Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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Il diritto della concorrenza in tempi di crisi economica (di Mario Libertini)


E' opinione diffusa che, in tempi di crisi economica, l'applicazione delle norme antitrust subisca un rallentamento spontaneo. Cioè, per la presunzione di legittimita che si è indotti ad attribuire al senso comune, induce anche a pensare che questo rallentamento sia anche giustificato. Ambedue le proposizioni richiedono però un approfondimento: si quella riguardante il dato storico, sia quella riguardante la giustificazione e la possibile razionalizzazione di regole antitrust speciali per i tempi di crisi.

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Sul piano storico, l'idea del freno all'antitrust nei periodi di crisi è avvalorata dall'esperienza traumatica che toccò la politica della concorrenza negli Stati Uniti nei primi anni della Grande Depressione e del New Deal. Nel marzo del 1933, la Corte Suprema decideva il caso Appalachian Coal(2), riconoscendo la compatibilità con lo Sherman Act - in applicazione della rule of reason - di un tipico cartello difensivo tra produttori di carbone. Nel giugno dello stesso anno, era approvato il National Industrial Recovery Act, che disponeva una generale esenzione dalle norme antitrust per tutti gli accordi economici di settore approvati da un'apposita autorità indipendente e volti a stabilire codici di condotta interessanti tutti gli operatori del settore medesimo (imprese, grandi e piccole, e lavoratori: il modello - a parte le debite differenze del quadro politico generale - non era molto diverso da quello che, nello stesso tempo, si affermava nel diritto corporativo italiano). Nei due anni successivi furono sottoscritti ed approvati più di 1.000 codici di condotta(3).

L'anno successivo (1934), un giuscommercialista italiano, scrivendo una monografia sui cartelli(4), si spingeva a presentare la legge antitrust americana, in un quadro comparatistico, come un'esperienza estremistica di repressione dei cartelli, che però la saggia politica del presidente Roosevelt stava opportunamente correggendo, riportando anche il diritto americano alla più "moderna" visione, tendenzialmente favorevole ai cartelli, che in quel momento dominava in Europa(5).

L'anno dopo ancora (1935) la Corte Suprema americana dichiarava incostituzionale il National Industrial Recovery Act (6). La decisione non si fondava, invero, su ragioni di politica della concorrenza, ma su una più generale esigenza di limitazione dell'intervento pubblico sull'autonomia privata. I giudici mostravano preoccupazione verso una legge che consentiva ad un'autorità indipendente, senza alcun reale criterio limitativo, di attribuire efficacia erga omnes ad accordi economici collettivi di varia natura. In realtà, sembra che la sentenza della Corte Suprema sia venuta a ratificare una crisi latente del sistema creato dal N.R.A., minato dall'esplosione di conflitti interni relativi all'applicazione degli accordi e dalla scarsa autorevolezza dell'Authority costituita in pochissimo tempo con il compito immenso di esercitare una funzione dirigistica sull'intera economia americana(7).

Negli anni seguenti, la politica del New Deal abbandonò il modello del dirigismo corporativo generale e piegò verso interventi e regolazioni di settore, autonomizzando e sostenendo, in primo luogo, il potere dei [continua..]