Nel settore calcistico, il mercato delle competizioni dal vivo – al pari del mercato del merchandising e del mercato della commercializzazione dei diritti televisivi – presenta peculiari caratteristiche che valgono a differenziarlo dalla maggior parte degli altri mercati rilevanti ai fini antitrust. Ciò emerge, in particolare, avendo riguardo alla natura dei calendari delle competizioni calcistiche e alla composizione del pubblico dei consumatori: profili che paiono influenzare la corretta individuazione del mercato rilevante e le modalità attraverso cui le associazioni che riuniscono club calcistici possono operare restrizioni della concorrenza ispirate a criteri trasparenti, obiettivi, non discriminatori e proporzionati, secondo quanto richiesto dalla Corte di Giustizia nel caso Superlega.
In the football sector, the live competitions market – as well as the merchandising market and the market for the negotiation of television rights – presents peculiar characteristics that differentiate it from most other markets relevant for antitrust purposes. This emerges, in particular, having regard to the nature of the football competition calendars and to the composition of the consumer public: profiles which appear to influence the correct identification of the relevant market and the methods through which the associations bringing together football clubs can operate restrictions of the competition inspired by transparent, objective, non-discriminatory and proportionate criteria, as required by the Court of Justice in the Superlega case.
1. Introduzione. - 2. Il necessario coordinamento fra società concorrenti. - 3. I calendari delle competizioni calcistiche nell’ottica del diritto antitrust. - 4. Il pubblico dei consumatori. - 5. Il mercato delle competizioni calcistiche dal vivo: criteri di identificazione. - 6. Il mercato del merchandising e il mercato dei diritti televisivi. - 7. La limitazione della concorrenza sulla base di criteri trasparenti, obiettivi, non discriminatori e proporzionali. - 8. La violazione di limitazioni legittime della concorrenza. Strumenti di reazione. - NOTE
Come ben noto a tutti gli appassionati di calcio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, attraverso la decisione resa il 21 dicembre 2023 nel caso C-333/21, ha ritenuto applicabili sia l’art. 101, sia l’art. 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (T.F.U.E.) alle previsioni, contenute negli statuti della FIFA e dell’UEFA, secondo cui l’organizzazione di nuove competizioni calcistiche fra i club ad esse aderenti, e la commercializzazione dei relativi diritti televisivi, è soggetta ad una loro preventiva approvazione. La violazione dei predetti articoli e, dunque, dei principi generali del diritto antitrust sarebbe ravvisabile, perlomeno, in assenza di un quadro normativo convenzionale che ancori le decisioni adottate, in materia, dalla FIFA e dall’UEFA – anche quanto alle sanzioni applicabili ai club “dissidenti” – a criteri trasparenti, obiettivi, non discriminatori e proporzionati [1]. In particolare, nell’ottica della Corte di Giustizia – chiamata a pronunciarsi, inter alia, sulla corretta interpretazione degli artt. 101 e 102 T.F.U.E. dal Juzgado de lo Mercantil de Madrid nell’ambito del contenzioso promosso dalle società che avrebbero voluto dar vita alla c.d. Superlega – FIFA e UEFA, (i) stante la loro posizione dominante sul mercato delle competizioni calcistiche, oltre che sul mercato dei diritti televisivi ad essi inerenti, nel subordinare l’organizzazione di nuovi tornei al loro “mero gradimento”, avrebbero dato vita ad un abuso rilevante, ex art. 102 T.F.U.E., in quanto – per rimanere alle espressioni utilizzate da tale articolo – avrebbero finito per «limitare la produzione (…) a danno dei consumatori»; (ii) stante la loro natura di associazioni fra imprese che si propongono di prendere parte a (e, dunque, di organizzare [2]) tornei calcistici, avrebbero dato vita a decisioni illegittime, poste in essere in violazione del divieto di stipulare intese restrittive della concorrenza, nei termini di cui all’art. 101 T.F.U.E. La pronuncia della Corte di Giustizia – già ampiamente sottoposta al vaglio dell’opinione pubblica e alle prime analisi degli studiosi [3] – può certamente rappresentare l’occasione non solo per una rimodulazione dei rapporti fra FIFA e UEFA, da un lato, e i club dissidenti, d’altro [...]
