Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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I contratti attuativi di intese restrittive della concorrenza: un commento a Cassazione civile, sezioni unite, 30 dicembre 2021, n. 41994 (di Mario Libertini)


Il presente contributo si propone di individuare e valutare criticamente i tratti di fondo dell’antitrust Commento critico alla sentenza delle sezioni unite che si pronuncia su una questione posta, con esiti diversi in migliaia di controversie dinanzi a tutti i tribunali italiani: quella dei rimedi esperibili, da parte del fideiussore, nei confronti della banca che ha stipulato un contratto di fideiussione conforme a un modello proposto dall’associazione di categoria (ABI) e valutato dall’autorità amministrativa come contrario ai divieti antitrust. Le sezioni unite ritengono che il rimedio risarcitorio, che pur rimane esperibile, sia insufficiente a realizzare un’adeguata deterrenza. Per garantire l’effettività dei divieti antitrust dev’essere riconosciuta anche una nullità speciale dei contratti di fideiussione conformi al modello ABI. Questa conclusione dev’essere però contemperata con il principio di conservazione del contratto e va pertanto limitata a quelle clausole che l’autorità antitrust ha espressamente dichiarato contrarie al divieto delle intese. Secondo l’autore, questa conclusione sembra ispirata a ragioni di buon senso, ma non è fondata su rigorosi argomenti giuridici. A suo avviso, fatti i salvi i casi in cui la nullità del contratto “a valle” possa fondarsi sull’ac­certamento di un collegamento negoziale vero e proprio con l’intesa “a monte” e quelli in cui possa applicarsi la norma sull’abuso di dipendenza economica, il contratto a valle rimane valido e il terzo contraente può esperire solo un’azione di risarcimento del danno (se del caso, anche in forma specifica).

Parole chiave: concorrenza, fideiussione omnibus, nullità speciale per violazione di norme antitrust, contratti attuativi di intese restrittive della concorrenza, risarcimento del danno antitrust

Contracts following anti-competitive agreements: reflections on the decision of the Italian Supreme Court, joint sections, 30 December 2021, no. 41994

A critical commentary on the sentence of the Joint Sections of the Supreme Court that pronounces on a question posed, with different outcomes, in thousands of disputes before all Italian courts: that of the remedies that can be exercised, by the guarantor, against the bank that has stipulated a surety contract conforming to a model proposed by the trade association (ABI) and assessed by the administrative authority as contrary to antitrust prohibitions. The Joint Sections of the Supreme Court consider that the compensation remedy, although still available, is insufficient to achieve adequate deterrence. In order to guarantee the effectiveness of the antitrust prohibitions, a special nullity of surety contracts conforming to the ABI model must also be recognized. This conclusion must, however, be reconciled with the principle of conservation of the contract and must, therefore, be limited to those clauses which the antitrust authority has expressly declared contrary to the prohibition of anticompetitive agreements. According to the author, this conclusion seems to be inspired by common sense reasons, but is not based on rigorous legal arguments. In his opinion, except in cases where the nullity of the “downstream” contract can be based on the ascertainment of a real negotiating link with the “upstream” agreement and those in which the rule on abuse of economic dependence can be applied, the downstream contract remains valid and the third contracting party can only bring an action for damages (if necessary, also a specific remedy).

Keywords: competition, omnibus surety, special nullity for antitrust violation, contracts that contain competition-restricting agreements, antitrust damage compensation

Sommario/Summary:

1. La nullità parziale dei contratti a valle: una soluzione “mediana” accolta dalle sezioni unite della Cassazione, oltre che dal Collegio di coordinamento dell’ABF. - 2. La complessa motivazione delle sezioni unite. - 3. L’affermazione secondo cui la nullità dei contratti “a valle” sarebbe una nullità “speciale”, fondata sulle norme antitrust. - 4. Gli argomenti addotti a sostegno della nullità speciale. Un tentativo di confutazione analitica. - 5. La debolezza dell’argomento centrale, fondato sull’esigenza di giusta deterrenza. - 6. L’argomento della nullità parziale derivata da quella, altrettanto parziale, dell’intesa “a monte”. - 7. L’equivoco relativo alla pretesa dichiarazione di nullità di alcune clausole da parte dell’autorità amministrativa. - 8. Preferibilità di una soluzione del problema fondata sull’applicazione estensiva del rimedio risarcitorio. - 9. Osservazioni conclusive. - NOTE


1. La nullità parziale dei contratti a valle: una soluzione “mediana” accolta dalle sezioni unite della Cassazione, oltre che dal Collegio di coordinamento dell’ABF.

