Nell’ambito della disciplina del concordato di gruppo, contenuta nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019), la teoria dei vantaggi compensativi è richiamata espressamente dalle norme contenute negli artt. 284 e 285 c.c.i.i. Il saggio offre un’analisi di tali norme, che vengono indagate in una prospettiva unitaria, attraverso la “lente” dei vantaggi compensativi, muovendo dall’ipotesi che tra le stesse vi sia un trait d’union costituito dal possibile plusvalore complessivo, di natura patrimoniale, estraibile con il concordato di gruppo non conseguibile invece con procedure autonome. L’indagine è tesa a verificare che tale plusvalore possa costituire la fonte comune dalla quale attingere, con operazioni redistributive, per i vantaggi compensativi di cui agli artt. 284, quarto comma e 285, secondo, quarto e quinto comma, c.c.i.i.
In the context of the group arrangement procedure, as outlined in the Italian Code of Crisis and Insolvency (Legislative Decree No. 14 of 12 January 2019, hereinafter, I.C.C.), the theory of compensatory benefits is explicitly addressed in Articles 284 and 285, I.C.C. The article provides an analysis of these rules, examining them from a unified perspective, through the ‘lenses’ of compensatory benefits. The analysis starts from the hypothesis that a common thread links these provisions: the potential for an overall patrimonial surplus that can be extracted with the group arrangement procedure – and could not be achieved with stand-alone procedures. The investigation aims to establish that this surplus value may serve as a shared source from which compensatory benefits, as per Article 284(4), and Article 285 (2), (4), and (5) I.C.C., can be drawn through redistributive transactions.
Maria Di Sarli, Professoressa associata di diritto commerciale, Università degli studi di Torino
1. I vantaggi compensativi come lente di lettura delle norme sul concordato di gruppo. Coordinate dell’indagine. - 2. Le condizioni di ammissibilità del concordato di gruppo. - 2.1. Una possibile procedura di verifica delle condizioni di ammissibilità del concordato di gruppo. - 2.2. La tesi della teoria dei vantaggi compensativi quale legal strategy per ampliare i casi di ammissibilità del concordato di gruppo. - 2.3. Alcuni spunti per la quantificazione del beneficio conseguibile con il concordato di gruppo. - 3. I vantaggi compensativi e i trasferimenti di risorse infragruppo. - 4. La distribuzione del plusvalore conseguibile con il concordato di gruppo fra limiti e criteri. - 5. I vantaggi compensativi e la contestazione del piano. - NOTE
Nell’ambito della disciplina del concordato di gruppo, contenuta nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019), la teoria dei vantaggi compensativi è richiamata espressamente in due articoli (artt. 284 e 285 c.c.i.i.) [1], entrando così, formalmente, per la prima volta, nel dato normativo. Anzitutto, i vantaggi compensativi sono evocati dall’art. 284, quarto comma, c.c.i.i., ai fini della verifica delle condizioni di ammissibilità del concordato unitario in alternativa a singole procedure separate, seppur condotte in modo coordinato ai sensi dell’art. 288 c.c.i.i. Secondariamente, i vantaggi compensativi vengono in considerazione all’art. 285, secondo comma, c.c.i.i. per la definizione del contenuto del piano o dei piani concordatari reciprocamente collegati o coordinati e precisamente con riferimento alle operazioni contrattuali o riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo, necessarie per la continuità delle imprese a favore delle quali essa è prevista e il cui compimento è ammesso a condizione che le stesse risultino «coerenti con l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo, tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese». Infine, in virtù di quanto stabilito dall’art. 285, quarto e quinto comma, c.c.i.i., i vantaggi compensativi assumono rilievo in ipotesi di contestazione del piano da parte dei creditori o dei soci, quali elementi di cui il tribunale deve «tenere conto» al fine di omologare o meno il concordato. La strategia legale dei vantaggi compensativi [2], dunque, dopo essere stata sperimentata nella disciplina civilistica (art. 2497, c.c.) e in quella penalistica (art. 2634, c.c.) [3], adesso, come accennato, viene largamente impiegata anche nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, peraltro non solo con riferimento al concordato di gruppo (art. 284, quarto comma e art. 285, commi secondo, quarto e quinto, c.c.i.i.) [4], ma anche alla liquidazione giudiziale (art. 290, primo comma, c.c.i.i.). Questo “trapianto” ha attirato subito l’attenzione degli interpreti [5]. Cionondimeno, le nuove disposizioni in materia di crisi e insolvenza sopra richiamate sembrano essere state analizzate per lo più “a comparti stagni”, [...]
