quale l'Autorità di vigilanza può rinunciare ad imporre la pubblicazione della relativa notizia qualora ritenga (senza che sia presentata una richiesta in tal senso dalla società) che la disclosurenon sia nell'interesse pubblico, come nell'ipotesi in cui i profili di non conformità accertati non siano rilevanti e perciò suscettibili di incidere sulle decisioni degli investitori[54]. La BaFin e la Corte di appello di Francoforte hanno, infatti, accolto una interpretazione molto restrittiva del dettato normativo, secondo cui l'interesse pubblico alla comunicazione dell'errore non si ritiene venga meno qualora l'errore sia stato corretto in successivi bilanci (annuali o infrannuali) nel frattempo pubblicati[55].
Il riconoscimento da parte della BaFin della preminenza dell'interesse del mercato a ricevere una tempestiva informazione e della natura reputazionale del provvedimento di cui al § 37q, Abs. 2, WpHG traspare con chiarezza anche dall'ulteriore previsione, contenuta nella medesima norma, secondo cui la società può richiedere di non procedere alla pubblicazione della notizia dell'errore qualora essa la ritenga gravemente dannosa dei propri interessi. L'Autorità di vigilanza tedesca ha, infatti, chiarito che non possono fondare una simile richiesta i potenziali danni derivanti all'emittente dalla pubblicazione della notizia dell'errore in termini di perdita di fiducia da parte del mercato nei conti della società e di incidenza negativa sui corsi azionari, giacchè tali effetti costituiscono naturale conseguenza dell'attività di vigilanza sull'informazione contabile e non possono perciò essere considerati irragionevoli e contrari all'interesse della società[56].
Inoltre, al fine di non attenuare il carattere sanzionatorio del provvedimento e garantire la chiarezza dell'informazione offerta al mercato[57], la BaFin detta indicazioni vincolanti in merito al contenuto della comunicazione da diffondere al pubblico, la quale - in conformità al § 37q, Abs. 2, WpHG - deve limitarsi a descrivere la natura e l'incidenza dell'errore riscontrato, essendo precluso l'inserimento di ulteriori informazioni che possano ledere la chiarezza della notizia diffusa o mediante le quali la società intenda contestare l'esistenza dell'errore accertato dal DPR o dalla BaFin ovvero sminuirne la portata[58].
Chiarito nel precedente paragrafo che al provvedimento di cui all'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. deve essere riconosciuta la natura di sanzione reputazionale e che esso è funzionale a fornire al mercato un'informazione contabile "corretta" in tempi ridotti, è necessario esaminarne con maggiore dettaglio gli effetti nonchè il coordinamento con gli altri rimedi adottabili dalla Consob a fronte di irregolarità dell'informazione contabile e, in specie, con il potere di impugnazione della delibera di approvazione del bilancio riconosciuto (ai sensi dell'art. 157, comma 2, t.u.f.) ai soci e agli altri aventi diritto, oltre che alla stessa Consob.
A questo fine appare necessario muovere, ancora una volta, dalla natura reputazionale del provvedimento di cui art. 154-ter, comma 7, t.u.f. e dalla constatazione che esso, per tale ragione, non incide in alcun modo sulla validità dei bilanci cui si riferiscono gli errori accertati dalla Consob e non ha perciò effetti "reali" ma assume rilievo soltanto sul piano informativo.
Se si prende atto di ciò, è possibile constatare che - contrariamente ai timori in tal senso da taluno prospettati - l'esercizio del potere di cui all'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. non determina, sul piano giuridico, un'ingerenza della Consob nella redazione dei bilanci che resta di esclusiva competenza degli amministratori. L'ordine di pubblicare la notizia dell'errore e degli effetti del medesimo (eventualmente includendo nel comunicato stampa una "rielaborazione" pro-forma del bilancio secondo le indicazioni della Consob) non determina - in punto di diritto - alcun vincolo per gli amministratori.
