Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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Appunti in tema di derivati * (di Carlo Angelici)


* Intervento svolto al convegno tenutosi il 6 marzo 2015 presso l'Università di Roma3 e destinato agli studi in onore di Michael Joachim Bonell.

Sommario/Summary:

1. Premessa. - 2. Il problema dell’unità. - 3. L’isolamento del rischio. - 4. La quotazione del rischio. - 5. L’effetto leva. - 6. Il problema dell’«astrattezza». - 7. La prospettiva della «scommessa autorizzata». - 8. Copertura, speculazione… - 9. 9. … e razionalità.


1. Premessa.

Le pagine che seguono, redatte nella preparazione di un intervento a un convegno e destinate agli studi in onore diJoachim Bonell, corrispondono a una fase ancora del tutto provvisoria di una ricercain itinere: una fase assolutamente intermedia la quale può al più valere come esplicitazione delle sensazioni cui il tema considerato mi sta inducendo e, semmai, delle direzioni da seguire per il suo approfondimento. Con esse si vuole in definitiva, e senza alcuna pretesa di originalità, segnalare alcuni aspetti problematici, non certo soluzioni, che a  paiono a chi scrive dover essere affrontati nell'esame di un'area tematica certamente complessa e per molti aspetti sfuggente.


2. Il problema dell’unità.

Fra tali aspetti problematici vorrei porre al primo posto la questione, tante volte affrontata, ma non sempre forse adeguatamente approfondita, se abbia un senso impostare l'indagine in terminiunitarie tentare con essa di comprendere la multiforme fenomenologia cui parlando di «derivati» ci si riferisce. Una questione il cui porsi, debbo riconoscerlo, deriva indubbiamente da mie deprecabili e deprecate tendenze alla teoria generale, ma che penso possa trovare una qualche giustificazione in esigenze metodologiche che a me sembrano imprescindibili. Penso cioè che il giurista teorico opera necessariamente costruendo classi di casi e che tale costruzione, poiché in definitiva finalizzata alla soluzione di concrete questioni applicative, debba avvenire riconoscendoun problemache unitariamente li caratterizza (il che, ovviamente, non esclude che dal punto di vista di altri problemi sia invece necessario distinguerli). Vorrei perciò chiedermi se sia possibile, riguardo alla varia e multiforme fenomenologia per cui discorriamo di «derivati», riconoscere un qualche profilo problematico comune e allora, quando esso rileva, l'opportunità (se non addirittura l'esigenza) di una trattazione unitaria. Il che pone l'interrogativo se e in che termini sia possibile andare oltre la constatazione che tale fenomenologia si compone di ipotesi estremamente differenziate sia per quanto riguarda il «sottostante» da cui viene «derivato» il valore, che può riguardare vicende di mercato oppure eventi concernenti un debitore o ancora fatti fisici come gli andamenti climatici ovvero scelte politiche, sia per quanto concerne il contesto in cui l'operazione si pone, che può essere quello di un mercato in vario modo istituzionalizzato oppure di un rapporto bilaterale, sia con riferimento alle finalità dell'operazione medesima, come si dice di «copertura» ovvero di «speculazione». Pare certo perciò, già a una prima impressione, che non possono essere le caratteristiche del «sottostante» o del mercato o ancora delle finalità perseguite a segnalareunproblema unitario in grado di giustificare la costruzione di una categoria come quella del «derivato». Essa, se ci si limita a questi aspetti, non è comunque in grado di rappresentare un «tipo» utilizzabile per l'analisi giuridica. D'altra parte, e mi sembra [...]