È opinione condivisa che la disciplina della crisi dei gruppi di imprese rappresenti una delle novità più significative del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il cui elemento caratterizzante, in aderenza a quanto previsto dalla legge delega (l. n. 155 del 19 ottobre 2017), consiste nell’aver espressamente introdotto la possibilità di gestire la crisi di un gruppo di imprese in una logica unitaria in alternativa ad una atomistica, con un approccio teso, per un verso, a valorizzare l’unità, sotto il profilo economico e organizzativo e, per altro verso, a rispettare i limiti della forma plurisoggettiva del gruppo [10]. L’opzione è volta ad offrire l’opportunità di cogliere, ove esistano, i benefici derivanti da una gestione unitaria delle procedure di reazione alla crisi del o nel gruppo, a prescindere dalla loro finalità di risanamento e continuità aziendale ovvero di liquidazione [11], che andrebbero invece persi attraverso una gestione separata [12]. L’esercizio di tale opzione non è tuttavia libero, ma deve essere compiuto: a) ai fini del «migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese» (cfr. art. 284, quarto e quinto comma e art. 287, primo comma, c.c.i.i.), rispetto all’ipotesi di procedure autonome, e b) «ferma restando l’autonomia delle rispettive masse attive e passive» (art. 284, terzo comma e art. 287, primo comma, c.c.i.i.). Sembrano questi i capisaldi, le clausole generali, della disciplina della crisi dei gruppi, che fissano, al contempo, il finalismo dominante da perseguire e i limiti da rispettare nell’applicazione delle restanti norme, le quali dunque si collocano, gerarchicamente, ad un livello inferiore. Nello specifico, per l’ammissione al concordato di gruppo, a norma dell’art. 284, quarto comma, c.c.i.i., è necessario che sussistano «ragioni di maggiore convenienza, in funzione del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, della scelta di presentare un piano unitario ovvero piani reciprocamente collegati o coordinati, invece di un piano autonomo per ciascuna delle società». Tali ragioni, oltre a dover essere illustrate e motivate con modalità narrative, devono anche trovare una “traduzione” numerica. Il piano o i piani reciprocamente collegati o coordinati, [...]
Come già accennato, a norma dell’art. 284, quarto comma, c.c.i.i. la scelta a favore del concordato di gruppo, in alternativa a singole procedure autonome, deve essere compiuta e motivata in relazione all’esistenza di «ragioni di maggiore convenienza» [15]. Conseguentemente, essa, limitatamente ai profili patrimoniali, sembra che postuli il confronto, a livello consolidato, ossia in capo al gruppo, fra i risultati conseguibili per ognuna delle due differenti soluzioni, per verificare che dal concordato di gruppo sia estraibile un beneficio patrimoniale [16]. Per riuscire a compiere un siffatto confronto occorre svolgere – in parallelo – due attività: 1) elaborare il piano di gruppo[17]; 2) individuare, per ogni singola impresa, la procedura (conservativa o liquidatoria) che verrebbe svolta nell’ipotesi di gestione separata della crisi o dell’insolvenza. A questo punto, l’attività successiva, particolarmente complessa, consiste nella stima – per ciascuna delle n imprese partecipanti al piano – del risultato atteso (comprensivo del costo della procedura) con il concordato unitario e con una procedura separata. Se la differenza fra i due risultati è positiva, il concordato di gruppo dà origine ad un surplus di risorse; al contrario, se la differenza è negativa, comporta un minusvalore [18]. La somma algebrica dei risultati delle n imprese aderenti al concordato unitario consente di ottenere il beneficio patrimoniale complessivo netto del concordato di gruppo. Si tratta di un valore in cui vengono “consolidati” anche i risultati delle eventuali operazioni infragruppo poste in essere in esecuzione del piano concordatario. In questo senso, eventuali vantaggi compensativi suscettibili di originarsi come effetto economico della complessiva gestione aggregata della crisi, contrapposti ai corrispondenti pregiudizi, sostanzialmente, si neutralizzano [19]. Se questa constatazione è corretta, ne deriva che i vantaggi compensativi, se non limitatamente a possibili resti (in caso di vantaggi più che compensativi) non sono componenti del plusvalore di gruppo, in quanto, dal complessivo valore dei vantaggi, la parte destinata a compensare i pregiudizi eventualmente inferti con la procedura di gruppo, va sottratta [20], per determinare il beneficio netto. I vantaggi compensativi, pur non essendo elementi [...]