L’attesa pronuncia delle sezioni unite sul problema della nullità dei contratti “a valle” di intese restrittive della concorrenza ha scelto, come era prevedibile, la soluzione che afferma la nullità parziale di tali contratti, limitatamente a quelle clausole che sono state oggetto di censura nel provvedimento di condanna dell’autorità antitrust. Sono invece scartate sia la tesi della nullità totale del contratto a valle, sia quella della validità dello stesso, fatta salva l’e­speri­bilità del rimedio risarcitorio, da parte del contraente terzo, nei confronti delle imprese partecipanti al cartello [1]. La soluzione prescelta ha, a suo favore, il pregio delle soluzioni “intermedie”, che il buon senso fa ritenere spesso preferibili. Non a caso, nello stesso senso si erano pronunciati sia la maggior parte dei giudici di merito, sia il Collegio di Coordinamento dell’ABF, con decisione del 19 agosto 2020. Questa decisione era apparsa, invero, sbrigativa: argomentando dal fatto che i contratti a valle costituiscono parte integrante (momento esecutivo) del­l’intesa vietata, il Collegio arguiva la nullità di detti contratti, escludendo però che tale vizio colpisse anche le clausole contrattuali non restrittive della concorrenza. Le sezioni unite giungono alla stessa conclusione, con una motivazione che sviluppa quella dell’ABF ed è molto più articolata, anche se non lineare e qualche volta – purtroppo – non del tutto coerente. Anticipando le conclusioni di questo commento, può dirsi che la S.C. ha così indicato una soluzione di semplice applicazione, sostenuta da ragioni di equità e perciò probabilmente destinata ad essere condivisa senza resistenze dalla giurisprudenza di merito [2], ma non ha dato un’indicazione chiara sulla ratio di questa soluzione; e ciò fa presagire, oltre ad una probabile diversità di commenti dottrinali, nuovi problemi applicativi, con riferimento alle numerosissime controversie pendenti in materia di fideiussioni bancarie, spesso riguardanti contratti sempre più distanti, sul piano temporale, dall’ormai risalente provvedimento di condanna degli schemi ABI (risalente al maggio 2005).


2. La complessa motivazione delle sezioni unite.

Prima di formulare qualche riflessione critica, conviene cercare di ripercorrere la (complessa) motivazione delle sezioni unite, cercando di schematizzarne gli argomenti, nella stessa consecuzione con cui questi sono esposti nel testo della sentenza: a)  la motivazione inizia enunciando, in sintesi, la ragione di fondo: la soluzione della nullità parziale è quella «più in linea con le finalità e gli obiettivi della disciplina antitrust» (par. 2.11); b)  si enuncia poi il dissenso dalle conclusioni del P.G., che aveva aderito alla tesi secondo cui, avendo i contratti a valle causa ed oggetto autonomi rispetto all’intesa “a monte”, non potesse dichiararsi la nullità derivata degli stessi e dovesse ammettersi soltanto il rimedio risarcitorio; secondo le sezioni unite, questa tesi è inaccettabile perché i contratti a valle costituiscono momento realizzativo degli effetti dell’intesa vietata e quindi dovrebbero avere il medesimo trattamento giuridico di questa (compresa la tutela definita come “reale”); da qui il fondamento di un’interpretazione estensiva dell’espressione «nullità a ogni effetto» dell’art. 2, terzo comma, l. n. 287/1990, estesa ai contratti a valle, che viene accolta nella sentenza (par. 2.12); c)  la tesi – accolta dal P.G. – che ammette la sola tutela risarcitoria, va comunque respinta perché (i)   contraria a (quasi tutti) i precedenti della S.C. successivi a Cass., sez. un., n. 2207/2005; (ii)  «per ragioni inerenti alle specifiche finalità della normativa antitrust»: questa, infatti, tutela il mercato in senso oggettivo, mentre il rimedio risarcitorio tutela solo l’interesse individuale della parte lesa; il rimedio della nullità tutelerebbe invece, in via generale, la trasparenza e la correttezza del mercato; (iii) dunque, «l’obbligo del risarcimento non ha un’efficacia dissuasiva significativa per le imprese che hanno aderito all’intesa» (par. 2.13); d)  nel diritto europeo «non vi è nessuna lettura obbligata dell’art. 101 T.F.U.E. che consenta di far rientrare automaticamente nella nozione di intesa vietata la contrattazione a valle»; tuttavia (come sancito da Comm. 93/50), gli Stati membri devono assicurare, prevedendo rimedi appropriati, il rispetto del [...]