Costoro, anzitutto, non sono tenuti a correggere la relazione finanziaria cui si riferisce l'errore accertato dalla Consob e, nel caso del bilancio d'esercizio, a chiederne la riapprovazione da parte dell'assemblea: un simile obbligo va riconosciuto soltanto in presenza di una sentenza di annullamento da parte del giudice, in quanto esclusivamente in tal caso il bilancio può considerarsi eliminato dal mondo del diritto, necessitando pertanto - secondo la ricostruzione preferibile[59] - la riapprovazione del medesimo[60]. È da escludere altresì che - sempre in punto di diritto - l'esercizio del potereex 154-ter, comma 7, t.u.f. vincoli gli amministratori in merito alla redazione delle relazioni finanziarie future, non potendo ravvisarsi l'obbligo dell'organo amministrativo di recepire le "correzioni" apportate dalla Consob.
Questa ricostruzione è coerente con leGuidelines on enforcement of financial informationle quali, in merito alle c.d.enforcement actionsadottabili dall'enforcer,prevedono (parr. 57 ss.) che questo può alternativamente imporre la riapprovazione del bilancio, la pubblicazione di una nota correttiva ovvero la correzione degli errori e delle carenze nei bilanci successivi anche mediante, se rilevante, ilrestatementdell'informazione comparativa relativa all'esercizio precedente.
La misura di cui all'art. 154-ter, comma 7, c.c. è certamente riconducibile alla pubblicazione di una nota correttiva[61] e non può in alcun modo essere assimilata alla riapprovazione del bilancio d'esercizio (che implicherebbe, ovviamente, il coinvolgimento dell'assemblea) nè, soprattutto, comporta un restatement, che consiste (secondo quanto previsto dallo IAS 8, par. 42) nella modifica dei valori comparativi (relativi all'esercizio precedente cui si riferisce l'errore) esposti nel bilancio successivo[62].
È peraltro particolarmente significativa a tal ultimo riguardo la circostanza che, proprio per evitare incertezze applicative e un'incoerenza con le previsioni dei parr. 41 ss. dello IAS 8[63], l'ESMA ha apportato una duplice modifica alla terminologia utilizzata nella versione provvisoria delle Guidelines on enforcement of financial information, utilizzando il termine «corrective note» in luogo di «restatement» e sostituendo la formula «correction in future financial statements» con «restatement with adjustment of comparatives, where relevant», al fine di chiarire che il potere dell'enforcer di obbligare l'emittente a pubblicare una corrective note non implica l'effettuazione di un restatement nel primo bilancio successivo (nè, tantomeno, la sua riapprovazione del bilancio al quale si riferisce l'errore)[64].
Alla luce di tali indicazioni devono essere "letti" i provvedimenti exart. 154-ter, comma 7, t.u.f. adottati (mediante apposita delibera) dalla Consob che esigono la pubblicazione da parte dell'emittente di un comunicato stampa che indichi gli errori e le carenze riscontrare e, ove necessario, illustri, in un'apposita situazione economico-patrimoniale pro-forma (corredata dei dati comparativi), gli effetti che una contabilizzazione conforme alle regole avrebbe prodotto sulla situazione patrimoniale, sul conto economico e sul patrimonio netto degli esercizi per i quali è stata fornita un'informativa errata[65]. Ancorchè la pubblicazione di tale situazione pro-forma esiga il "ricalcolo", in conformità ai principi e ai criteri considerati corretti dalla Consob, dei valori esposti nel bilancio (o nella relazione finanziaria infrannuale) precedente, non è esatta l'affermazione ricorrente nella prassi degli affari secondo cui in tal caso il provvedimento ex art. 154-ter, comma 7, t.u.f. comporterebbe il restatement del bilancio dell'esercizio precedente in conformità allo IAS 8, ossia la "correzione" dell'informazione comparativa inclusa nel primo bilancio successivo a quello cui si riferisce l'errore[66].
Muovendo da tali osservazioni, è possibile fare luce sui rapporti tra il provvedimento di cui all'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. e l'impugnazione della delibera di approvazione del bilancio per vizi di contenuto che può essere presentata sia dalla stessa Consob sia dagli altri legittimati[67]. A causa del silenzio del legislatore in materia, appare controverso, soprattutto, se l'accertamento dell'errore da parte della Consob e l'ordine di pubblicazione della relativa notizia precludano una successiva impugnazione del bilancio ovvero incidano su eventuali giudizi già in corso.