La ricostruzione interpretativa proposta – secondo la quale la teoria dei vantaggi compensativi, richiamata dall’art. 284, quarto comma, c.c.i.i., postulerebbe oltre alla possibilità di pianificare in modo maggiormente elastico il piano concordatario anche quella di redistribuire il plusvalore complessivo conseguibile con un concordato unitario fra le imprese aderenti al piano – sembra aderente anche alla lettera della norma [27]. L’art. 284, quarto comma, c.c.i.i., infatti, è suscettibile di essere letto nel senso che il «beneficio stimato per i creditori di ciascuna impresa del gruppo» è ricavabile «anche per effetto della sussistenza di vantaggi compensativi» e quindi che per ciascuna impresa aderente al piano, il surplus di risorse di cui è possibile beneficiare grazie ad una procedura unitaria possa essere conseguito direttamente, ossia come effetto economico dell’esecuzione del piano nonché, tutto o in parte, «anche per effetto» di vantaggi compensativi, derivanti da uno storno del surplus di risorse prodotto da altre imprese aderenti al concordato. Secondo questa lettura, il maggior valore di cui la singola impresa può beneficiare con il concordato di gruppo rispetto alla procedura separata potrebbe quindi avere natura spuria, nel senso che esso potrebbe intendersi costituito sia da vantaggi conseguiti “direttamente” sia da vantaggi ottenuti “indirettamente”, precisamente sotto forma di vantaggi compensativi derivanti dalla redistribuzione del plusvalore lordo di gruppo [28]. In altre parole, in base a tale ricostruzione, i vantaggi compensativi cui fa riferimento il legislatore all’art. 284, quarto comma, c.c.i.i. (ma anche all’art. 285, secondo, quarto e quinto comma, c.c.i.i.) sono, per un verso, possibili fonte del plusvalore conseguibile con un concordato di gruppo qualora risultino funzionali all’effettuazione di operazioni maggiormente efficienti [29]; per altro verso, dal plusvalore traggono fonte quando sono costruiti ad hoc, ossia mediante la sua redistribuzione fra le imprese aderenti al piano [30], anzitutto, se necessario, per reintegrare il valore della massa attiva di quelle imprese che hanno programmaticamente subito un deficit, così da rispettare il precetto della integrità delle masse attive e passive e, secondariamente, per assicurare a [...]