3. L’affermazione secondo cui la nullità dei contratti “a valle” sarebbe una nullità “speciale”, fondata sulle norme antitrust.

Si può adesso tentare un’analisi critica di questa motivazione, cercando di inquadrare sistematicamente vari passaggi che, nella stessa, sono esposti in modo un po’ rapsodico. La sentenza sarà probabilmente letta da molti muovendo dall’esistenza di tre possibili soluzioni (nullità integrale del contratto a valle; nullità delle sole clausole espressamente censurate dall’autorità antitrust; rimedio risarcitorio) e giungendo alla conclusione che la sentenza ha scelto la soluzione intermedia, all’esito di un’ampia motivazione sulla preferibilità della stessa. In realtà, per una compiuta valutazione della sentenza, si deve muovere – a mio avviso – da quella che è stata l’alternativa che, sul piano sistematico, ha attraversato tutta la discussione sulla nullità dei contratti “a valle”: se la questione trovi una soluzione all’interno della disciplina antitrust, sulla base di un’interpretazione delle relative norme alla luce del principio di effettività, o se invece, dovendosi ritenere che manchi una norma antitrust specifica sul punto, il problema debba essere affrontata alla stregua delle norme generali sulla nullità dei contratti (lasciando che il problema dell’effettività – i.e. di previsione di rimedi in grado di realizzare un concreto effetto dissuasivo – venga risolto mediante norme agevolatrici del rimedio risarcitorio, sulla base delle indicazioni dettate dalla direttiva 2014/104/UE). Di fronte a questo dilemma, la soluzione accolta dalle sezioni unite è, apparentemente, netta: la nullità dei contratti “a valle” è una nullità “speciale”, disposta dalla disciplina antitrust per ragioni di ordine pubblico economico (supra, punto g). Ciò implica il riconoscimento della mancanza, nella disciplina generale dei contratti, di ragioni che possano giustificare una dichiarazione di nullità dei contratti “a valle” (punto su cui la sentenza si sofferma solo incidentalmente, nel punto sopra elencato sub h) [4]. Si tratterebbe, invero, di una nullità testuale, perché la ratio propria delle norme antitrust giustificherebbe un’interpretazione estensiva della nozione di «nullità ad ogni effetto», di cui all’art. 2, l. n. 287/1990 (supra, punto b). Invero, la [...]


4. Gli argomenti addotti a sostegno della nullità speciale. Un tentativo di confutazione analitica.

Posto, dunque, che le norme di diritto privato generale non consentirebbero di predicare la nullità dei contratti a valle [5], quali sono, dunque, le ragioni «di ordine pubblico economico», che imporrebbero di interpretare estensivamente la norma antitrust sulla nullità delle intese anticoncorrenziali? La sentenza ne indica diverse: l’obbligo di risarcimento del danno, da solo, non ha una sufficiente efficacia dissuasiva sulle imprese partecipanti all’intesa [supra, punto c) (iii)]; i contratti a valle sono momenti esecutivi della condotta illecita, avviata con la conclusione dell’intesa a monte; essi costituiscono dunque parte integrante dell’illecito antitrust e, pertanto, devono avere lo stesso trattamento giuridico dell’intesa a monte (supra, punto b); lo stesso argomento è ripresentato anche con una variante: i divieti antitrust colpiscono comportamenti negoziali e non negoziali: in questo quadro, essi incidono, in tutta la loro portata (compresa la sanzione della nullità), su tutti i comportamenti collegati funzionalmente all’intesa di base, ivi compresi i contratti a valle, anche se non collegati causalmente all’intesa principale (supra, punto f); il rimedio risarcitorio incide solo sull’interesse economico individuale del danneggiato, mentre il rimedio della nullità inciderebbe oggettivamente sulla trasparenza e correttezza del mercato [supra, punto c) (ii)]; le indicazioni del diritto europeo (Comm. CE, 23 novembre 1992, 93/50/CEE, Astra, par. 33), sono nel senso che la validità ed efficacia dei contratti a valle dev’essere temperata, alla luce del principio di effettività (supra, punto d); il riconoscimento della nullità dei contratti a valle è sancito dalla quasi unanime giurisprudenza della Suprema Corte, a cominciare dalla pronuncia delle sez. un. n. 2207/2005. Questo insieme di ragioni rappresenta il nucleo centrale della motivazione; le singole ragioni meritano dunque un esame attento, che cercheremo di svolgere commentandole in senso inverso, cominciando dall’ultima. Sub E. L’argomento è di grande interesse, sul piano socioculturale. Sono ormai frequenti, anche nella giurisprudenza della Cassazione, queste argomentazioni autoreferenziali, in cui si prende sul serio l’assunto secondo cui la “giurisprudenza”, o almeno “il diritto vivente”, o – [...]


