Il presente contributo si prefigge di ricostruire la nozione di utility token e il contenuto delle situazioni giuridiche incorporate negli stessi token di utilità secondo l’approccio normativo del regolamento (UE) 2023/1114 c.d. MiCAr. Gli esiti di tale indagine mostrano, secondo l’A., come la causa concreta dell’utility token sia da rintracciarsi nella combinazione delle diverse finalità che attraverso questo si realizzano: ossia, il godimento del bene o del servizio e la percezione della eventuale differenza di valore maturato dal digital asset nel proprio mercato secondario di riferimento, nel quale, peraltro, il valore del token di utilità è decorrelato rispetto al valore del bene e del servizio oggetto del token. Muovendo da tali esiti, si considerano gli ambiti di possibile sovrapposizione tra gli utility token e i token-valori mobiliari e tra gli utility token e i prodotti finanziari-token. Mentre con i valori mobiliari la coincidenza causale è solo parziale, con i prodotti finanziari vi è ampia sovrapposizione e quindi la normativa domestica sui prodotti finanziari (offerta al pubblico, offerta fuori sede e promozione e collocamento a distanza) sarebbe stata idonea a catturare anche gli utility token. Tuttavia, tale soluzione è destinata ad essere superata dall’entrata in vigore del MiCAr che prevale sulla normativa nazionale vigente. In questo senso va anche letta la stessa normativa nazionale italiana di adeguamento al MiCAr (d.lgs. 5 settembre 2024, n. 129).
The purpose of this contribution is to reconstruct the notion of utility token and the content of the legal situations embodied in utility tokens themselves according to the regulatory approach of EU Reg. 2023/1114 so-called MiCAr. The results of this investigation show, according to the author, how the concrete cause of the utility token is to be found in the combination of the different purposes that are realised through it: i.e., the enjoyment of the good or service and the perception of the possible difference in value accrued by the digital asset in its secondary market of reference, in which, moreover, the value of the utility token is decorrelated to the value of the good and service subject of the token. Building on these findings, we consider the areas of possible overlap between utility tokens and securities tokens and between utility tokens and financial token products. While with securities the causal coincidence is only partial, with financial products there is a large overlap and thus the domestic regulation of financial products (public offer, off-premises offer and remote promotion and placement) was also capable of capturing utility tokens. However, this solution is bound to be superseded by the entry into force of the MiCAr, which takes precedence over the existing domestic regulation. Italy’s own national legislation complying with MiCAr (Legislative Decree No. 129 of 5 September 2024) should also be read in this sense.
1. I 50 anni della Consob e una nuova stagione dell’atipico. - 2. Utility token ante litteram. - 3. Nozione e causa giuridica degli utility token. - 4. Confronto (e ambiti di sovrapposizione) tra gli utility token e le cripto-attività che sono valori mobiliari e prodotti finanziari ai sensi del t.u.f. - NOTE
Prendere la parola oggi, 7 giugno 2024, non può non stimolare sensazioni e accostamenti che non sono solo dovuti alla facile suggestione che proprio il 7 giugno di 50 anni fa veniva istituita, con la l. n. 216 del 1974, la Consob [1], ma che, in realtà, derivano dal forte parallelismo che, a mio avviso, si può stabilire tra le vicende che in ambito finanziario si andavano verificando dopo la metà degli anni ’70 – inizio anni ’80 del secolo scorso – e quelle che si stanno oggi manifestando, ormai da più di un quindicennio, grazie alla c.d. digitalizzazione della finanza e, segnatamente, all’avvento della