Di particolare importanza paiono a tal riguardo le indicazioni provenienti dalla legislazione tedesca e, segnatamente dai §§ 342b dell'HGB e 37o, Abs. 2, WpHG i quale stabiliscono che una verifica da parte del DPR o della BaFin non può essere avviata o deve essere sospesa finchè è pendente un'azione di impugnazione del bilancio d'esercizio[68]. Il principio di «subsidiarität» dell'azione di non conformità rispetto all'impugnazione del bilancio, da un lato, è volto a evitare che possano esservi pronunce divergenti da parte dell'enforcer e dell'autorità giudiziaria in merito al medesimo bilancio, dall'altro, è conforme al principio generale di autoregolamentazione della società per azioni, in base al quale, nel caso di specie, l'intervento esterno dell'autorità amministrativa è sussidiario rispetto all'impugnazione avviata dai soci o dai terzi legittimati[69].
Il principio di «subsidiarität» implica dunque che, là dove l'azione di nullità abbia successo, non può essere successivamente avviata una verifica da parte del DPR o della BaFin in quanto il bilancio nullo viene eliminato dal mondo del diritto, mentre, al contrario, il mancato accertamento di vizi del bilancio da parte del giudice non preclude la facoltà dell'enforcerdi avviare un accertamento sullo stesso bilancio[70]. Inoltre, la pubblicazione dell'errore ai sensi del § 37q,Abs. 1, WpHG (là dove essa preceda l'avvio dell'azione di impugnazione) non vincola in alcun modo il giudice, per quanto sia fondato ritenere che egli, di regola, terrà conto anche di questa informazione o, quantomeno, sarà da essa in qualche misura influenzato nel valutare la fondatezza dell'impugnativa.
Osservato che la delicatezza della materia renderebbe opportuno un esplicito intervento del legislatore nazionale sul modello della legislazione tedesca, è da escludere che allo stato possa giungersi nell'ordinamento interno a conclusioni analoghe a quelle appena prospettate e che, in particolare, possa ravvisarsi il dovere della Consob di sospendere eventuali accertamenti in corso nel caso in cui venga avviata un'azione di impugnazione del medesimo bilancio (fermo restando che non è, invece, concepibile l'avvio di una verifica da parte della Consob su un bilancio precedentemente dichiarato nullo dal giudice). Nonostante ciò è senz'altro auspicabile che l'Autorità di vigilanza si attenga volontariamente ad una simile condotta, sì da evitare il rischio che si registri una divergenza di opinioni tra l'autorità amministrativa e quella giudiziaria, suscettibile di generare incertezza sul mercato. Nell'ordinamento nazionale il concretizzarsi di un siffatto contrasto è peraltro maggiormente probabile, giacchè - a differenza di quanto avviene in Germania[71] - esso può riguardare anche il bilancio consolidato, per effetto della previsione dell'art. 157, comma 1, t.u.f. in forza della quale i soci in possesso della percentuale di capitale ivi prevista possono richiedere al tribunale di accertare la conformità del bilancio consolidato alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione.
Costituisce un importante corollario di quanto sin qui osservato il fatto che, qualora l'accertamento di non conformità ai sensi dell'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. riguardi il bilancio d'esercizio (che, come noto, oltre ad avere funzione informativa assume anche rilievo organizzativo, costituendo la base per molteplici delibere inerenti la struttura finanziaria della società), può escludersi con certezza - anche sulla scorta delle argomentazioni in tal senso svolte dalla dottrina tedesca[72] - che il provvedimento di cui 154-ter, comma 7, t.u.f. incida sulla validità delle delibere adottate sulla base del bilancio in seguito considerato "erroneo" da parte della Consob. Depone in tal senso la circostanza che neppure il successivo annullamento della delibera di approvazione del bilancio ovvero la modifica volontaria dello stesso da parte della società pregiudica gli effetti della delibera di distribuzione dei dividendi assunta sulla base del bilancio annullato o modificato. Trova, infatti, applicazione in ogni caso la previsione dell'art. 2433, comma 4, c.c. in base alla quale i dividendi erogati in violazione delle disposizioni del medesimo articolo non sono ripetibili «se i soci li hanno riscossi in buona fede in base a bilancio regolarmente approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti».