Volendo prendere in considerazione, innanzitutto, le specificità che caratterizzano l’attività delle società di calcio professionistiche, pare opportuno ricordare che le stesse forniscono ai loro utenti un prodotto basato, per sua natura, sull’incontro (rectius, sullo “scontro”) fra due squadre, nell’ambito di una competizione sportiva della durata minima di novanta minuti. E ciò, se dal punto di vista astratto non determina necessariamente la convivenza di più società sullo stesso mercato – perché ognuna di esse potrebbe dar vita a singole partite di calcio, se non addirittura a veri e propri tornei, fra squadre tutte facenti capo alla propria organizzazione [12] – dal punto di vista concreto determina, in realtà, la necessità, per ciascun club, di svolgere la propria attività coordinandosi con club concorrenti. Specialmente alla luce della prassi che si è consolidata in più di un secolo di storia, in effetti, non sarebbe, oggi, neppure immaginabile la scelta di una società di calcio di astenersi dalla competizione con società rivali: organizzare soltanto partite interne fra più squadre emanazione dello stesso club farebbe scemare l’entusiasmo del pubblico e ciò si rifletterebbe, inevitabilmente, su ciascuno dei tre mercati di riferimento presi in considerazione in questa sede [13]. Nessun dubbio, dunque, che tutte le società calcistiche, in particolare se vogliono dare vita a competizioni in grado di attirare l’interesse dei tifosi [14], abbiano la necessità di convivere, sul mercato, con altre società loro concorrenti. Ne discende che il mercato delle competizioni calcistiche, al pari del mercato dei diritti televisivi e di quello del merchandising, presenta una prima caratteristica che lo differenzia da qualsiasi altro [15]: quella per cui nessuna delle imprese che vi opera ambisce, e potrebbe mai ambire, a ritrovarsi in una posizione di monopolio o anche solo di oligopolio. Ma v’è di più: ogni società di calcio, infatti, non solo, per poter svolgere la propria attività, ha bisogno di concorrenti, ma ha anche un successo, sul mercato, che molto spesso è direttamente proporzionale a quello degli stessi concorrenti. È nozione di comune esperienza, invero, quella per cui, quando si alza il livello [...]
D’altra parte, se le società di calcio intendono dar vita a tornei e a campionati che le vedano scontrarsi le une con le altre, sulla base di calendari strutturati sulla base di diverse formule, ma, in ogni caso, pensati per consentire lo svolgimento, in contemporanea, di un determinato numero di partite, non v’è alcun dubbio che, nell’esercizio della loro attività d’impresa, le stesse debbano coordinarsi, concordando limitazioni all’iniziativa economica di ciascuna. A tacer d’altro, infatti, qualsiasi tipo di competizione sportiva fra club calcistici si caratterizza per l’ottemperanza ad una regola che, a ben vedere, implica la stipula di un’intesa restrittiva della concorrenza: la regola per cui, per ogni turno, o per ogni giornata, della competizione de qua, ciascun club gioca una sola volta e si obbliga, dunque, non solo a schierare (in concreto, una sola volta) la propria squadra nella città, e presso l’impianto sportivo, in cui è chiamato a (e ha il diritto di) esibirsi, ma anche a non fare giocare proprie, ulteriori squadre nelle diverse città in cui giocano club concorrenti [18]; e ciò, perlomeno, ove non si tratti di squadre impegnate in diversi campionati il cui svolgimento è concordato con gli altri club. In quest’ottica, pare corretto ritenere che, nel momento in cui viene predisposto il calendario di una manifestazione sportiva, la sua accettazione da parte di ciascuna delle società coinvolte implichi un incontro di consensi riconducibile alla stipula di un accordo fra imprese, ovvero alla decisione di un’associazione fra imprese, rientrante, perlomeno astrattamente, nell’ambito di applicazione dell’art. 2 della legge antitrust (l. 10 ottobre 1990, n. 287) o dell’art. 101 T.F.U.E.; e ciò per quanto riguarda, in particolare, il mercato delle competizioni calcistiche dal vivo. Del resto, la stessa commercializzazione dei diritti TV – oggetto di una disciplina che, come noto, è andata incontro a mutamenti significativi [19] – richiede, a ben vedere, non solo un tendenziale coordinamento fra i vari club, ma anche la stipula di accordi riconducibili al genus intese [20], non solo perché, in ogni caso, anche la vendita dei diritti TV riferiti ad una singola partita richiede, necessariamente, il consenso unanime di ambedue i club coinvolti [21], ma [...]