blockchain e della tecnologia a registri distribuiti (c.d. DLT) [2]. Il parallelismo non dipende, ovviamente, dal fatto che in quell’epoca esistessero strumenti digitali, finanziari o non finanziari, emessi e circolanti su blockchain e DLT (queste tecniche di documentazione e circolazione erano allora ben lungi anche solo dall’essere immaginate), ma piuttosto è legato alla circostanza che, ora come allora, questi nuovi strumenti sono offerti al pubblico dei risparmiatori e servono a finanziare lo sviluppo di progetti imprenditoriali da parte di chi emette questi digital asset. La seconda metà degli anni ’70 viene, infatti, ricordata come la stagione dei “titoli atipici” e degli investimenti “alternativi” del risparmio, in cui cominciarono a circolare e ad essere offerti al pubblico sul mercato mobiliare strumenti nuovi, appunto, “atipici”: si trattava, in particolare, di certificati cc.dd. immobiliari che rappresentavano pro-quota i diritti di partecipazione dell’associato in un affare dell’associante specificamente individuato [3]. Questi titoli non trovarono, inizialmente, un riscontro preciso nella normativa della finanza di allora, né le relative tecniche promozionali e di commercializzazione “porta a porta” (tipiche del mercato dei beni di consumo) erano quelle tradizionali dell’intermediazione bancaria. La risposta del legislatore dell’epoca fu, semplificando al massimo il discorso, quella di modificare l’art. 18 della l. n. 216 del 1974, inserendo, da un lato, nella già esistente nozione di valore mobiliare anche quella di «ogni documento o certificato rappresentativo di diritti relativi a beni materiali o proprietà [...]
Per affrontare il primo punto, è necessario muovere dalla tassonomia degli utility token nel MiCAr secondo un approccio normativo, ma prima ancora deve ricordarsi (anche per mettere subito a fuoco il fenomeno in concreto) come degli utility token ante litteram esistessero già molto prima del MiCAr. Mi riferisco, in particolare, ai vecchi gettoni (appunto, token) telefonici: erano “fisici”, di metallo, non digitali e non “giravano” su blockchain ed erano emessi dalla vecchia Società italiana per l’esercizio delle telecomunicazioni (in acronimo, SIP). Questi, da un lato, consentivano, una volta acquistati, l’utilizzo del servizio di telefonia pubblica, corrispondente al valore del gettone secondo un sistema di scatti telefonici di durata predeterminata: erano degli utility token puri! Dall’altro, potevano anche essere utilizzati come moneta, pur non avendo alcun corso legale, venendo accettati dal creditore per l’adempimento di piccoli debiti pecuniari. A volte ancora presentavano anche una spiccata funzione finanziaria, se si considera il fatto che nel tempo il valore del gettone aumentava e quindi si poteva lucrare sul differenziale dell’incremento di valore del gettone [6]. Quando combinavano la funzione di utilità con quella di pagamento e/o con quella speculativa davano luogo a quelli che oggi chiameremmo token ibridi. Tralasciando altri esempi di token di utilità ante litteram che pure si potrebbero richiamare, già in passato emersi nella tipologia della realtà grazie anche ad alcune applicazioni interpretative della Consob del 1998-1999 e del 2001 (mi riferisco ai certificati di vino “en primeur” o, per altro verso, anche ai certificati rappresentativi dei diritti di ormeggio [7]), penso possa dirsi – anticipando un po’ le fila del discorso e avanzando qualche prima ipotesi ricostruttiva – che la novità rispetto al passato stia ora non solo nella tecnologia DLT, nella crittografia e negli smart contracts che sono alla base dei nuovi digital asset, ma soprattutto nella combinazione normativa, emergente dal MiCAr, tra la funzione negoziale di godimento dagli stessi assolta e la loro dimensione dinamica di mercato in cui la negoziabilità genera una aspettativa di rendimento finanziaria.