La ricostruzione della natura e degli effetti della misuraexart. 154-ter, comma 7, t.u.f. svolta nei precedenti paragrafi non può considerasi esaustiva poichè, come già accennato, gli effetti dell'accertamento da parte della Consob della non conformità delle relazioni finanziarie pubblicate dagli emittenti alle norme che ne regolano la redazione differiscono sensibilmente a seconda che si abbia riguardo al piano strettamente giuridico ovvero a quello sostanziale. L'accertamento di non conformità e l'ordine di pubblicazione della notizia dell'errore, pur non ponendo vincoli giuridici in capo agli amministratori, sono destinati, di regola, ad incidere in modo rilevante sulla loro condotta.
E', infatti, fondato ritenere (e la prassi lo conferma ampiamente[73]) che molto raramente l'organo amministrativo non "correggerà", al momento della redazione dei bilanci successivi, i profili di non conformità segnalati dalla Consob, poichè è evidentemente nell'interesse della società adeguarsi alle indicazioni dall'Autorità di vigilanza per evitare le eventuali conseguenze negative che potrebbero derivare da una scelta di segno opposto[74]. E' assai probabile, infatti, che la reiterazione del trattamento contabile giudicato non conforme ai principi IAS/IFRS possa condurre all'adozione di ulteriori provvedimenti da parte della Consob e, in specie, fornire fondamento all'impugnazione del bilancio da parte della medesima o degli altri legittimati (es.: i soci minoranza).
Risulta dunque evidente che (ferma la diversità dei due istituti dal punto di vista giuridico) l'accertamento di non conformità conduce, sul piano sostanziale, ad esiti almeno in parte paragonabili a quelli dell'annullamento del bilancio, in quanto esso determina, di fatto, un "vincolo di adeguamento" a carico degli amministratori al pari di una sentenza di annullamento del bilancio, delle ragioni della quale - stabilisce l'art. 2434-bis, comma 3, c.c. - si deve tener conto nel bilancio dell'esercizio nel corso del quale viene dichiarata l'invalidità. Ne risulta che la società può essere tenuta, ai sensi dell'art. 154-ter, comma 7, t.u.f., a pubblicare la notizia dell'errore (subendone le conseguenze sul piano reputazionale) ed essere indotta a conformarsi alle indicazioni della Consob senza che l'effettiva esistenza degli errori e delle carenze da questa accertati sia stata verificata dal giudice competente, come accadrebbe, invece, in caso di impugnazione del bilancio da parte dell'Autorità di vigilanza. Anche là dove la società impugni il provvedimento exart. 154-ter, comma 7, t.u.f. essa è (salvo quanto precisato di seguito) tenuta ad adempiere l'obbligo di comunicazione imposto dalla Consob prima della pronuncia del giudice investito della questione e possono ad essa applicarsi le sanzioni di cui all'art. 193 t.u.f. in caso di mancato tempestivo adempimento[75].
Benchè un simile esito sia coerente con la preminenza riconosciuta dal legislatore all'interesse del mercato a ricevere tempestivamente notizia della "non conformità" dei bilanci e un'informazione contabile "corretta", la questione appena sollevata presenta indubbi profili di delicatezza e si presta a considerazioni di diverso ordine concernenti sia gli strumenti "di difesa" comunque utilizzabili dalla società sia, soprattutto, una valutazione delle modalità con cui glienforcerdovrebbero ricorrere all'adozione del provvedimento in esame e la conformità a tali indicazioni dell'utilizzo sinora fatto dalla Consob della misuraexart. 154-ter, comma 7, t.u.f..
Quanto al primo aspetto, qualora la società impugni il provvedimento della Consob, essa può chiedere al giudice, in via cautelare, di sospendere gli effetti della decisione dell'Autorità di vigilanza[76] e, dunque, l'adempimento degli obblighi informativi imposti ai sensi dell'art. 154-ter, comma 7, t.u.f., a condizione che sia fornita prova della sussistenza dei presupposti delfumus bonis iuris (risultando, ad un sommario esame, una ragionevole probabilità circa il positivo esito del ricorso) e delpericulum in mora (ossia del comprovato e concreto rischio per la società di subire danni gravi e irreparabili per effetto della pubblicazione della notizia dell'errore).