Stabilito, come si crede, che i vantaggi compensativi ex art. 284, quarto comma, c.c.i.i. possano consistere anche in redistribuzioni del beneficio di natura patrimoniale complessivo lordo conseguibile con il concordato di gruppo, resta da indagare come tale beneficio possa essere quantificato. A tal fine, il primo elemento che viene in considerazione è il fatto che l’art. 284, quarto comma, c.c.i.i. si riferisca ad un beneficio «per i creditori», pertanto deve ritenersi che esso possa essere costituito solamente da elementi idonei a soddisfare le pretese di tali soggetti, mentre nessuna rilevanza può essere attribuita, per esempio, a vantaggi ritraibili dai soci oppure dai dipendenti. In tale prospettiva, sembra che dei criteri per l’individuazione degli elementi che possono essere “conteggiati” ai fini della quantificazione di un siffatto beneficio possano essere tratti: i) dall’art. 84, terzo comma, c.c.i.i., dove, con riferimento al concordato con continuità, si prevede che i creditori sono soddisfatti mediante una «utilità specificatamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o il suo dante causa», e ii) dall’art. 87, c.c.i.i. dove invece è specificato che la soddisfazione dei crediti può avvenire attraverso «qualsiasi forma anche mediante cessione di beni, accollo, altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori nonché a società da queste partecipate di azioni, quote, ovvero obbligazioni anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito». Sulla base di tali disposizioni, il beneficio di cui si discorre sembra che possa essere costituito solamente da “utilità” astrattamente monetizzabili, suscettibili di incrementare la soglia di soddisfacimento dei creditori e in grado di prodursi entro la data di attuazione del piano [39]. Così ragionando, i benefici del concordato di gruppo, non conseguibili con procedure autonome, si può ipotizzare che derivino dalla conservazione dell’unità del gruppo e, quindi, dalla possibilità di godere di sinergie e di economie di scala (in particolare sotto forma di risparmi di spesa grazie alla non duplicazione di procedure e strutture) e più in generale dalla [...]
Nell’ambito della disciplina del concordato di gruppo, la teoria dei vantaggi compensativi viene richiamata altresì dall’art. 285, secondo comma, c.c.i.i. laddove è stabilito che il piano o i piani concordatari possano prevedere il compimento di operazioni contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo purché un professionista indipendente attesti che dette operazioni sono necessarie ai fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è prevista nel piano e coerenti con l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese. Il riferimento ai «trasferimenti di risorse» ha fatto dell’art. 285, secondo comma, c.c.i.i. una delle disposizioni in materia di crisi dei gruppi maggiormente discusse, avendo sollevato questioni di varia natura che vanno dall’eccesso di delega e dunque all’incostituzionalità, all’incompatibilità con l’art. 2740, c.c., al contrasto con la clausola generale della separazione delle masse attive e passive [50]. Si potrebbe però tentare di superare tutte queste obiezioni mediante una lettura dell’art. 285, secondo comma, c.c.i.i. non isolata, ma coordinata con quella dell’art. 284, quarto comma, c.c.i.i. e quindi muovendo dalla considerazione che siffatte operazioni sono contenute nel piano fin dalla sua proposta e che dunque devono superare anch’esse, a monte, la procedura di verifica delle condizioni di apertura del concordato [51], prendendo in considerazione le possibili redistribuzioni del plusvalore estraibile dal concordato sotto forma di vantaggi compensativi, per consentire il rispetto del principio di autonomia delle masse attive e passive [52], nonché, qualora se ne ritenga conferente l’applicazione, anche di quello sancito dall’art. 2740 c.c. [53]. Con riferimento alle operazioni di cui si discute – se necessarie per assicurare la continuità aziendale delle imprese per le quali essa è prevista nel piano – non sembra che si pretenda che le stesse siano capaci di generare un beneficio di carattere patrimoniale, concorrendo così all’incremento del plusvalore conseguibile con il concordato di gruppo [54]. La norma, più semplicemente, sembra esigere che le [...]