3. L’isolamento del rischio.

Mi riferisco in primo luogo alla circostanza che un rischio può essere negoziato solo in quanto oggettivamente definito e alloraisolatorispetto ad altri. Si tratta, da questo punto di vista, di una prospettiva tutt'altro che nuova e che si presenta con particolare evidenza con riferimento all'attività imprenditoriale e alle operazioni per cui si svolge. Sia l'una sia le altre si svolgono, in certo modo per definizione, in un ambiente di rischio e incertezza e per entrambe i singoli fattori da cui il rischio e l'incertezza risultano si presentano come elementi di costo. Sicché, quando viene compiuta un'operazione economica, si pone il problema del modo in cui distribuirli fra le parti, l'esigenza allora di isolarli l'uno rispetto all'altro e così poterli analiticamente trattare. Perciò, se mi è concesso ricordare miei lontani studi, è adeguato alla disciplina della vendita, in particolare se in un contesto imprenditoriale, affrontare i molteplici problemi che possono presentarsi nel corso del suo svolgimento considerandone il significato di elementi di costo dell'operazione e alla luce del problema che pongono alle parti, quello di rappresentare singoli aspetti dal cui combinarsi risulta il complessivo equilibrio economico dell'operazione medesima: con la conseguenza che essi richiedono di essere appunto analiticamente valutati e che, allora, non ci si può rivolgere a soluzioni onnicomprensive le quali, come quella del «trasferimento della proprietà», pretenderebbero di considerarli unitariamente e indifferenziatamente. Il tema, come noto, cheKarl Llewellynevocava con la formulalump concept v. narrow issues. Ed è pure interessante segnalare che questa esigenza di isolare uno specifico rischio può essere soddisfatta solo tramite un processo di suaformalizzazione: nel senso che esso richiede di venire enucleato, possiamo dire «astratto», dal più ampio contesto nel quale si pone, dagli altri rischi cioè che globalmente possono riguardare l'operazione economica per cui il problema si pone. Così si spiega a mio parere, per limitarmi a un facile esempio, il «formalismo» dei crediti documentari: che è appunto funzionale all'esigenza di isolare uno specifico rischio finanziario, quello conseguente all'impossibilità che le prestazioni siano eseguite contestualmente, e assegnarlo a un operatore come quello bancario [...]


4. La quotazione del rischio.

Ma, direi ovviamente, non può essere soltanto questo profilo dell'«isolamento» di uno specifico rischio a fornire la ricercata caratterizzazione della nostra fenomenologia: se non altro in quanto è comune anche ad altre, come per fare un solo altro esempio quella del contratto autonomo di garanzia. Necessario è perciò, ritengo, segnalare un altro aspetto che potrebbe ulteriormente specificare la vicenda: che quell'isolamento di un rischio avviene in un contesto per il quale assume rilievo la prospettiva delmercato, nel senso, esprimendoci per ora genericamente, che s'intende poterlo direttamente negoziare in un mercato oppure (ma per lo più anche) che il rischio medesimo concerne vicende di mercato. La prima ipotesi è di assoluta evidenza, e non vi è forse neppure bisogno di fare esempi come quelli deifuturesooptions, che per definizione si collocano nel contesto di mercati regolamentati. Ma credo anche agevole cogliere la seconda prospettiva in ipotesi di negoziazioni, come ora si dice,over-the-counter, quali per esempio gliinterest rate swapse icredit default swaps: i primi nei quali espressamente il «sottostante» è individuato con riferimento a esiti di mercato (l'andamento in esso dei tassi d'interesse), e i secondi i quali mi sembra vogliano caratterizzarsi in quanto ilcredit eventnon viene considerato per le sue concrete conseguenze rispetto al patrimonio di chi con essi vuole «coprirsi», bensì come indice della posizione dell'ente debitore nel mercato del credito. Se questi spunti possono condividersi, ne deriva a mio modo di vedere un'ulteriore e più specifica caratteristica del modo in cui il rischio viene considerato: esso non soltanto, come in altre ipotesi, viene «isolato», ma poiché posto a confronto con un mercato, che per definizione è impersonale, viene pur esso «spersonalizzato», nel senso che gli si assegna rilievo a prescindere dalle sue implicazioni per le sfere personali di singoli. Il punto credo meriti di essere approfondito e vorrei perciò, in termini inevitabilmente provvisori e approssimativi, dedicargli qualche considerazione. A tal fine può essere utile un sommario confronto, del resto spesso proposto, con un'altra tecnica disponibile nella pratica per la gestione dei rischi, ovviamente quella assicurativa. E può essere utile richiamare in proposito il [...]