Acclarato, dunque, che l’attività delle società calcistiche presenta talune peculiarità non trascurabili, allorché la si voglia prendere in considerazione nell’ottica della normativa antitrust, pare opportuno, ora, dare conto delle ulteriori peculiarità che, con riferimento ai “mercati del calcio”, caratterizzano il pubblico dei consumatori. In effetti, la circostanza per cui, sul lato della domanda, operino soggetti che, per la maggior parte, rivestono la qualità di tifosi, comporta che – a differenza di quanto accade in (quasi) tutti gli altri settori – le società di calcio, nel competere fra loro, mirano a conquistare nuove fette di mercato che, per la maggior parte, non sono contendibili dai club concorrenti. È risaputo, infatti, come, la maggioranza degli appassionati di calcio sia composta da soggetti che, tifando per una squadra, e per una squadra soltanto, ove non consumino “i prodotti” immessi sul mercato dal loro club, certo non sono disponibili a consumare “i prodotti” della concorrenza. Il ragionamento vale, in particolare, per le competizioni calcistiche dal vivo, e solo in misura più ridotta per il merchandising e per i diritti TV; non solo per esigenze di semplificazione, dunque, pare opportuno svolgerlo, nelle righe che seguono, con riferimento alle partite di calcio dei campionati professionistici, nella consapevolezza che la tassonomia di cui si darà conto in relazione al pubblico degli spettatori dal vivo può essere adattata, mutatis mutandis e entro i limiti che ci si riserva di illustrare, anche alle categorie di consumatori che vengono in considerazione nei suddetti diversi mercati. In particolare, con riferimento alle partite di campionato delle diverse serie professionistiche, è possibile scorgere, accanto a consumatori ascrivibili alla categoria dei “tifosi sempre presenti” – tendenzialmente, gli abbonati – ulteriori consumatori riconducibili, per contro, alla categoria dei “tifosi occasionalmente presenti”: consumatori che, non acquistando l’abbonamento all’inizio della stagione calcistica, decidono di volta in volta se presenziare alle singole partite acquistando il biglietto o, per contro, non assistervi [23]. Ed è proprio la maggioranza di tali soggetti a dover essere ricondotta, nell’ottica del diritto antitrust, [...]