Alla luce delle indicazioni desumibili dall'esperienza tedesca, appare fondato ritenere che nel valutare la ricorrenza di tali presupposti il giudice tenga conto della natura del provvedimento exart. 154-ter, comma 7, t.u.f. e, in specie, del fatto che esso è diretto a fornire in modo tempestivo una corretta informazione al mercato: di conseguenza, non può considerarsi sufficiente per la concessione della misura cautelare la dimostrazione degli effetti negativi che la pubblicazione dell'errore avrebbe sulle quotazioni e, in generale, sulla reputazione della società, in quanto questo può ritenersi un effetto "fisiologico" e coerente con le finalità della norma[77]. Secondo gli orientamenti, particolarmente rigorosi, invalsi nella prassi tedesca è necessario, in tal caso, fornire prova del fatto che la pubblicazione dell'errore darebbe luogo a un danno gravissimo per la società, ponendola in una «existenzbedrohende Situation»[78].
Alla stregua di quanto appena osservato, appare dunque di centrale importanza l'appropriato utilizzo da parte dell'Autorità di vigilanza della misura di cui all'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. , considerati gli incisivi effetti che essa produce a carico della società e la sostanziale limitatezza degli "strumenti di difesa" di cui questa dispone.
In questa prospettiva costituisce un rilevante termine di paragone la prassi invalsa nel Regno Unito, dove risulta che non vi siano stati sinora casi in cui l'enforcer abbia agito in giudizio, ai sensi della section456 del Companies Act, per ottenere dall'autorità giudiziaria la dichiarazione di conformità dei bilanci della società alle norme che ne regolano la redazione e l'intimazione alla società di predisporre un nuovo bilancio emendato dei vizi accertati[79]. Di regola, infatti, la verifica delConduct Committee si chiude con l'adeguamento volontario da parte della società e l'eliminazione dei vizi e delle carenze riscontrati, con la seguente comunicazione al mercato dell'avvenuta "correzione" dei conti della società attraverso un apposito comunicato stampa ovvero l'inclusione di un'informativa a tal riguardo nei bilanci successivi.
Un simile approccio, che (come già evidenziato[80]) valorizza la portata preventiva dell'enforcement, ha il duplice vantaggio di limitare i negativi effetti reputazionali a carico della società (contenendo le eventuali ripercussioni sulle quotazioni della medesima) e di migliorare la qualità dell'informazione contabile diffusa dalla società, senza dare luogo (come può avvenire, invece, in applicazione dell'art. 154-ter, comma 7, t.u.f.) all'incertezza e alla potenziale "confusione" che può derivare dalla richiesta dell'enforcer di rendere noti dati contabili pro-forma "corretti" che si sovrappongono ai bilanci già pubblicati dalla società i quali restano pienamente validi.
Pur dovendo dubitarsi che l'approccio "collaborativo" invalso nel Regno Unito possa essere trasposto negli altri Stati membri, essendo la sua efficacia da ricondurre (almeno in parte) alle caratteristiche economiche e culturali proprie di quel contesto, la prassi seguita dalConduct Committerappresenta comunque un modello di riferimento nella misura in cui evidenzia che l'obiettivo principale delleenforcement actionadottate dall'autorità di vigilanza è ripristinare in modo tempestivo la correttezza dell'informazione contabile diffusa sul mercato e che tale finalità può essere perseguita secondo modalità idonee a contenere la "penalizzazione" della società sul piano reputazionale.
Chiare indicazioni in questo senso sono, d'altronde, dettate dalleGuidelines on enforcement of financial informationemanate dall'ESMA (parr. 57 ss.) secondo le quali, per stabilire quali azioni intraprendere a fronte di errori o carenze riscontrati nell'informazione contabile, le autorità competenti devono considerarei) la data in cui tale decisione è presa;ii) se, in tale data, il mercato già è informato non conformità dei bilanci e ha ricevuto informazioni "correttive";iii) se la correzione ritenuta necessaria riguarda soltanto la chiarezza dell'informazione contabile ovvero anche il suo contenuto.
In base alle linee guida dell'ESMA, l'adozione di provvedimenti analoghi a quello dell'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. non è raccomandata qualora l'emittente abbia, autonomamente, corretto l'errore nelle relazioni finanziarie successive ovvero diffuso un comunicato "rettificativo"[81]: in simili ipotesi, risultando già (almeno parzialmente) soddisfatta l'esigenza di ripristinare tempestivamente la correttezza dell'informazione contabile offerta al mercato, è preferibile richiedere alla società di correggere gli errori e le carenze nel bilancio successivo, eventualmente anche mediante ilrestatement dei dati comparativi relativi al periodo precedente.