5. L’effetto leva.

Mi sembra cioè che meriti di essere sottolineato, anche e forse soprattutto ai fini teorici e costruttivi che mi propongo, che la tecnica dei derivati, poiché vuole caratterizzarsi per la prospettiva del mercato, non si limita a isolare uno specifico rischio rispetto ad altri, ma lo considera e valuta in via soltanto oggettiva, a prescindere dal suo significato per individuate economie individuali: non vi è soltanto il riferimento a un «sottostante», come letteralmente l'espressione di «derivato» già implica, ma si prescinde dal suo significato per la situazione patrimoniale delle parti dell'operazione. Qui del resto si spiega una delle caratteristiche dei derivati dalla quale conseguono i principali problemi per il suo utilizzo, quella che in termini economicistici viene definita come possibileeffetto leva. Con essi infatti diviene possibile, almeno in astratto, operare e speculare nel mercato a prescindere dalle reali dimensioni quantitative del dato assunto come «sottostante» e a prescindere dai limiti, in molti casi sia economici sia fisici, che potrebbero derivare dall'esigenza di una sua riferibilità ai singoli operatori. Con la conseguenza da un lato che ne risulta l'eventualità, di sicura verificazione in concreto, del formarsi di aggregati di domanda e di offerta tali da rappresentare un multiplo di quelli concernenti il «sottostante» medesimo. E con la conseguenza, da un altro lato, che il singolo può trovarsi ad assumere un rischio non più proporzionale alla propria situazione economica, e che potrebbe allora rivelarsi insostenibile. Dal che derivano due problemi risalenti e, ben può dirsi, tradizionali: per il primo aspetto se l'ampliamento in certo modo artificiale della domanda e dell'offerta che ne consegue del «sottostante» non sia tale da alterare il mercato del medesimo e, in particolare, da pregiudicare la sua efficienza; per il secondo aspetto se l'eventualità di un'esposizione al rischio priva di proporzioni con la situazione patrimoniale della parte non richieda un intervento protettivo dell'ordinamento. Né vi è forse bisogno di soffermarsi particolarmente per evidenziare quanto questi temi appartengano alla storia del problema. Può essere sufficiente, con riferimento al primo, ricordare che in un contesto nel quale la preoccupazione politica si volgeva soprattutto al mercato [...]


6. Il problema dell’«astrattezza».

Credo in ogni caso, proseguendo in questa mia disordinata e approssimativa esposizione, agevolmente comprensibile perché il segnalato «isolamento» di un rischio e lo stesso «effetto leva» che ne può derivare siano stati per così dire tradotti dal giurista in termini diastrattezzadel contratto derivato: l'eventualità di attribuzioni patrimoniali non immediatamente «giustificate» alla luce dell'economie individuali delle parti, senza comunque che sia riconoscibile un'adeguataexpressio causae. Si tratta del resto di una prospettazione tutt'altro che nuova, ma per tanti aspetti rilevabile nella lunga storia del problema. Si pensi per esempio a quello che è forse il primo saggio moderno sull'argomento, il lavoro monografico diHeinrich Thöldel 1835: ove un ampio confronto con le figure disponibili per l'inquadramento delle vicende che ci occupano, e in primo luogo evidentemente quelle del giuoco e della scommessa, si conclude con la proposta di utilizzare lo schema dellasponsio. Ma si pensi anche alla proposta che, volendo ricercare la «causa» di alcuni contratti derivati, la individua nello scambio di flussi di pagamenti: il che, se non m'inganno, per un verso si traduce in una risposta soltanto formale al quesito, poiché il pagamento si caratterizza come attribuzione patrimoniale la cui «giustificazione» deve ricercarsialiunde, per un altro verso, in quanto tale ricerca vorrebbe precludere, perviene in definitiva a ulteriormente sottolineare quella «astrattezza». E in effetti, dal mio punto di vista grossolano di commercialista, potrebbe essere spontaneo segnalare che ci trova di fronte a una ipotesi di «astrattezza» ancora più marcata rispetto ad altre di cui tradizionalmente discorriamo e ci interroghiamo, come per esempio quelle riconoscibili con i titoli di credito, i crediti documentari e i contratti autonomi di garanzia. Nel nostro caso, a differenza di questi, non solo si vogliono instaurare meccanismi per i quali possono realizzarsi attribuzioni patrimoniali al verificarsi di eventi dalla cui rilevanza per le parti e per il loro patrimonio si prescinde, ma si vuole anche escludere (si deve escludere affinché il meccanismo funzioni) che la verificaex postdi una mancanza di «giustificazione» su questo piano implichi possibilità di reazione come quelle consentite [...]