È noto, in effetti, che nel verificare se, in concreto, ricorrano le condizioni per poter configurare un abuso di posizione dominante, è necessario identificare, in primis, il mercato rilevante; e che lo stesso deve avvenire ove si debbano accertare le quote di mercato delle imprese che abbiano stipulato un’intesa restrittiva della concorrenza, per appurare se la stessa superi la soglia de minimis e sia, comunque, idonea a pregiudicare il commercio fra gli Stati membri dell’Unione Europea. Pacifico, del resto, che il mercato rilevante, per effetto delle elaborazioni degli interpreti e delle precisazioni contenute all’interno delle fonti comunitarie [28], sia identificabile avendo riguardo, inter alia, sotto il profilo merceologico, a tutti e ai soli prodotti che siano considerati interscambiabili per i consumatori, e, sotto il profilo geografico, a tutti e ai soli territori in cui gli stessi consumatori possano indifferentemente recarsi per acquistare i prodotti oggetto della loro domanda; essendo ovvio, tuttavia, che, a tal fine, occorra fare riferimento ai soli consumatori che – con riferimento al genere di prodotti considerato – siano contendibili dalle imprese interessate e rispetto ai quali, dunque, le stesse assumano la qualità di concorrenti. In quest’ottica, le riflessioni svolte nel paragrafo che precede paiono dover condurre a ritenere che perlomeno il mercato delle competizioni calcistiche dal vivo sia particolarmente ristretto e che, in particolare, nel calcolare le quote di mercato tanto ai fini di cui all’art. 102, quanto ai fini di cui all’art. 101 T.F.U.E. (e, in particolare, ai sensi della Comunicazione C/2024/1645, sull’individuazione del mercato rilevante [29], ai sensi della Comunicazione 2004/C 101/07, relativa alle intese che non arrecano pregiudizio al commercio tra gli Stati membri dell’UE, e ai sensi della Comunicazione 2014/C 291/01, relativa alle intese che non determinano restrizioni sensibili alla concorrenza, cc.dd. de minimis), il fatturato delle imprese interessate debba essere calcolato avendo riguardo – sia nell’individuazione del denominatore, sia nell’individuazione del numeratore della frazione ideale in grado di esprimere dette quote – non al totale delle vendite di biglietti (certo, non di abbonamenti [30]) alle partite delle varie squadre, ma alle sole vendite effettuate a favore di [...]
Quanto al mercato (rectius, ai mercati) del merchandising, possono farsi, del resto, mutatis mutandis, considerazioni analoghe, perlomeno sotto il profilo merceologico [37]. Anche in tal caso, infatti, ciascun mercato comprende i prodotti giudicati interscambiabili dai soli consumatori contendibili, i “tifosi infedeli” e “gli sportivi”; con la differenza, non irrilevante, che in questo settore i “tifosi fedeli” – coloro cioè che, se non acquistano i prodotti di una squadra, non ne acquistano affatto – sono molto meno numerosi rispetto al mercato delle competizioni calcistiche dal vivo, perché – a tacer d’altro – gli abbonati, se non addirittura gli ultras, di una squadra possono decidere di acquistare prodotti di un’altra squadra tutte le volte in cui si tratti di fare un regalo agli appassionati di quest’ultima. Rimane fermo che una concorrenza vera e propria è ravvisabile solo fra prodotti considerati sostituibili nella percezione del pubblico; caratteristica che, in questo settore, è difficilmente rinvenibile se non fra club dello stesso livello [38], o che operano nel medesimo bacino d’utenza territoriale [39]; per di più, potendosi ritenere che cambiamenti significativi nei gusti dei consumatori possano manifestarsi solo in un arco di tempo considerevole. Con riferimento, d’altronde, al mercato dei diritti televisivi [40], il ragionamento da svolgere non sembra molto dissimile; anche in tal caso, infatti, sia pure in misura inferiore a quanto si è visto per le partite dal vivo e per il merchandising, vi sono consumatori interessati unicamente alle partite della propria squadra del cuore, sì che i clienti effettivamente contendibili da parte delle singole società di calcio sono solo una parte degli abbonati alla pay-tv. Certo, ciò assume particolare rilievo, in materia antitrust, nei contesti in cui, per i consumatori, sia possibile comprare unicamente le partite di una squadra, secondo quanto è accaduto per alcuni anni in Italia, e i proventi derivanti a ciascun club siano proporzionali al numero degli abbonamenti televisivi alle partite della propria squadra. Diverso il discorso con riferimento ai contesti in cui – secondo quanto accade ora nel mercato dei diritti televisivi relativi, inter alia, al campionato italiano di calcio – l’abbonamento alla [...]