5. La debolezza dell’argomento centrale, fondato sull’esigenza di giusta deterrenza.

Non c’è dubbio che una soluzione di tal tipo realizzerebbe la massima deterrenza, nei confronti delle intese a monte. Viceversa, se si guarda alla nullità parziale, l’argomento relativo alla ritenuta insufficienza dissuasiva del rimedio risarcitorio potrebbe essere ripreso, sostanzialmente negli stessi termini: questo rimedio fa venir meno, per le banche, la possibilità di avvalersi di alcune clausole vantaggiose, ma lascia integra, nella maggior parte dei casi, la fideiussione. Il risultato è che l’effetto “punitivo” della misura si attenua grandemente. La tesi estrema della nullità totale dei contratti a valle potrebbe però sostenersi solo sull’idea di una particolare riprovevolezza etica delle intese restrittive della concorrenza. Non è escluso che un tale giudizio possa formularsi nei confronti di alcuni cartelli, volti ad aumentare i prezzi di beni di prima necessità. Un tale giudizio non potrebbe essere però generalizzato, sì da comprendere tutte le intese restrittive della concorrenza: i divieti antitrust contengono fattispecie dai contorni indeterminati e molti casi concreti comportano oggettive incertezze qualificatorie. Per di più, gli interessi perseguiti dai partecipanti al­l’intesa sono spesso sì contrari all’efficienza dinamica dei mercati, ma mirano a risultati di stabilità dei mercati stessi, che possono criticarsi sul piano del­l’efficienza, ma non per questo possono definirsi immorali. Infatti, le sezioni unite, su questo punto cruciale, prendono una direzione opposta: affermano espressamente che l’efficacia dissuasiva del rimedio della nullità dev’essere temperata con il legittimo interesse delle banche (cioè delle imprese partecipanti al cartello) alla conservazione, per quanto possibile, delle fideiussioni acquisite. Questo riconoscimento esclude un giudizio di eccezionale riprovevolezza della condotta delle banche e dovrebbe, per ciò stesso, escludere la necessità di pensare a rimedi extra ordinem di carattere punitivo, come quello che sarebbe costituito dalla nullità integrale del contratto a valle. Del resto, contro la soluzione della nullità integrale del contratto a valle, la sentenza espone anche un altro argomento (supra, punto h), finora poco utilizzato nelle discussioni in materia: per opinione unanime, risalente a una [...]