7. La prospettiva della «scommessa autorizzata».

In questo senso mi sentirei di osservare che ben poco può aggiungere alla discussione, salvo il riferimento a un dato di diritto scritto come l'art. 23 del t.u.f., una qualificazione della vicenda in termini di «scommessa autorizzata»: qualificazione spesso adottata nella nostra recente dottrina e giurisprudenza e che, verrebbe da dire, riprende più o meno consapevolmente la risalente sensazione che scorge una qualche assonanza fra il «giocare» in borsa e in uncasino. Debbo in proposito esprimermi in maniera ancora più sommaria e apodittica. La mia sensazione è in effetti che le figure previste dall'art. 1933 cod. civ. in certo modo abbiano perso, e proprio a causa dell'omogeneo trattamento normativo cui sono sottoposte, la loro tipicità: non vi è più il problema, alle origini sicuramente rilevante, di distinguerle, di distinguere cioè il giuoco e la scommessa, ma esse si definiscono soltanto per la circostanza generica trattarsi di operazioni il cui esito giuridico consegue alla sorte e, in termini negativi, per non essere fra quelle «autorizzate» dall'ordinamento. Tenderei a dire che il giuoco e la scommessa sono ormai divenuti, e da tempo, una endiadi e vengono così a costituire una sorta di schema generale per la categoria del contratto aleatorio: sicché la loro disciplina svolge in concreto un ruolo residuale, quello appunto di regolare le operazioni aleatorie per cui l'ordinamento non predispone una specifica normativa. Se ciò si condivide, e mi rendo conto che sarebbe necessario un ben più ampio argomentare, discorrere nel nostro caso di «scommessa autorizzata» vale soltanto a sottolineare il significato aleatorio della vicenda, ancora non è in grado di segnalarne le specificità e, ciò che soprattutto interessa, le ragioni per un trattamento difforme rispetto a quanto previsto dall'art. 1933 cod. civ. Sarebbe un po' come dire, e mi parrebbe ugualmente esatto, che la rendita vitalizia o l'emptio speio in certo modo persino l'assicurazione sono pur esse «scommesse autorizzate» (e del resto, per quanto concerne in particolare l'ultima, è ben nota l'evoluzione storica che ha visto, con il progressivo affermarsi del principio indennitario, il suo distacco dall'operazione di pura sorte). Mi sembra in sostanza che l'orientamento cui si accenna abbia soprattutto il pregio di [...]


8. Copertura, speculazione…

E se ci si muove in questa direzione mi sembra che il discorso debba essere svolto con riferimento al «mercato», il contesto appunto che si è constatato decisivo per la caratterizzazione dei derivati, ponendo allora in confronto con esso le tre formule nelle quali mi sembra sia possibile sintetizzare la discussione che ci occupa: quelle dicopertura, dispeculazionee, per il profilo certamente più delicato, dirazionalità. Le prime due segnalano, secondo una prospettiva che ben può definirsi antica e risalente, che l'operazione economica può in concreto essere uno strumento per realizzare finalità speculative le quali, come già avvertivaMax Weber, si potrebbero ugualmente perseguire, ma con tecniche più complesse e almeno dal punto di vista giuridico più costose; oppure servire a una funzione di tipo assicurativo, con l'obiettivo di neutralizzare economicamente un rischio cui si è in concreto esposti. Il che, per entrambi i profili, pone un problema che grossolanamente definirei ditipicità: potendosi chiedere, con riferimento al primo, se l'indubbia possibilità di conseguire risultati economicamente analoghi con altre tecniche giuridiche, in definitiva di speculare, sia ragione sufficiente per ritenere utilizzabile anche quella, allora atipica, dei derivati (i quali, se non altro, consentono un più ampio dispiegarsi di quell'«effetto leva» cui ho accennato); e potendosi chiedere, con riferimento al secondo, se e in che termini un risultato di tipo assicurativo possa essere perseguito con modalità giuridiche diverse da quelle previste per il contratto di assicurazione, in particolare sottraendosi alla disciplina e, soprattutto, ai controlli per esso previsti. Sotto questi aspetti, e specialmente per quanto concerne il secondo, la mia tendenza a ricercare parallelismi sistematici potrebbe indurmi a riconoscere al fondo del tema una qualche assonanza con il dibattito che si è avuto quando ci si chiedeva se la disciplina della fideiussione fosse tale da consentire il riconoscimento nel sistema di altre forme, allora atipiche, di garanzia personale prive del carattere della «accessorietà». Non credo, d'altra parte, che la distinzione fra finalità di «copertura» e di «speculazione» possa realmente consentire l'elaborazione di un criterio utilizzabile ai nostri fini, per distinguere [...]


9. 9. … e razionalità.