Una volta, dunque, dimostrate le peculiarità che caratterizzano i mercati de quibus quanto, in particolare, al lato della domanda e alle conseguenze che paiono discenderne nel processo di identificazione dei mercati rilevanti, pare possibile riprendere il discorso relativo alle peculiarità individuate sul lato dell’offerta, chiedendosi quali possano essere i criteri attraverso cui, nello stipulare intese quali quelle contenute negli statuti di FIFA e UEFA, la società di calcio possano obbligarsi reciprocamente a non svolgere attività concorrenziale le une verso le altre, secondo criteri trasparenti, obiettivi, non discriminatori e proporzionali [43]. La questione più spinosa sorge, a ben vedere, alla luce delle ambiguità insite in quest’ultima espressione, potendosi per contro ritenere sufficientemente esplicativi sia il richiamo alla trasparenza, sia il richiamo all’obiettività, sia il richiamo alla non discriminazione. Pare dover essere giudicato trasparente, invero, qualsivoglia criterio che venga palesato all’esterno di modo da essere conosciuto, in particolare, da tutti i paciscenti, nessuno dei quali deve risultare sottoposto – questa la ratio del dictum della Corte di Giustizia nel caso Superlega – al mero arbitrio degli organi di FIFA e UEFA. Sono obiettivi e non discriminatori, d’altronde, i parametri svincolati dalla situazione particolare in cui si trova un singolo club e la cui applicazione non sia volta, a priori, a danneggiare talune società ai danni di altre. Quanto, per contro, al criterio della proporzionalità, si tratta in primis di comprendere quale sia la finalità rispetto a cui lo strumento rappresentato dall’intesa anti-concorrenziale de qua possa considerarsi proporzionato e, dunque, tale da consentire di perseguire “chirurgicamente” l’obiettivo perseguito dai paciscenti, senza dar vita a restrizioni ultronee. La logica pare, a ben vedere, analoga a quella che traspare dall’art. 101, par. 3, TFUE [44]: muovendo dal presupposto per cui un’intesa volta a limitare la concorrenza nel settore delle competizioni calcistiche può migliorare la distribuzione dei prodotti, riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che deriva – a tacer d’altro perché, rispetto allo scenario alternativo rappresentato dalla concorrenza selvaggia, lo [...]
Da quanto ora esposto, discende che, per l’intero periodo di durata delle associazioni di cui trattasi – FIFA ed UEFA – le stesse, se da un lato non potranno sanzionare club che si pongano in contrasto con clausole statutarie vietate dalla normativa antitrust, d’altro lato potranno farlo nel caso in cui, ad essere violate, siano clausole da giudicarsi, per contro legittime. Rimane fermo che, anche in quest’ultima ipotesi, le sanzioni da applicare ai club dissidenti dovranno risultare proporzionate; con la conseguenza che ben difficilmente potrà verificarsi il caso in cui, per il solo fatto di aver organizzato un torneo il cui calendario interferisca, nei termini sopra descritti, con quello (o con quelli) del campionato di riferimento, una società potrà essere esclusa sì da non potere più far parte delle stesse associazioni. Sanzioni proporzionate rispetto alla violazione delle clausole de quibus potranno, verosimilmente, operare solo sul piano sportivo e consistere, ad esempio, in una penalizzazione in classifica, o al più nell’esclusione dallo stesso campionato. Rimane fermo che, ove fosse possibile, per le altre società, recedere ad nutum dalle associazioni di cui sono parte insieme ai club dissidenti, le stesse dovrebbero essere considerate libere di farlo, eventualmente al fine di costituire fra loro un’associazione concorrente [54]; ad analoghe conclusioni dovendo giungersi nell’ipotesi in cui le stesse avessero la possibilità di decidere a maggioranza uno scioglimento anticipato delle predette associazioni o, comunque, essendo queste ultime giunte alla scadenza del loro termine di durata, avessero il diritto di non ricostituirle se non fra loro, emarginando i club concorrenti.