Con riferimento al plusvalore derivante dal concordato di gruppo non sono stabilite norme speciali per la sua distribuzione, pertanto si ritiene che vengano in considerazione le regole dettate per il concordato preventivo [71]. Quest’affermazione, alla luce delle considerazioni più sopra svolte, sembra che possa però venire meglio precisata. Se è corretta la tesi sostenuta in questo lavoro, secondo la quale, nel caso in cui sussistano ragioni di maggiore convenienza, è possibile infliggere un danno ad un’impresa del gruppo e, laddove dal concordato unitario non si originino spontaneamente vantaggi compensativi “diretti”, riparare tale danno mediante una redistribuzione del plusvalore complessivo, ne consegue che da tale plusvalore debba essere prioritariamente prelevata la quota necessaria per reintegrare la consistenza patrimoniale di una o più imprese del gruppo, eventualmente intaccata in esecuzione della procedura unitaria, per esempio per effettuare trasferimenti di risorse necessari per garantire la continuità aziendale di alcune imprese o più in generale per rendere possibile il concordato di gruppo altrimenti precluso [72]. In questo senso, solo la parte residua del plusvalore potrebbe essere effettivamente ripartita liberamente fra le imprese che hanno aderito al concordato [73], stante l’assenza di un obbligo di ripartizione secondo criteri di parità di trattamento o di proporzionalità [74]. Accogliendo la tesi dell’ottimo paretiano, tale libertà potrebbe spingersi persino fino a distribuire tale plusvalore solamente fra alcune imprese e non tutte. Invero, l’art. 284, quarto comma, c.c.i.i., come già più volte evidenziato, sembra esigere che ogni singola impresa che ha partecipato al concordato tragga un plusvalore a beneficio dei propri creditori. Tale modo di procedere, oltre che aderente al dato letterale, sembra spiegabile anche dal punto di vista economico, come compenso per il rischio [75]. Tuttavia, ci si chiede se il beneficio per i creditori possa davvero consistere solamente in un plusvalore di natura patrimoniale, così come sembra lasciare intendere l’obbligo della sua «quantificazione» o se invece esso possa consistere in altri elementi, anche di carattere qualitativo. Per esempio, stante il tenore dell’art. 84, terzo comma, c.c.i.i., per le [...]
L’art. 285 c.c.i.i. fa riferimento ai vantaggi compensativi anche al quarto e quinto comma, dove disciplina l’opposizione all’omologazione del concordato, rispettivamente, da parte dei creditori e dei soci. In entrambi i casi, è stabilito che il tribunale, nonostante l’opposizione, possa comunque omologare il concordato se, «tenuto conto dei vantaggi compensativi» e quindi in considerazione della consistenza patrimoniale dell’impresa, comprensiva di eventuali attribuzioni del plusvalore di gruppo, per i soci è possibile escludere il prodursi di un pregiudizio, mentre per i creditori esistono i presupposti affinché essi «possano essere soddisfatti in misura non inferiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola impresa». L’abbassamento della soglia di soddisfacimento dei creditori in una logica c.d. cram down, per l’ipotesi di contestazione del piano, rispetto a quella richiesta per l’ammissione al concordato viene spiegata con il favor per la ristrutturazione e quindi con la necessità di trovare a tal fine un contemperamento con l’interesse del creditore opponente [79]. In effetti, il legislatore sembra prendere atto del fatto che il valore conseguibile con il concordato di gruppo sia frutto di una mera stima e che dunque possano verificarsi degli errori di valutazione, tuttavia se si accerta che i creditori non ricaveranno una somma inferiore a quella che riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale, il piano concordatario, arrivato già ad una fase avanzata di elaborazione, viene fatto salvo. Distaccandosi dall’approccio impiegato finora nell’indagine, volto essenzialmente ad individuare soluzioni capaci di ampliare “lo spazio di manovra” della disciplina del concordato di gruppo, reso troppo angusto dalle clausole generali della separazione delle masse attive e passive e del miglior soddisfacimento dei creditori, alla soglia in questione sembra possibile attribuire anche un’altra ricaduta applicativa. Partendo di nuovo dalla premessa che il risultato conseguibile con il concordato di gruppo è frutto di una stima e che quindi non è un valore puntuale, ma si colloca all’interno di un range di valori possibili, delimitato a sinistra dal valore conseguibile nel worst case e a destra da quello ritraibile nel best case, se ne può ricavare che se il [...]