6. L’argomento della nullità parziale derivata da quella, altrettanto parziale, dell’intesa “a monte”.

In realtà, il ragionamento della sentenza commentata, una volta rilevata la nullità parziale dell’intesa a monte, prende una direzione diversa da quella poco sopra prospettata: dal rilievo della nullità parziale dell’intesa a monte essa deduce che la nullità parziale può e deve pronunciarsi, negli stessi termini, per le sole clausole censurate nell’intesa a monte e riprodotte nei contratti a valle. Il ragionamento presenta, a mio avviso, un vizio: non considera che le clau­sole dell’intesa a monte possono essere censurate per due ragioni diverse: perché oggettivamente restrittive della concorrenza (per es. un patto di boicottaggio) o perché comportano un’artificiosa uniformazione (o differenziazione) delle condotte di più imprese su contenuti contrattuali che, presi isolatamente, sarebbero perfettamente leciti. La distorsione della concorrenza sta qui nell’ar­tificiosa uniformazione o differenziazione, non nel contenuto intrinseco delle condizioni contrattuali concertate. Questa seconda ipotesi è la più frequente, ed è quella che si verifica nella vicenda delle fideiussioni bancarie. In questa prospettiva, il parlare di illiceità di una clausola, di per sé lecita, sol perché non è frutto di contrattazione individuale ma risponde a un modello uniforme concertato “a monte”, non appare una conclusione lineare. In realtà, l’argomentazione – anch’essa centrale, nella sentenza – è fondata su un assunto non corretto, e cioè che certe clausole del modello di fideiussione ABI siano state censurate dall’autorità antitrust perché intrinsecamente inique, alla stessa stregua di ciò che accade per le clausole vessatorie nei contratti dei consumatori o per le clausole “eccessivamente squilibrate” nei contratti conclusi dall’impresa dipendente. Le clausole in questione, in realtà, sono state censurate non perché intrinsecamente illecite, ma perché, mediante l’uniformazione delle condizioni praticate da tutte le banche, impedivano l’insorgere di una concorrenza fra banche fondata sull’offerta di condizioni negoziali più favorevoli ai fideiussori. Il fatto che il patto di uniformazione fosse stato raggiunto su soluzioni negoziali sempre sfavorevoli per i clienti aggrava [...]


7. L’equivoco relativo alla pretesa dichiarazione di nullità di alcune clausole da parte dell’autorità amministrativa.

Questi rilievi segnalano la maggiore criticità, nell’interpretazione della sentenza delle sezioni unite. Se non esiste una dichiarazione di nullità erga omnes a monte, e le clausole contestate sarebbero valide se fossero frutto di negoziazione individuale (o fossero inserita in una fideiussione specifica, anziché in una fideiussione omnibus [23]), l’anomalia, che il fideiussore può lamentare, si ha solo se si prova una artificiosa concertazione, fra tutte le imprese interessate, nell’inserire determinate clausole nei contratti a valle. Più precisamente, l’anomalia consiste in ciò: a) nell’esistenza di una concertazione “a monte”, per cui tutte le banche hanno uniformato le proprie condotte contrattuali, inserendo nei contratti di fideiussione clausole identiche, sfavorevoli agli interessi dei clienti; b) nel fatto che tale concertazione privi il cliente/fideiussore della chance consistente nella possibilità di scegliere una banca che, al fine di acquisire maggiore clientela, pratichi condizioni più favorevoli con i clienti. Nella specie, il rapporto su cui la Cassazione si è trovata a giudicare comprendeva due contratti di fideiussione, uno antecedente ed uno successivo al provvedimento dell’autorità antitrust che aveva censurato determinate clausole. La seconda fideiussione era dunque intervenuta in un momento in cui la delibera ABI, censurata in sede antitrust, aveva esaurito i suoi effetti, avendo l’ABI ottemperato all’ordine di cessazione ricevuto. Si poneva dunque il problema se la seconda fideiussione potesse considerarsi anch’essa frutto di una concertazione fra banche, mediata dalla deliberazione dell’associazione di categoria. La sentenza sfiora appena il problema, per affermare (supra, punto i) che la censura dell’autorità antitrust (che, per la sentenza, è una «dichiarazione di nullità») si estenderebbe a contratti a valle stipulati anche dopo l’ordine di cessazione e la relativa ottemperanza. L’affermazione, pur se sbrigativa, ha una sua plausibilità. Può ritenersi infatti che, per un effetto inerziale, le condotte uniformi delle imprese continuino anche dopo la cessazione di efficacia della deliberazione associativa che vi aveva dato origine. In una prospettiva sostanzialistica, qual è quella propria del diritto [...]