Tale provvedimento consente, da un lato, di evitare le possibili distorsioni informative derivanti dalla pubblicazione di diverse "versioni" del medesimo bilancio (che può aver luogo per effetto della misura di cui all'art. 154-ter, comma 7, t.u.f., là dove, il comunicato stampa contenga schemi di bilancio pro-forma), dall'altro, di limitare le conseguenze negative sul piano reputazionale per la società, la sopportazione delle quali potrebbe risultare parzialmente ingiustificata là dove la società abbia provveduto autonomamente a sanare i profili di non conformità ovvero a mutare il trattamento contabile contestato nei bilanci nel frattempo eventualmente pubblicati. In questo senso depone, peraltro, la prassi seguita dagli enforcereuropei: dal resoconto diffuso dall'ESMA[82] emerge, infatti, che la richiesta di correzione nei bilanci successivi costituisce il provvedimento di gran lunga più utilizzato, mentre i provvedimenti analoghi a quello previsto dall'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. assumono portata residuale.
Benchè l'azione della Consob appaia sostanzialmente conforme a tali riscontri applicativi, considerato il numero piuttosto limitato delle azioni di non conformità avviate, essa pare tuttavia non del tutto aderente alle indicazioni dell'ESMA.
Meritevole di attenzione è anzitutto la circostanza - confermata dalle evidenze numeriche - che la Consob sembra, di fatto, aver attribuito (in relazione ai bilanci d'esercizio e consolidati[83]) all'azione di non conformitàex 154-ter, comma 7, t.u.f. valenza sostitutiva dei poteri ad essa riconosciuti dall'art. 157, comma 2, t.u.f.. Ancorchè, come in precedenza osservato, la pubblicazione della notizia dell'accertamento da parte della Consob della non conformità dei bilanci della società sia strumento in grado di determinare una forma di "pressione" sugli amministratori tale da indurli ad adeguarsi al trattamento contabile indicato dall'enforcere condurre così ad esiti nella sostanza coincidenti con quelli di una sentenza di annullamento del bilancio, resta il fatto che una simile condotta non è dovuta dall'organo amministrativo.
Là dove quest'ultimo (legittimamente) non recepisca nel bilancio successivo - non condividendole - le "correzioni" ritenute necessarie dalla Consob, essa potrà reagire impugnando l'ultimo bilancio approvato, ma il ricorso a questo strumento risulterà a tal punto tardivo e inadeguato a perseguire l'obiettivo di ripristinare tempestivamente la correttezza dell'informazione contabile offerta al mercato, posto che il giudizio di impugnazione potrebbe giungere a conclusione molto in ritardo rispetto alla pubblicazione del bilancio contestato.
L'inopportunità della "equiparazione" sul piano funzionale tra il provvedimento di cui all'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. e l'impugnazione del bilancio è riscontrabile anche tenendo conto di ulteriori variabili e, precisamente, della natura e della "complessità" del profilo di non conformità ravvisato dalla Consob e della correzione ritenuta necessaria per porvi rimedio.
Rilevante in tal senso è l'indicazione dettata dall'ESMA[84] secondo cui, nel decidere se richiedere la riapprovazione del bilancio ovvero la pubblicazione di una nota correttiva da parte della società, l'enforcerdeve valutare se questa seconda misura è idonea a fornire ai lettori del bilancio un'informazione sufficientemente chiara per assumere le loro decisioni di investimento oppure se, in ragione dell'entità e della natura dei vizi riscontrati, sia necessaria la redazione e l'approvazione di un bilancio emendato. In ambito nazionale, va dunque considerato se, di fronte a bilanci recanti rilevanti profili di non conformità attinenti alle modalità applicative dei criteri di valutazione (ossia alle stime compiute dagli amministratori) e di iscrizione utilizzati, l'adozione del provvedimentoex art. 154-ter, comma 7, t.u.f. possa considerarsi preferibile (o equivalente) rispetto all'impugnazione del bilancio da parte della Consob.