Ciò premesso, possiamo passare ad esaminare la nozione di utility token in ambito MiCAr [8], rimarcando che alla base dell’offerta di utility token c’è sempre una esigenza di finanziamento dell’impresa emittente, la quale – a fronte degli utility token emessi per realizzare un ben preciso progetto imprenditoriale – si avvale delle somme o delle cripto-valute raccolte presso i sottoscrittori di token. Il meccanismo – conviene sottolinearlo per evitare fraintendimenti – non è quello del finanziamento in senso tecnico, in cui, a fronte del prestito ottenuto, l’emittente è obbligato a restituire il tandundem eiusdem generis e il token rappresenta il diritto di credito del finanziatore, ma quello del finanziamento c.d. commerciale che l’emittente richiede al pubblico per sviluppare una propria attività contro la cessione del godimento di beni e servizi futuri che saranno realizzati sulla base della provvista ricevuta. Per fare un esempio concreto tratto dalla giurisprudenza, si pensi come, a fronte di una raccolta di capitali finalizzata alla creazione di una piattaforma decentralizzata di servizi logistici, a chi contribuisce vengano corrisposti in cambio gettoni digitali che costituiscono titoli per l’utilizzo della piattaforma [9]. Si può inoltre ricordare l’esempio dei fan-token negoziati su apposite piattaforme (menzionato dalla Banca d’Italia nel 2022) – emessi dai club di varie discipline sportive, grazie ai quali questi ultimi possono interagire con i propri sostenitori in modo innovativo – il cui controvalore, soprattutto in occasione di particolari vicende, può variare in modo molto significativo [10]. Ebbene, la definizione di utility token è data dal MiCAr sia in termini affermativi sia in negativo (per genus et differentiam, si potrebbe dire), ossia precisando ciò che l’utility token è e ciò che non può essere. Diciamo subito che gli utility token rientrano tra le cripto-attività c.d. other than, categoria che comprende tutte le cripto-attività diverse dagli asset referenced token-ARTs e dagli e-money token-EMTs [11]. Non sono utility token le cripto-attività coincidenti con gli strumenti finanziari. E non sono neppure utility token le altre cripto-attività finanziarie elencate nell’art. 2, n. 4, MiCAr [...]
Se si condivide questa impostazione e soprattutto la circostanza che i tratti caratteristici dei token in esame siano quelli sin qui descritti, si può allora – ancorché solo per rapidi passaggi – verificare se esiste una sovrapposizione tra gli utility token e i valori mobiliari-token e tra gli utility token e i prodotti finanziari-token. Ebbene, senza poter qui ripercorrere le origini e la nozione dei valori mobiliari ex art. 1, comma 1-bis, t.u.f., posso ricordare, riducendo all’osso il discorso, che il valore mobiliare, si caratterizza, sia nella versione domestica che in quella MiFID, per la sua appartenenza ad una classe di titoli, per la sua causa intrinseca finanziaria (ossia per la relazione di investimento/finanziamento tra il sottoscrittore e l’emittente), nonché per la negoziabilità del titolo (ossia, come già osservato, per la sua idoneità ad essere oggetto di un flusso di domande in acquisto e vendita sul mercato dei capitali) [31]. Se l’elemento dell’appartenenza ad una classe di titoli e la negoziabilità sono presenti tanto nell’utility token che nei valori mobiliari, altrettanto non si può dire per il contenuto intrinseco che li caratterizza: nel primo caso, come ampiamente detto, il sostanziale è rappresentato da una relazione di godimento, nel secondo la relazione è di investimento/finanziamento. Quindi, le due cripto-attività sono solo parzialmente sovrapponibili e può perciò forse giustificarsi un diverso trattamento normativo dei token di utilità, ancorché si debba soggiungere che la disciplina “para-finanziaria” MiCAr altro non è – secondo una visione neppure troppo semplificata – che un copy and paste della normativa MiFID e di quella Prospetto con alcune specificità, ma senza, invero, differenze rimarchevoli [32]. Molto più netta è invece la sovrapposizione con i prodotti finanziari, consistenti, come si sa, secondo la nozione domestica del t.u.f., in «strumenti finanziari e in ogni altra forma di investimento di natura finanziaria diversa dagli strumenti finanziari». La Consob – sulla falsariga del c.d. “Howey Test” applicato dalla SEC con riguardo al “contratto di investimento” – ha da sempre sostenuto che la fattispecie prodotto finanziario può dirsi integrata [...]