8. Preferibilità di una soluzione del problema fondata sull’applicazione estensiva del rimedio risarcitorio.

Impostata la questione nei suoi giusti termini, credo che si debba ribadire che la soluzione della nullità generalizzata dei contratti a valle (totale o parziale che sia) non ha solido fondamento, né nel diritto antitrust, né nel diritto privato generale. Il problema che residua è invece quello della determinazione del danno che la concertazione (che si suppone provata) abbia arrecato al fideiussore. Il danno consiste nella perdita della chance di trovare sul mercato offerte di fideiussione a condizioni più convenienti. Danno puramente economico, ma certamente risarcibile nella sua interezza, alla stregua delle indicazioni di principio della direttiva europea, recepita nel d.lgs. n. 3/2017. I problemi di traduzione di questa ragionevole aspettativa patrimoniale (trovare e scegliere sul mercato condizioni di fideiussione meno rischiose) in una somma di denaro atta a fungere da risarcimento per equivalente, o da base razionale per una liquidazione equitativa del danno, sono di difficile soluzione. Ma non si tratta certo di una sorpresa, perché problemi analoghi si riscontrano in diversi altri campi, in materia di liquidazione del danno antitrust [26]. In realtà, una via percorribile, per giungere a risultati più favorevoli ai fideiussori danneggiati, sarebbe quella di ricorrere alla riparazione del danno in forma specifica (non esclusa dall’art. 33, l. n. 287/1990, che parla genericamente di «risarcimento del danno») ed ammettere, in una prospettiva di applicazione molto estensiva del rimedio risarcitorio specifico, che questo possa consistere anche in ordini di cessazione della facoltà di avvalersi di determinate clausole inique concertate, o di obbligare l’impresa partecipante al cartello ad una rinegoziazione della clausola stessa. Si tratta di una prospettiva che, per quanto suscettibile di valorizzazione sulla scorta del principio di effettività (anche in funzione della decisione della Commissione europea, di cui prima si è discusso), è lontana dallo stato del diritto vivente, in materia di applicazione concreta dell’art. 2058 c.c., ed è anche lontana dall’esperienza della dottrina sul risarcimento del danno antitrust, che poco e niente si occupa dell’ipotesi di esperimento del rimedio della riparazione in forma specifica. Tuttavia, se la sanzione civilistica appropriata, in materia di contratti “a [...]


9. Osservazioni conclusive.

Ci sono quindi comprensibili ragioni per prevedere che, nell’opinione mainstream, la soluzione dell’esperibilità del rimedio puramente risarcitorio, in ordine ai contratti a valle, appaia, nella materia delle fideiussioni bancarie, insoddisfacente [28]. Da qui la probabilità di conferma, nella giurisprudenza di merito, del “principio di diritto” affermato dalle sezioni unite [29]; e ciò anche se questo “principio” si regge su basi giuridiche malferme. Si tratta però di un caso in cui il diritto antitrust è stato chiamato a svolgere un’opera di supplenza rispetto alle carenze di una regolazione, che avrebbe il potere di intervenire direttamente su pratiche negoziali ritenute inique, e non lo ha fatto. Per non dire poi che, a fronte di clausole inique, in quanto tali, i rimedi in termini di giustizia contrattuale, largamente discussi oggi come problema generale di diritto privato (e particolarmente attuali in relazione ai contratti d’impresa) potrebbero fornire una via più diretta di protezione degli interessi del contraente “debole” leso, rispetto a quanto sta avvenendo con la “scorciatoia” di un’applicazione discutibile delle norme antitrust. In conclusione, osserverei che tutta la questione, giunta alla pronuncia delle sezioni unite, è strettamente legata alla peculiarità della materia delle fideiussioni bancarie e ad una valutazione di iniquità di determinate clausole ricorrenti in tali fideiussioni (clausole di “sopravvivenza”, di “reviviscenza”, di deroga al termine di cui all’art. 1957 c.c.); valutazione che, al di là del profilo antitrust vero e proprio, appariva già nel provvedimento di Banca d’Italia del 2005 e nel relativo parere dell’AGCM. Questa considerazione costituisce un giudizio di valore che dà sostegno alla tesi della nullità parziale di queste (sole) clausole, ora accolta dalla S.C. Sorgono però serie perplessità di fronte all’idea di una generalizzazione della soluzione a tutta la materia antitrust [30]. Concluderei, in proposito, con un’osservazione “sociologica”: le condanne di cartelli, da parte della Commissione UE e dell’AGCM, sono numerose; e così pure le azioni di danni. Il problema della nullità dei contratti a valle (che, teoricamente, investe [...]


NOTE