L'interrogativo ha ragione di porsi in quanto, per effetto della notevole discrezionalità che connota la rilevazione di alcune voci nonchè la non chiara o esaustiva regolazione di taluni aspetti da parte degli IAS/IFRS, può risultare complesso per l'Autorità di vigilanza individuare in modo univoco il trattamento contabile più opportuno sulla base del quale predisporre l'informazione "correttiva" da includere nel comunicato stampa che la società deve diffondere ai sensi dell'art. 154-ter, comma 7, t.u.f.. Di tali difficoltà applicative, d'altronde, si è avuto riscontro in un recente caso in occasione del quale Consob, dopo aver accertato la non conformità del bilancio dell'emittente, ha consentito la pubblicazione da parte dello stesso di un comunicato stampa "correttivo" contenente (mediante appositi prospetti contabili pro-forma) una duplice rappresentazione, basata su due diversi scenari, degli effetti delle correzioni richieste dalla Consob, fornendo così al mercato (e, in specie, ai lettori meno esperti) un'informazione particolarmente complessa e suscettibile di generare maggiori incertezze.
Sembra pertanto potersi concludere che, pur essendo l'azione di non conformità uno strumento più tempestivo rispetto all'impugnazione del bilancio e ferma restando l'opportunità di riservare rilievo residuale a quest'ultima, i due rimedi non sono pienamente alternativi, non potendo, in particolare, la diffusione di una «corrective note» ai sensi dell'art. 154-ter, comma 7, t.u.f. considerarsi una misura adeguata qualora, in ragione della gravità e del numero dei vizi accertati, la nota correttiva non consenta di offrire ai lettori un'informazione idonea a fungere da base per le loro scelte di investimento, risultando necessari a tal fine l'annullamento del bilancio pubblicato e l'approvazione di un nuovo bilancio emendato dei vizi accertati.
Pur essendo ineludibile a tal riguardo una valutazione caso per caso, sembra potersi affermare che, in linea generale, la pubblicazione di una nota correttiva costituisce un rimedio appropriato - ed effettivamente preferibile all'impugnazione - al ricorrere di vizi attinenti alla chiarezza dell'informazione contabile[85] ovvero di vizi "puntuali" nell'applicazione dei criteri di rilevazione e di valutazione, la cui rettifica non richiede una valutazione discrezionale: si pensi, ad esempio, alla riclassificazione di un determinato importo in una diversa voce di bilancio, all'imputazione al conto economico di una componente di reddito destinata dagli amministratori direttamente a patrimonio netto ovvero all'errata inclusione nel valore di iscrizione di un bene di una componente di costo in esso non conteggiabile.
Diversamente, qualora i vizi riguardino numerose voci del bilancio ovvero attengano all'applicazione dei criteri di valutazione e, in specie, alle stime compiute dagli amministratori e intrinsecamente connotate da un certo grado di discrezionalità, l'impugnazione del bilancio appare - anche alla luce dei precedenti poc'anzi richiamati - uno strumento dienforcementpreferibile, in quanto attribuisce al giudice il compito di accertare gli eventuali vizi e di indicare i necessari interventi correttivi da apportate mediante la riapprovazione del bilancio.
Più precisamente, nel caso in cui i vizi siano numerosi o attengano a problematiche strettamente valutative, l'azione di non conformitàexart. 154-ter, comma 7, t.u.f. potrebbe presentare un duplice limite: per un verso, la pubblicazione della sola notizia dell'errore e la descrizione dei suoi effetti potrebbe non essere sufficiente a ripristinare la chiarezza dell'informazione contabile, necessitando a tal fine una completa rielaborazione e "riesposizione" degli schemi di bilancio; per altro verso, la richiesta da parte della Consob di includere nel comunicato stampa "rettificativo" schemi di bilancio pro-forma "depurati" degli errori riscontrati può risultare problematica poichè la redazione dei medesimi, là dove implichi scelte valutative discrezionali degli amministratori, resta comunque nella competenza di costoro (non potendo l'Autorità di vigilanza sostituirsi ad essi nell'effettuazione della valutazione), sicchè non può escludersi che anche tale rappresentazione sia considerata non conforme ai principi IAS/IFRS dalla Consob, alla quale in tal caso non resterebbe alternativa all'impugnazione del bilancio d'esercizio.